venezuela maduro stati uniti
Photocredit @Reuters/ Ueslei Marcellino - Sputniknews (https://it.sputniknews.com/mondo/201808086342594-miami-bogota-caracas-finanzia-attacchi-terroristici-contro-venezuela-colombia-usa/)

Il Venezuela attraversa una fase concitata, Maduro mantiene il potere nonostante le pressioni internazionali e la recessione che ormai si protrae dal 2014. Abbiamo cercato di capire meglio cosa sta succedendo assieme alla responsabile del programma America Latina dell’ISPI, la professoressa Antonella Mori.

Innanzitutto, chi è Nicolas Maduro e da dove proviene?

«Nicolas Maduro era il braccio destro di Hugo Chavez, a cui deve la propria investitura politica essendo stato da lui designato come proprio successore. Ciononostante, Maduro non è sempre stato un politico ed infatti nella prima fase della sua vita era un autista di autobus. Alla morte di Chavez, nel 2013, Maduro si candidò con il partito socialista e, seppur per pochi voti, vinse le elezioni presidenziali».

Che genere di politica persegue Maduro e perché è in crisi?

«Nicolas Maduro, in continuità con Chavez, ha cercato di portare avanti il progetto del socialismo bolivariano. Di conseguenza, il Venezuela è allineato ai paesi dell’ALBA, alleanza che comprende fra gli altri Cuba, Ecuador e Bolivia. Cina e Russia sono i maggiori sponsor del Venezuela sul piano internazionale.
Per quanto riguarda la
politica interna, il Venezuela è un paese socialista in cui lo Stato è il principale erogatore di servizi. L’alto prezzo del petrolio, al tempo di Chavez permetteva allo stato di incassare il necessario per coprire le spese per le politiche sociali; con il crollo del prezzo del greggio nel 2014 queste risorse sono venute meno. Inoltre, la produzione di petrolio in Venezuela continua tutt’oggi a diminuire per mancanza di investimenti (da più di 3 milioni nel 2005 ad 1 milione di barili al giorno nel 2018) , causando un’ulteriore diminuzione delle entrate fiscali.
All’andamento negativo del prezzo del petrolio va poi aggiunta la perdita della fiducia dei mercati, dai quali il Venezuela, prima del 2014 con Chavez al potere, riceveva prestiti che favorivano le politiche espansive implementate dal governo. Ai prestiti ricevuti sui mercati internazionali, vanno poi aggiunti i flussi di denaro provenienti dalla Cina, in cambio del petrolio venezuelano, e dalla Russia, per l’importazione di armi di produzione russa
».

Dunque, nonostante il crollo del prezzo del petrolio, Maduro ha continuato con una politica espansiva, in che modo?

«Continuando a finanziare la spesa pubblica senza più le entrate provenienti dal petrolio, Maduro ha innescato il processo inflazionistico stampando moneta senza che vi fossero le entrate necessarie, di conseguenza aggravando la recessione che dura ormai dal 2014 e che è causata dalla contrazione del prezzo e della produzione di greggio».

Considerando che l’andamento del prezzo del petrolio è ciclico, può Maduro essere considerato un ingenuo per aver fatto affidamento esclusivo su un’unica risorsa?

«Non la definirei ingenuità ma vera e propria incompetenza. Certo, il prezzo del petrolio segue un andamento ciclico e si sapeva che, a causa del rallentamento della crescita cinese, il prezzo sarebbe rimasto basso a lungo. Maduro avrebbe dovuto prendere atto della nuova congiuntura economica e cambiare la propria politica interna; al contrario, espandendo la base monetaria non ha fatto altro che favorire il processo inflazionistico. Non bisogna poi dimenticare come gli stessi consiglieri economici di Maduro abbiano più volte negato le responsabilità del governo sull’inflazione, accusando il settore privato o la congiuntura internazionale, spingendosi fino a negare l’esistenza stessa di un processo inflazionistico in atto. Di conseguenza bisogna usare il termine giusto per riferirsi a Maduro ed alla sua amministrazione: incompetenza».

Nonostante i fallimenti economici, Maduro è ancora al potere e non sembra volersi smuovere. Chi lo sostiene ancora?

«Nonostante l’incapacità in ambito di politica economica, va riconosciuta a Maduro una capacità incredibile  nel riuscire a mantenere il potere, che nonostante la gravità della situazione è ancora saldo nelle sue mani. Questo è dovuto certamente al sostegno dell’esercito, che ha in Venezuela il controllo su gran parte dell’economia e delle istituzioni, e, per ora, di una parte ancora consistente della popolazione, attorno al 20/25%. Che i sostenitori di Maduro non siano la maggioranza è un dato ricavabile dalle ultime elezioni democratiche, quelle legislative tenutesi nel dicembre 2015, in cui l’opposizione stravinse la maggioranza al parlamento. Ciononostante, sappiamo che l’opposizione non è unita, ma composta da partiti molto diversi accomunati solo dall’avversione per Maduro».

Le elezioni del 2018 sono state democratiche?

«No, essendosi presentato quasi solo Maduro. Di conseguenza, molti paesi non hanno riconosciuto la legittimità di questo governo. La mia posizione è che si debbano tenere elezioni democratiche, alla presenza di osservatori internazionali indipendenti, alle quali potrà certamente partecipare anche il partito socialista».

A seguito dell’illegittimità delle elezioni del 2018, 50 paesi tra cui gli Stati Uniti hanno riconosciuto Juan Guaidò quale nuovo presidente ad interim in attesa di nuove elezioni, cosa ne pensa?

«Penso che allontani il dibattito da quello che dovrebbe essere il tema centrale, ovvero quello di nuove elezioni democratiche, spostando l’attenzione sul giudizio “Guaidò sì, Guaidò no”. Saranno i Venezuelani a decidere fra Guaidò, Maduro o altri; il tema principale resta quello di tenere nuove elezioni democratiche, a cui possano partecipare tutte le forze politiche».

Sempre a seguito delle elezioni del 2018, sono state implementate contro il Venezuela sanzioni economiche che vanno a colpire l’esportazione di petrolio: che ruolo hanno avuto nell’attuale crisi e come incidono sulla vita dei cittadini Venezuelani?

«Certamente la situazione sociale ed economica è grave, tanto che ad oggi più di 3 milioni di venezuelani sono stati costretti ad emigrare. Allo stesso tempo, non bisogna dimenticare che il Venezuela partiva da una situazione in cui il PIL pro capite si attestava attorno ai 20,000$ , una situazione che permette a molti Venezuelani di sopravvivere grazie ai risparmi.
Per quanto riguarda le
sanzioni, particolarmente pesanti per l’economia sono state quelle decise dagli Stati Uniti a gennaio, che colpiscono l’esportazione di petrolio. Precedentemente, a partire dal tardo 2017, le sanzioni economiche di natura finanziaria erano state dirette sempre dagli Stati Uniti contro i membri dell’élite venezuelana vicina a Maduro. Ciononostante, le sanzioni economiche sono successive all’inizio della  recessione ed al calo della produzione di petrolio, e dunque non sono la causa dei mali dell’economia Venezuelana».

Soltanto in queste ultime settimane, nonostante il perdurare della recessione da 5 anni, è stato permesso l’ingresso nel paese di aiuti umanitari. Per quale motivo?

«Questo è dovuto alla particolare efficacia delle ultime sanzioni imposte dagli Stati Uniti sull’esportazione di petrolio che, ricordiamolo, è l’unica fonte di entrate per il governo. Di conseguenza, in accordo con Guaidò, Maduro ha consentito l’ingresso di aiuti umanitari da parte della Croce Rossa Internazionale. Questi aiuti, che sono puramente umanitari e slegati da interessi politici, erano sempre stati rifiutati da Maduro, il quale definiva la situazione sotto controllo. Questo è indicativo di come la situazione in Venezuela sia sempre più critica, visto che lo stesso Maduro riconosce la necessità di aiuti esterni».

Negli ultimi mesi due avvenimenti hanno fatto clamore: gli approvvigionamenti in fiamme appena dentro il territorio Venezuelano e i blackout, cosa è successo?

«Per quanto riguarda gli approvvigionamenti dati alle fiamme a febbraio, provenienti dagli USA, il NY times ha evidenze che siano stati distrutti in territorio colombiano da sostenitori di Guaidò, e successivamente abbandonati in territorio Venezuelano. I blackout, invece, seppur vi sia la possibilità che siano stati causati da un cyber attacco americano, sono frequenti in Venezuela, essendo l’infrastruttura scadente e mancando il gasolio per le centraline. Ci sono moltissime ragioni per pensare che i blackout siano causati dall’inefficienza delle infrastrutture venezuelane».

Perché gli Stati Uniti sono interessati al Venezuela?

«Certamente, il fatto che il Venezuela sia il paese con le più grandi riserve petrolifere al mondo fa gola agli Stati Uniti, i quali non dovrebbero più dipendere dal petrolio medio-orientale. Allo stesso tempo, l’interesse in un Venezuela stabile e prospero nasce dalla paura di eventuali e consistenti flussi migratori verso il territorio americano. Non dimentichiamo che uno degli obiettivi di Donald Trump è quello di fermare i flussi migratori verso nord, perciò la stabilizzazione del Venezuela significherebbe per gli Stati Uniti sistemare nella propria regione il paese più ricco di petrolio e una potenziale bomba migratoria».

Maduro subisce dunque una forte pressione interna, con un’opposizione disunita ma corposa, unita all’aggressione internazionale, trainata dalle sanzioni americane: che futuro pensa ci possa essere per il socialismo in Venezuela?

«Non penso che l’illegittimità di Maduro cancelli un’ancora consistente parte di popolazione che crede nel socialismo. Queste persone, se e quando avranno la possibilità di esprimere la loro preferenza, credo la daranno ad una forza politica socialista. Stiamo comunque parlando di un paese con un alto livello di povertà e disuguaglianza, in cui un partito che fa della politica sociale il proprio punto di forza non potrà che riscuotere un successo consistente».

Davide Leoni

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