Napoli malocchio
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Napoli vive da sempre una fortissima contraddizione: la sua indissolubile fede cattolica entra continuamente in conflitto con rituali legati ad ogni forma di superstizione.
Fu Cicerone a definire la superstizione come uno stratagemma degli uomini per cercare continua approvazione da parte degli dei e ancora oggi, al di là della loro effettiva formazione pagana, sono riconducibili a dei rituali che infondono sicurezza, capaci di infondere l’illusione di poter mantenere il controllo contro il malocchio.

Una delle credenze più antiche è quella del malocchio, per il quale si intende la capacità che hanno le persone mal disposte o che nutrono un certo sentimento di gelosia e/o di invidia di poter portare sfortuna con il solo sguardo. Le ripercussioni dei cosiddetti occhi n’guoll possono riguardare la sfera emotiva, lavorativa, ma anche quella fisica (dei sintomi sono ad esempio violenti mal di testa, vomito, nausea, depressione e cattivo umore). La jettatura infatti, dal latino jacere sortes (gettare le sorti, incantare), è l’energia malefica che viene gettata involontariamente attraverso lo sguardo invidioso. Il malcapitato è una persona ritenuta particolarmente fortunata.

In ambito napoletano, la prima testimonianza che ci è pervenuta di tale credenza risale alla fine del ‘700, presso la corte di re Ferdinando IV, quando arrivò l’archeologo Andrea De Jorio a far visita al sovrano. De Iorio era anche conosciuto come uno dei più temibili jettatori e la sua fama peggiorò a causa della morte prematura del sovrano in concomitanza con la sua visita. C’è poi chi va ancora più lontano e cioè alle pratiche popolari contro il malocchio che da tempo immemore trovano dei veri e propri professionisti atti a questi rituali:

«Aglie, fravaglie e fattura ca nun quaglie, ‘uocchie, maluocchie e frutticiell rind’ all’uocchie, corna, bicorna e la sfortuna nun ritorna, sciò sciò, ciucciuè».

Questa antica formula fa parte di una serie di escamotage che si sono proposti nel corso dei secoli per cercare di affrontare di petto la pratica del malocchio e, nella sua completa evoluzione e formalizzazione, si concretizza nel rito dell’olio.
Da generazioni a Napoli si tramanda infatti la credenza che alcune donne, per la maggior parte anziane, abbiano una sorta di sesto senso che si esplica nell’abilità di scoprire se una persona sia o meno vittima di un malocchio. Se si ha conferma di esserne stati affetti, la donna in questione ha la possibilità di liberare il povero sventurato grazie al rito dell’olio. Ritorna qui la formula sopracitata, pronunciata dopo alcune parole segrete dal taumaturgo che nel mentre mette dell’acqua in un piatto fondo e fa per tre volte il segno della croce sulla fronte della vittima. Dopo aver fatto il segno della croce anche su se stesso e sul piatto, versa nell’acqua alcune gocce di olio di oliva che vanno a formare dei veri e propri occhi: se si espandono vuol dire che la maledizione c’è stata, se si ingrandiscono fino a scomparire, significa che il malcapitato è sotto malocchio da così tanto tempo da far risultare difficoltosa un’effettiva guarigione.

Per sciogliere il malocchio gli occhi di olio vanno simbolicamente tagliati con un paio di forbici e il liquido va gettato in un luogo in cui nessuno potrà mai calpestarlo.
Il rituale si dovrà ripetere finché l’olio non andrà a formare nel piatto delle circonferenze molto piccole, segno di effettiva liberazione dalla jella.

Ma come una tipica influenza, il malocchio si può anche prevenire, non solo curare. Ancora scomodando le fonti pagane, uno degli strumenti più gettonati è l’utilizzo di amuleti di cui, il più tipico, è sicuramente il corno, o’ curniciello del quale Napoli è tappezzata. La tradizione del corno è antichissima, risale al 3500 a.C., quando gli abitanti delle capanne erano soliti appendere un corno sull’uscio della porta come simbolo di ricchezza e di fertilità. In età romana, il corno veniva offerto alla dea Iside, per una cerimonia che voleva migliorare le condizioni dell’allevamento. A Napoli la tradizione del corno si arricchisce di nuove sfumature, legate a varie caratteristiche e condizioni che devono essere rispettate. Il corno contro il malocchio deve sì portare fortuna e ricchezza, ma per svolgere il suo compito di protettore, deve essere rosso e di un materiale prezioso come il corallo. Il corno inoltre deve essere regalato e poi attivato da chi lo dona.

Ma le insidie a Napoli si nascondono davvero ovunque, anche negli stessi oggetti (non tutti infatti sono amuleti con influenze positive). L’esempio più eclatante è dato dal caffè. Era infatti visto, grazie ai suoi effetti sul sonno, la bevanda ideale per somministrare filtri e veleni atti al malocchio. Molti pensavano che il nero infuso fosse il nettare del diavolo, ragion per cui uno degli attuali simboli di Napoli è riuscito a penetrare nel suolo partenopeo solo grazie al più grande esperto di jettatura del ‘700, il professore emerito di diritto Nicola Valetta, che convinse il popolo napoletano di quanto il caffè potesse essere una bevanda genuina.

Alessia Sicuro

Alessia Sicuro
Classe '95, ha conseguito una laurea magistrale in filologia moderna presso l'Università di Napoli Federico II. Dal 2022 è una docente di lettere e con costanza cerca di trasmettere ai suoi alunni l'amore per la conoscenza e la bellezza che solo un animo curioso può riuscire a carpire. Contestualmente, la scrittura si rivela una costante che riesce a far tenere insieme tutti i pezzi di una vita in formazione.

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