Sardine Sinistra Scissione
Fonte immagine: newsweek.com

Un recente episodio in particolare ha catturato l’attenzione dei media nazionali nell’intento di smontare un fenomeno che è stato a lungo al centro delle campagne elettorali di destra e sinistra durante le ultime regionali: la scissione delle Sardine. Quest’ultima, arrivata dopo la celeberrima e rovinosa foto con i Benetton, ha suscitato ilarità e contestazioni da una parte e dall’altra degli schieramenti politici.

Appare bizzarro che proprio nel momento in cui le Sardine si avvicinavano spudoratamente a posizioni di sinistra, sia accaduta la cosa più di sinistra mai vista in Italia: la scissione. Un atto annunciato, a dire il vero, figlio dell’indecisione che ha accompagnato il movimento fin dall’inizio: cosa fare dopo l’Emilia? Come superare il successo di Piazza San Giovanni? Appare naturale il fatto che, in assenza di una strategia comune ed efficiente, qualcuno decida di prendere l’iniziativa, giusta o sbagliata, e abbandonare i buoni propositi di compattezza, mascherando i suoi motivi tramite la “scissione contenutistica”.

D’altronde le piazze gremite piacciono a tutti, e di questo bisogna solo essere loro grati, ma affinché le Sardine continuino ad avere un senso è necessaria una ragione sociale che vada ben oltre lo sdoganamento dell’odio, sacrosanto ma insufficiente, e i punti elencati in piazza a Roma. Aver combattuto la mala politica di Salvini è un motivo d’orgoglio, ma non saranno solo le adunate a metterlo in sacco. Inoltre occorre una strategia comunicativa efficiente, poiché farsi demolire in tv da Sallusti e Senaldi non è proprio una gratificante pubblicità.

“Di’ una cosa di sinistra” “Scissione”

È la chimera del centrosinistra italiano. Dall’alba dei tempi, qualsiasi partito che si sia definito di “sinistra” nel panorama costituzionale italiano ha subito una o più scissioni. La parola unità, sconosciuta. Bisticci, incongruenze, leadership inesistente, principi traditi sono solo alcune delle motivazioni che hanno portato la sinistra a sciogliersi come neve al sole e a dar vita a micro-formazioni che nel loro apogeo hanno raggiunto percentuali irrisorie. Una fattispecie che va avanti dal 1948, dalle prime elezioni della Repubblica, in cui il blocco delle sinistre, a causa di defezioni e scissioni (come quella della CGIL e di Palazzo Barberini), hanno relegato PCI e PSI a mere comparse della scena politica nostrana, consegnando lo scettro alla DC.

La più famosa, però, è sicuramente quella di Livorno del 1921, quella che ha dato vita al Partito Comunista Italiano, il più grande e controverso dell’Occidente. Ma le separazioni non finiscono qui e raggiungono anche gli anni duemila. Da quella di Palazzo Barberini a quella Chianciano, del 2009, passando per il PSIUP e il PDS. Numerosi furono i tentativi di dar lustro a uno schieramento politico che in Italia non ha avuto mai fortuna, ancor più consistenti furono i fallimenti.

Nel 2007 nasce il PD, nel quale confluiscono i Democratici di Sinistra (ex PDS) e la Margherita di Francesco Rutelli. Il Segretario è Walter Veltroni. Alcuni esponenti dei DS, contrari all’idea di un PD all’americana, si staccano e fondano Sinistra Democratica. Un destino già segnato. Nel 2008, in vista delle elezioni politiche, prende vita una strana lista dal nome “Sinistra Arcobaleno”, sostenuta da Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Federazione dei Verdi e Sinistra Democratica. L’anno successivo nasce il partito di Nichi Vendola (SEL) il quale fece clamore per un brevissimo periodo prima di scomparire dopo le primarie.

Il 31 ottobre 2009 Rutelli lascia il partito e crea Alleanza per l’Italia. Nel 2012 l’ex magistrato Antonio Ingroia fonda, prima delle elezioni, la lista Rivoluzione Civile, famosa per le imitazioni di Maurizio Crozza. Nel 2015 è la volta di Civati con Possibile e nel 2017 quella di Sinistra Italiana.

Il periodo renziano è il più ricco dal punto di vista delle separazioni. Viene fondata una nuova forza politica dal nome di “Articolo Uno-Mdp”, sostenuta da Roberto Speranza, Bersani e D’Alema. Per le elezioni del 2018 l’ex magistrato Pietro Grasso raccoglie tutto il dissenso in Liberi e Uguali, una lista che riesce a eleggere 14 deputati e 4 senatori. Le ultime separazioni, in ordine di tempo, sono quelle di Carlo Calenda, con Siamo Europei, e di Matteo Renzi, con Italia Viva, una creatura nata nell’ambiente “protetto” della maggioranza di governo e che, quasi a cadenza quotidiana, rischia di farla cadere.

Una storia di defezioni che continua a perseguitare l’anima della sinistra. Quella delle Sardine rappresenta solamente l’ultima scissione in ordine temporale di una formazione spaventata dal futuro e sempre più in balia di iniziative individuali che lasciano poco spazio alle interpretazioni.

Una foto troppo “salata”

La causa scatenante i dissapori è stata proprio la foto con i Benetton. Stephen Ogongo, leader delle Sardine di Roma, ha fortemente criticato in un post la mossa di Santori & co. giudicandola inopportuna e chiamando a gran voce la scissione. Il branco romano ha annunciato di voler nuotare in altre correnti. Subito dopo arrivano le smentite del gruppo della capitale: “l’iniziativa di Ogongo è stata del tutto volontaria”.

Di certo c’è che la foto scattata a Fabrica con Mattia Santori, Roberto Morotti, Giulia Trappoloni e Andrea Garreffa ha raccolto una miriade di polemiche che hanno costretto il movimento a scusarsi ufficialmente per l’inciampo. Anche Jasmine Cristallo, celeberrima sardina calabrese con un passato da attivista politica, ha giudicato negativamente la fotografia. Un autogol mediatico che i ragazzi di Bologna avrebbero dovuto ampiamente prevedere, soprattutto a fronte della loro sicura esperienza con il mondo dei social e con quello che quest’ultimo riserva a chi sbaglia.

Anche da Pistoia e da Napoli son arrivati segnali di scissione. La fotografia, però, potrebbe rappresentare solamente una blanda giustificazione a fronte dell’inoperosità della sede centrale di fronte agli eventi elettorali post-Emilia Romagna. Un movimento così grande, il quale ha raccolto più di centomila persona a Roma, senza una chiara strategia per continuare a sopravvivere in mare aperto. Cosa accadrebbe se altri banchi di Sardine decidessero di praticare la più nobile iniziativa della sinistra italiana, cioè la scissione? In realtà nulla, poiché Santori e amici hanno prontamente deciso di registrare il marchio. Nessuno potrà fregiarsi del titolo di Sardina senza il loro consenso. Una mossa che ha fatto storcere il naso a parecchi detrattori e che avrebbe un senso se ci trovassimo di fronte ad un partito politico vero e proprio, cosa che le Sardine apparentemente non vorrebbero essere. A questo punto, però, la domanda sorge spontanea: in questo momento cosa vogliono essere le Sardine?

Sicuramente non degli squali, come Oliviero Toscani, il quale ha colto la vicenda della foto per strumentalizzarla e tirare fuori una delle frasi più inquietanti mai pronunciate, quella sul Ponte Morandi, che altro non ha fatto che peggiorare la situazione di Mattia Santori e dei suoi amici. Non che quella di Ogongo sia delle migliori, è chiaro, poiché è ancora fulgido e ben saldo il momento in cui il leader di Roma cercò di invitare alla manifestazione di San Giovanni anche Casapound. Le Sardine di Bologna sono intervenute per coprire la vicenda, mettendo in chiaro alcuni valori dell’antifascismo da cui non si sarebbe potuto transigere. In questo caso, la fotografia è apparsa sui social e sui giornali contro la volontà dei pesci azzurri, i quali avevano chiesto di non pubblicarla. Loro erano consapevoli della pericolosità di una tale immagine e soprattuto erano a conoscenza del polverone che si sarebbe creato ma hanno voluta farla lo stesso. Ed è questo che non torna. Una mossa davvero “ingenua”. Le Sardine, consce delle potenzialità dei social, dato anche l’uso che ne fa il loro avversario Salvini, hanno commesso un errore davvero grossolano, il quale potrebbe minare la loro legittimità.

Sardine controcorrente

Lo strappo di Roma, anche se totalmente individuale, mina la base dello stesso movimento. Appare chiaro che in tutta Italia qualcuno abbia colto la palla al balzo per raccogliere un po’ di visibilità per una futura carriera politica, oscurando i buoni propositi, per una candidatura sicura. Inoltre non è una novità che molti politici, soprattutto di sinistra, abbiano sfruttato le Sardine per ottenere legittimazione. Basti vedere la strumentalizzazione che il Partito Democratico ha fatto delle piazze piene, le stesse che da un po’ di anni non riescono più a riempire.

Ciò che però suscita una serie di dubbi è la presenza di alcuni politici all’interno delle Sardine di Roma. Cosa ci fanno e soprattutto perché sono i moderatori del gruppo? L’ex M5S Adriano Zaccagnini, famoso per gli insulti a Roberto Burioni, è iscritto da novembre 2019 con il ruolo di moderatore. Ha scritto solamente due post ma davvero emblematici, i quali accosterebbero la freschezza delle Sardine a quella dei grillini della prima ora. E mentre qualcuno linka anche le frequentazioni di Ogongo con Fassina, gli altri discutono della leadership di Mattia Santori.

Non appare dubbio che ciò che ha mosso Ogongo verso la scissione è stato proprio l’avvicinamento di Santori a valori di sinistra. Infatti, lui glielo rimprovera senza nessuna remora. Fino a quando si è trattato di combattere un determinato modo di fare politica, il minimo comune denominatore è stato l’unità; ora che la tensione è diminuita e le regionali che hanno dato vigore al movimento sono alle spalle, sono emersi i primi malumori sulla conduzione post-elettorale. Adesso Ogongo, domani sarà qualcun altro. L’indecisione, l’inattività e il disaccordo condizionano fortemente l’ambizione di coloro i quali hanno qualche aspirazione politica.

Se le Sardine vorranno avere un futuro non basterà solo registrare il marchio. Servono una presa di coscienza collettiva sul da farsi, una chiara svolta nella leadership, più tentacolare, e una strategia comunicativa. Farsi demolire da giornalisti del calibro di Senaldi e Sallusti non è proprio una bella pubblicità. La condizione ondivaga con cui Santori ha condotto i blitz in tivù è stata a dir poco farsesca. Gli inciampi su alcune domande hanno dimostrato tutta la loro ingenuità politica, permettendo a vecchi volponi di smontare le loro ragioni e presentarli come gli “ennesimi noiosi radical chic”. Una cosa che non rende giustizia ai loro nobili principi.

Meno tivù, almeno per ora, e più contenuti di senso compiuto e che vadano ben oltre i punti di Roma. D’altronde, onde evitare la quasi-fine ingloriosa dei grillini e per non replicare l’insuccesso dei Girotondi, le Sardine dovranno avere il coraggio di uscire in mare aperto. Dovranno essere meno di sinistra, nel senso “italico” del termine, e più di “sinistra-sinistra”.

Donatello D’Andrea

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