Arte o vandalismo? Il Writing raccontato da Alessandro Mininno
Fonte immagine: https://www.artribune.com/editoria/2021/11/libro-graffiti-writing-italia-alessandro-mininno/

«Il Writing esiste in Italia da quarant’anni, ma ancora molte persone confondono le Tag con le scritte politiche, coi graffiti della Val Camonica e con la Street Art.» Con queste parole Alessandro Mininno presenta e introduce la nuova edizione di un’opera già in commercio da oltre dieci anni intitolata “Graffiti Writing in Italy 1989-2021“. Alessandro Mininno dal 2003 cura mostre sul fenomeno del Writing e su diversi artisti che in un modo o nell’altro hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo dello stesso in Italia.

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Graffiti Writing di Alessandro Mininno

L’opera, nata in seguito ad un meticoloso lavoro di ricerca, sarà presentata il 20 Novembre alla rassegna “The Art Chapter” di Milano, ed il 4 Dicembre nella cornice della Triennale. Tra le righe di queste pagine vi è il desiderio, da parte dell’autore, di riportare alla luce una realtà spesso offuscata da errate convinzioni e pregiudizi socio-culturali. Il Writing o Graffitismo è difatti spesso associato ad atti vandalici commessi da giovani ribelli il cui unico intento sarebbe quello di deturpare il decoro urbano. Forse però, ciò di cui tale fenomeno necessita è una nuova chiave di lettura, come lo stesso Mininno sostiene. «Ogni tentativo di cancellare queste scritte è stato, e sarà sempre, peregrino. Forse, sarebbe opportuno iniziare a leggerle

Come e perché nasce il Writing

È dall’unione di altri due grandi fenomeni, il muralismo e la cultura giovanile dell’hip hop, che attorno agli anni Settanta comincia ad affermarsi il Graffitismo.

Il muralismo insorge durante il Paleolitico quando i nostri antenati hanno dato vita per la prima volta a rappresentazioni rupestri parietali raffiguranti episodi di vita quotidiana, dunque di lotta e di caccia, attestando così l’innata esigenza dell’essere umano di entrare in relazione con l’altro. Tuttavia, quando oggi si parla di muralismo si tende a far riferimento al movimento pittorico nato in Messico nei primi anni del Novecento, diffusosi poi nel resto del mondo assumendo col tempo i tratti di quella che viene definita “l’arte ufficiale della rivoluzione” (in Cile, ad esempio, si volevano riportare alla luce le barbarie dell’oppressione vissuta durante il Governo di Salvador Allende).

L’hip hop invece si sviluppa per le strade dei quartieri periferici, i cosiddetti ghetti del Bronx americano. Esso affonda le sue radici nel desiderio di protesta e di contrasto del razzismo, del consumismo, dei messaggi veicolati dai mass media, al fine di dar voce e potere alle nuove generazioni che, così facendo, si servono dell’ambiente loro circostante per esprimere la propria identità e il proprio malessere.

Il Writing è, in sintesi, l’estensione di un movimento reazionario e di protesta che si manifesta sottoforma di scritte parietali. Se però il muralismo era solito esprimersi attraverso vere e proprie rappresentazioni artistiche, il graffitismo ha fatto proprie quelle che vengono definite tag, firme che il writer esegue quasi a voler lasciare traccia di sé o del gruppo d’appartenenza, perciò anche dette indicatori di identità. In principio era assai diffuso l’accostamento del proprio nome, o abbreviazione dello stesso, o anche del proprio pseudonimo, al numero della strada o del quartiere abitato, come dimostra Taki 183 di cui nel 1971 parlerà per la prima volta il New York Times affermando: «Taki is a Manhattan teenager who writes his name and his street number everywhere he goes. […] His TAKI 183 appears in subway stations and inside subway cars all over the city, on walls along Broadway, at Kennedy International Airport. […] And he asked: “Why do they go after the little guy? Why not the campaign organizations that put stickers all over the subways at election time?”»

In seguito, l’elaborazione del writing ha cominciato ad evolversi ed espandersi sino ad indicare talvolta caratteristiche personali, modi di fare o peculiarità del writer stesso.

Tuttavia la sperimentazione ha nel tempo riguardato anche gli stili. Gran parte dei writers hanno di fatto ben presto dedicato il proprio tempo al perfezionamento degli stili sino ad allora adottati, dilettandosi in tecniche sempre nuove. Tra quelli più frequentemente impiegati possiamo individuare il Wild Style che consiste nella realizzazione di scritte quasi indecifrabili agli occhi del ricevente poiché caratterizzato da lettere sovrapposte – perciò si parla anche di lettering – ed una serie di elementi decorativi che mirano a rendere quanto più complesso possibile il graffito; il 3D Style che invece permette di attribuire un’apparente profondità al proprio operato; il Blockbuster che consiste nel realizzare lettere in stampatello molto grandi e quadrate, una pratica alquanto rapida, di solito utilizzata per coprire graffiti esistenti. Grazie al passaggio dal pennarello, facile da nascondere tra gli indumenti ma dal marchio evanescente, alla bomboletta spray che innalza il livello di tale arte e dei suoi artisti che possono ora lasciare segni ben più evidenti del loro passaggio, è stato possibile “giocare” con forme e colori nuovi.

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Fonte: https://www.cieloterradesign.com/geco-graffiti-street-art/

Alla luce di tali considerazioni appare dunque opportuno chiedersi se il Writing sia davvero da condannare o se, al contrario, possa costituire una delle molteplici sfumature del reale, del mondo artistico e sociale. Questo perché, nato come fenomeno rivoluzionario e illegale, senza ombra di dubbio il Writing sarà sempre accompagnato da tali aspetti. Ci troviamo di fronte a una realtà che non è destinata a scomparire, a un fenomeno che – come afferma Alessandro Mininno – «non può essere arrestato, né congelato in una galleria, in un museo». Avendo sin dagli albori fatto della strada la sua culla, non potrà mai sottostare alle imposizioni di un ambiente circoscritto e destinato a pochi: cesserebbe, in quel momento stesso, di essere Graffitismo. È un fenomeno urbano e come tale va riconosciuto e accettato.

Da un punto di vista sociale, inoltre, il fenomeno può assumere una connotazione ben diversa da quella dell’atto vandalico. Diversi writers affermano difatti di aver vissuto o ritrovato, attraverso questa particolare forma d’arte, un valore importante, quello dell’appartenenza. “Imbrattare i muri” non è sempre stata un’azione individuale. Questo momento è stato per molti un’occasione di incontro, di scambio e di crescita reciproca, di affiliazione al gruppo. Sono nate così le crew, gruppi di giovani artisti che congiuntamente operano al medesimo lavoro perché accomunati dal medesimo obiettivo.

Perché, allora, non fermarsi ad osservare queste macchie di colore che ci circondano? La deturpazione del volto di una statua o dell’immagine di un monumento è da considerarsi reato; un muro, se anonimo, potrebbe solo prender vita.

Aurora Molinari

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