Renè Magritte - ''Gli amanti'', 1928 (Catelbuono .Org)

Il filosofo d’origini sudcoreane Byung-Chul Han nel suo breve saggio Eros in agonia testimonia con forza penetrante come l’individualismo contemporaneo – frutto del capitalismo globalizzato – funga da agente necrotizzante a detrimento dell’amore. Il soggetto moderno, totalmente asservito alla ragione economica e recluso nella dimensione digitale, tende alla contabilizzazione e all’iper-esposizione d’ogni elemento della propria esistenza ma di per sé lo slancio spiritualmente sovversivo dell’amore non può adeguarsi alle omologanti esigenze consumistiche e voyeuristiche.

Infatti, secondo Byung-Chul Han la weltanschauung capitalistica confacente al principio di prestazione prevede l’addomesticazione e la manipolazione della forza liberatoria dell’eros. Qualsivoglia organizzazione socio-economica d’una determinata società si struttura mediante l’esercizio del potere, pertanto i meccanismi posti in essere sono funzionali alla preservazione dello status quo nella prospettiva del lavoro e della civilizzazione. In ciò uno degli aspetti rilevanti è la gestione e il controllo della sfera corporea e riproduttiva, quindi la normativizzazione e il disciplinamento della fantasia libidica e in generale della sessualità. Dunque, essendo la pulsione sessuale identificata come minacciosa per l’ordine costituito va repressa e sussunta sotto il principio della prestazione produttivistica: le energie vengono convogliate esclusivamente nel rapporto d’immediatezza corporea, cioè di mero sfruttamento genitale.

Nella civiltà odierna è in atto una surrettizia repressione della sessualità, attraverso l’incitamento a goderne ad libitum però nella sua riduzione a pura genitalità. Attualmente la società liberalizza e si serve delle perversioni a scopo prettamente utilitaristico: tutte le tendenze erotiche devono sublimarsi forzatamente nella mercificazione. Qui si dispiega l’autoperpetuantesi dominio reale del capitale: il corpo non può essere amato ma solo consumato.

Pertanto, secondo Byung-Chul Han da tale potenzialmente infinita offerta di corpi ne scaturisce la crisi totale dell’eros poiché tutto viene omogeneizzato in quanto oggetto del consumo. Il soggetto moderno è alla stregua d’una macchina, infatti deve vivere un’esistenza appianata e funzionale, due sono le condizioni: o è efficiente o è guasto. Dunque, il corpo è un oggetto funzionale da ottimizzare costantemente, venendosi a creare così mere differenze commutabili e consumabili. Perciò in questo inferno dell’uguale non avviene realmente alcuna esperienza erotica bensì solo una crescente trasformazione narcisistica del sé e un’irrefrenabile erosione e sessualizzazione dell’Altro.

«L’espulsione dell’Altro mette in moto un diverso tipo di processo distruttivo, quello cioè di autodistruzione. Vale in generale la dialettica della violenza: un sistema che non riconosce la negatività dell’Altro sviluppa tratti autodistruttivi». (Byung-Chul Han, L’espulsione dell’Altro).

Byung-Chul han
Byung-Chul Han (Artribune)

Byung-Chul Han: Soggetto di prestazione e Porno

Nell’opera Eros in agonia viene descritta una società sempre più narcisistica in cui il soggetto investe la libido primariamente verso la propria soggettività e di conseguenza ne deriva un’evidente incapacità di riconoscere l’Altro e di accettarne l’alterità. Dunque, per il soggetto moderno ha senso unicamente ciò in cui può riconoscere il proprio ego, però l’effetto infausto che si scatena è l’inabissamento dell’individuo nell’ombra di sé sino a un vero e proprio annegamento psichico. La libertà illimitata del consumo si rovescia in una vita emotiva ripiegata narcisisticamente su se stessa, assolutamente restia all’incontro con l’alterità dell’Altro. Non a caso Byung-Chul Han ritiene tale soggetto narcisistico-depressivo profondamente logorato da se stesso e, in virtù di ciò, senza mondo e completamente abbandonato dall’Altro.

Dunque, l’homo oeconomicus oberato dal paradigma della performance e del profitto soggiace inevitabilmente a un esaurimento e a una depressione dovuti alla positivizzazione assoluta del sé commerciale, del lavoro e della competitività. In un contesto globalizzato tale ideologia di positività produce una dissoluzione di tutti i limiti umani nell’iper-produzione indistinta di informazioni, immagini e merci, ragion per cui la mitologia aziendale e la pornografia emotivo-individualistica hanno fatto sì che proliferassero modelli plagianti e irraggiungibili d’efficienza, di auto-realizzazione e di benessere.

Le immagini identificative dell’essere umano «perfettibile» del capitalismo manageriale sono invadenti e propongono alla persona che ne accetta la disciplina un progetto che non mira ad altro che alla sua felicità mentre lo immette in un vortice di compulsiva ricerca di soddisfazione e di scacco cognitivo. Però, in realtà, la vita è scandita senza sosta dal rintocco della triste certezza d’essere inadeguati e dall’annichilimento del desiderio; così si evidenzia l’irriducibile distanza che separa il singolo dalla norma dominante: la spinta vitale del soggetto auto-alienato è totalmente subordinata al principio di prestazione.

Difatti, la generale precarietà esistenziale e tutte le altre contraddizioni dell’attuale civiltà vengono ascritte esclusivamente alla sfera soggettiva: il tracollo della dimensione social-politica viene traslato a nocumento della dimensione psicologica-individuale.

Byung-Chul Han
Edward Hopper – ”Sole di mattina” 1952 (barbarainwonderlart)

Ognuno è solo con se stesso, con il proprio dolore, con le proprie angosce: la sofferenza è privatizzata e resa individuale. Si smarrisce la dimensione sociale della sofferenza e il potere politico alimentando la colpevolizzazione dell’individuo impedisce la politicizzazione del dolore, ossia la possibilità di tradurre il privato in lotta pubblica.

Ragion per cui il filosofo sudcoreano evidenzia il processo di degradazione dell’Altro, ridotto a specchio d’un soggetto imprenditore di sé ormai avvinto in costanti pratiche di auto-ottimizzazione che sfociano in una libertà costrittiva secondo la quale egli sfrutta se stesso inconsapevole della sua stessa schiavitù. Si verifica così una costante negazione della propria realtà in nome di un «dover essere». Il soggetto moderno atomizzato è non solo atrofizzato a causa dell’ansia d’identità e della patologia dell’insufficienza, bensì è relegato alla passività assoluta nella dispersione tra le cose e i simulacri. Tale condizione è principio e motore di un’iper-attività costante, convulsa e stereotipata, la quale è per l’appunto l’opposto di un’attività pensante. L’iper-attività in tal senso, infatti, si capovolge in pura passività e saturazione, in una mera reazione impulsiva agli stimoli esterni.

Dunque, la rapsodicità accelerata del tempo, l’iperestesia e l’iper-connessione non consentono alcuna sospensione temporale e contemplazione, svilendo così i giudizi, i sentimenti e le emozioni, le quali necessitano per l’appunto di un loro tempo fisiologico ma soprattutto di una tensione dialettica per essere elaborate ed espresse. In tal modo, gli impulsi interni cedono continuamente alla reazione rispetto agli stimoli esterni, seguendone l’emergere e il dissolversi; ciò palesa una dipendenza passiva rispetto all’esterno nel tentativo paranoico di visionare tutto, di divorare tutto, di non lasciarsi sfuggire alcunché.

Byung-Chul Han nota che in tale regime superedonistico che si avviluppa mediante un presente nevrotico e puntiforme, l’amore viene positivizzato in una formula per l’eccitazione e per il godimento spogliata d’ogni negatività: il capitalismo necessariamente estirpa ovunque l’alterità pur di sottomettere qualsiasi cosa all’indifferenziazione, all’immanenza radicale, al consumo e al calcolo edonistico. Pertanto, la trasformazione pornografica del mondo si concretizza in quanto profanazione feticistica del mondo medesimo e dell’inconscio collettivo: il capitalismo – soggiogando ogni cosa all’iper-esposizione e alla spettacolarizzazione – annienta la sessualità profanando feticisticamente l’eros nel porno.

Afferma Byung-Chul Han: «I nuovi mezzi di comunicazione non mettono le ali alla fantasia. La loro alta densità informazionale, soprattutto quella visiva, piuttosto la reprime. L’iper-visibilità non è utile alla forza immaginativa. In questo modo, Il porno – che massimizza, per così dire, l’informazione visiva – distrugge la fantasia erotica».

Il sé moderno percepisce in misura crescente i propri desideri e sentimenti in proporzione all’impatto che le immagini mediali del mercato dei beni di consumo e della cultura di massa hanno sulla sua facoltà immaginativa. Pertanto, l’apparente emancipazione sessuale illude i soggetti sociali, mentre, in realtà, mediante ciò si consolidano e persino potenziano le forme del dominio foriere d’una vera e propria mutazione antropologica e colonizzazione del desiderio. In virtù di ciò, l’iper-sessualizzazione del soggetto e l’incapacità di costruire relazioni non fanno che riprodurre il dominio dell’uguale: biopolitica e consumo coatto.

Tutto ciò rappresenta icasticamente il dominio dell’oggetto sul soggetto.

Fenomenologia dell’Eros in agonia

Una società avversa alla negatività è diametralmente opposta alla non-economia dell’eros e della morte. Ciò ch’è puramente positivo è privo di vita: la negatività, la conflittualità, la contraddittorietà sono essenziali per la vitalità. L’erotismo presuppone la dissoluzione dell’ordine simbolico e dell’individualità disciplinata, perciò la negatività della morte è imprescindibile per l’esperienza erotica. Afferma Bataille: «Dell’erotismo si può dire che è l’approvazione della vita fin dentro la morte». Pertanto, l’amore passa attraverso la morte: il soggetto muore nell’Altro ma a questa fine corrisponde un ritorno a sé; in ciò si sostanzia il dono dell’Altro. Ma un io positivizzato diviene esaurito nel tentativo sempre fallimentare di produrre se stesso oltre se stesso, è incapace sia di guardare l’Altro, sia di ascoltarlo. Ricade continuamente sfiancato, sfibrato all’interno del proprio io, al di qua del mondo, nelle proprie mura difensive costituite d’impotenza e di paura.

Byung-Chul Han
L’urlo di Francis Bacon (ArtsLife)

Secondo Byung-Chul Han il web acutizza questo processo patologico, infatti nella rete d’influenza dell’iper-comunicazione tutto si mescola e l’impellenza del riconoscimento sociale costringe l’utente a trasformarsi in una merce di tendenza; perciò apparenza, assuefazione e simulazione sono aspetti inscindibili dell’universo virtuale. L’estrema facilità con cui è possibile creare prodotti autoreferenziali, grazie alle nuove tecnologie induce a uno smoderato culto della personalità e dell’autenticità. Ma la reduplicazione del sé in un alter ego digitale e le protratte interazioni online incorporano, al di là d’ogni suggestione, una condizione oggettiva di sudditanza, sopraffazione e angoscia. Dunque, in una società capillarmente dominata dal consumo l’individuo ibridato tende a fuggire verso una consumazione ossessiva della propria immagine, con forme di negazione dell’alterità, affogandola in vacui compiacimenti autoreferenziali per una folla anonima di voyeurs.

In totale contrapposizione a ciò l’eros rompe qualsivoglia isolamento, qualsivoglia relazione di natura commerciale, di potere e di simbolizzazione repressiva, cosicché rende effettivamente possibile un’esperienza dell’Altro nella sua alterità, liberando de facto il soggetto dal suo inferno narcisistico ed educastrato.

Citando l’attivista trans-femminista bell hooks: «Il prezzo terribile che gli uomini pagano per mantenere il potere è la perdita della capacità di dare e ricevere amore. Per conoscere l’amore, bisogna rinunciare a ogni forma di potere».

A tal riguardo, Byung-Chul Han in un capitolo del suo saggio fornisce un’interpretazione del significato di Melancholia, il capolavoro cinematografico del regista danese Lars von Trier. Stando al filosofo sudcoreano la pellicola narra dell’avvento di un’apocalisse che condurrebbe il soggetto melanconico a una vera e propria catarsi: il pianeta Melancholia in rotta di collisione con la Terra strappa la protagonista Justine dalla palude depressivo-narcisistica. Dal rifiuto angoscioso d’unirsi in matrimonio si deduce come l’impossibilità dell’amore sia il sintomo d’una profonda depressione, però è nel tentativo d’evadere dall’inferno dell’uguale che Justine, nuda sulle sponde rocciose del fiume come la bella Ofelia, nel parossismo della propria voluttà s’abbandona dinanzi la luce azzurra del pianeta mortifero.

Byung-Chul Han
Lars von Trier – ”Melancholia” 2011 (Tlon)

Lei brama ardentemente la collisione mortale: l’imminente catastrofe la rianima e la apre all’Altro. In questo rapporto tensivo tra amore e morte, tra apocalisse e redenzione avviene la sua metamorfosi da soggetto depresso a soggetto amante. In ciò consiste la dialettica del disastro: la sventura si tramuta inaspettatamente in fortuna.

Citando il poeta tedesco Friedrich Hölderlin: «Lì dove c’è il pericolo cresce anche ciò che salva».

Pertanto, dall’analisi di Byung-Chul Han si comprende che l’eros ha il potere di sconfiggere la depressione. L’amore infrange la cornice opprimente dell’uno, travalica la sua identità narcisistico-immaginaria e fa sì che il mondo risorga diversamente nel rapporto con l’Altro. L’eros è la condizione di possibilità del pensiero stesso, è una categoria vivente che pone le basi per la continua auto-trascendenza del soggetto e per l’impedimento della sua trasformazione narcisistica. Senza eros il pensiero e l’agire perdono ogni vivacità, ogni pathos, ogni relazione dialogica con sé e con l’Altro, pertanto diviene tutto ripetitivo e cumulativo. Dunque, l’essenza di tale evento è la negatività della rottura con l’abituale, dando così vita all’inaspettato. Il soggetto che sprigiona la propria esperienza erotica e corporea diviene una nuova base simbolico-politica capace di porsi di fronte all’intera realtà in modo liberante, in un modo realmente emancipatorio.

L’eros si manifesta – in quanto esperienza e divenire – come desiderio permanente e rivoluzionario.

”Persone e movimento a stazione Termini”, Roma (foto Andrea Agrillo ©)

«Certo che può esistere l’eternità nel tempo della vita, lo dimostra l’amore, la cui essenza è la fedeltà nel senso ch’io do a questa parola. In fondo, che fortuna! Sì, la fortuna dell’amore è la dimostrazione che il tempo può assumere l’eternità». (Alain Badiou)

Gianmario Sabini

Gianmario Sabini
Sono nato il 7 agosto del 1994 nelle lande desolate e umide del Vallo di Diano. Laureato in Filosofia alla Federico II di Napoli. Laureato in Scienze Filosofiche all'Alma Mater Studiorum di Bologna. Sono marxista-leninista, a volte nietzschiano-beniano, amo Egon Schiele, David Lynch, Breaking Bad, i Soprano, i King Crimson, i Pantera, gli Alice in Chains, i Tool, i Porcupine Tree, i Radiohead, i Deftones e i Kyuss. Detesto il moderatismo, il fanatismo, la catechesi del pacifismo, l'istituzionalismo, il moralismo, la spocchia dei/delle self-made man/woman, la tuttologia, l'indie italiano, Achille Lauro e Israele. Errabondo, scrivo articoli per LP e per Intersezionale, suono la batteria, bevo sovente per godere dell'oblio. Morirò.

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