Carlo Giuliani
Fonte immagine: Medium.com, © Diego Remaggi

Il volto di Carlo Giuliani è giustamente diventato l’icona di una lotta che va al di là delle ideologie partitiche, degli estremismi, dei fanatismi, fino ad approdare ad una più intransigente ed ampia lotta per i diritti (in primis quello di manifestare liberamente il proprio pensiero, come da art. 21 della Costituzione) che è costata la galera ad alcuni, la scorta ad altri e la vita a Carlo Giuliani nel vicinissimo 2001.

Sono trascorsi diciotto anni da quell’omicidio di Stato. Carlo Vive, si legge tutt’oggi sulla scalinata di via Cialdi nel quartiere Garbatella di Roma; tutt’oggi si parla di Carlo Giuliani nelle commemorazioni, nelle associazioni, in occasione di qualche fiore posto sul cippo a lui dedicato (quello che la Lega ha intenzione di rimuovere) eppure sempre sottovoce, senza esami di coscienza.

Una questione che più parti auspicano finisca nel dimenticatoio. Ma bisogna tenere vigile lo sguardo nella memoria del passato, affinché la costruzione del presente sorga non sulle ceneri sparpagliate di vite spezzate invano, ma sui valori in nome di cui quelle vite sono state interrotte.

La vita di Carlo Giuliani è stata interrotta troppo presto, a 23 anni. Carlo non era un eroe, né un martire, né passerà agli annali per superflui personalismi. Carlo non avrebbe nemmeno voluto essere un eroe della patria, altrimenti quel giorno non sarebbe sceso in piazza da manifestante qualunque, in una piazza qualunque, con una non ostentata spontaneità, non propria di chi invece ambisce a diventare eroe.

I martiri sono quelli che si sacrificano coscientemente: Carlo Giuliani non voleva morire, voleva vivere e lottare, aveva una società da provare a cambiare. Carlo Giuliani era semplicemente un ragazzo che lottava per degli ideali, al di là di ogni ricostruzione fantascientifica postuma.

Innumerevoli sono stati i tentativi di classificarlo come terrorista, vandalo, black bloc, pericolo pubblico, etichettature senza fondamento logico appiccicate da coloro che rappresentando e agendo in nome dello Stato hanno sparato ad un manifestante con tanto di assoluzione o da quelli che ne fanno una questione politica speculando su una tragedia di Stato. Si possono occultare le prove, si può convincere con costruzioni argomentative, ma i fatti sono fatti e quelli, se non finiscono nell’oblio, valgono più di mille processi.

Quel venerdì di fuoco e di sangue

20 luglio 2001: Carlo Giuliani aveva preso parte alle proteste contro il G8 di Genova, assieme al movimento no-global che attraverso il motto Think global, act local aspirava ad un futuro meno globalizzato, con meno sfruttamento minorile, meno guerre, meno terrorismo e un ambiente più sano. Idee che, in mancanza di microfoni a loro riservati nel Palazzo, venivano espresse in piazza in occasione del forum economico degli otto capi di governo dei maggiori paesi industrializzati.

Anni dopo, anche la scelta di svolgere il G8 a Genova appare piuttosto provocatoria, in quanto era noto il clima caldo nella città e l’attivismo dei movimenti no-global sul territorio, perché c’erano tutti i segnali prodromici di reazioni simboliche e legittime.

Una manifestazione autorizzata, un diritto di esplicare il proprio pensiero autorizzato, eppure qualcos’altro di ugualmente e illegalmente autorizzato (l’ordine di reprimere il dissenso) ha prodotto un declassamento del concetto politico e sociale di umanità e di civiltà.

Durante quei giorni, gli scontri tra forze dell’ordine e manifestanti degenerarono in una delle pagine più vergognose della storia della Repubblica italiana e della storia della Giustizia: dal massacro della scuola Diaz ad opera delle forze dell’ordine (si consiglia la visione del film “Diaz- Non pulire questo sangue”), al massacro della caserma di Bolzaneto, all’omicidio di Carlo Giuliani sparato dal carabiniere Mario Placanica, poi assolto dalla Giustizia Italiana per aver reagito per “legittima difesa”, sparando con un’arma da fuoco ad un ragazzo “armato” di estintore.

Il meraviglioso senso della proporzione.

L’unica forma di giustizia per Carlo Giuliani è il ricordo popolare

Sono trascorsi diciotto anni e su questa vicenda non c’è ancora ombra di maturità e il presunto senso di responsabilità di un maggiorenne: restano ancora tanti abusi non puniti, segreti, cose non dette. Filmati, immagini, testimonianze dei fatti e un susseguirsi di archiviazioni, assoluzioni, giustificazioni, costituzioni in parte civile, esiti incivili, cose politiche, cose più grandi della evidente e innegabile uccisione di un ragazzo e di violenze e abusi gratuiti nella scuola Diaz.

Che i fatti di Genova siano stati tortura gratuita, e poco o niente c’entra l’ordine pubblico, lo confermano i testimoni oculari, tra cui Marco Poggi per le violenze di Bolzaneto. Lo conferma anche la Corte di Strasburgo che parla di “atti di tortura”, “di accantonamento dei principi-cardine dello Stato di diritto”.

Lo dicono tutti, o quasi.

A diciotto anni dai fatti di Genova, oggi deve essere più che mai nitido il suo ricordo, il suo esempio, il suo messaggio, perché chi dimentica è complice di un sistema malato, è complice di un sistema che tenta di occultare “gli errori di percorso”, che inventa stratagemmi giuridici o esimenti a mo’ di giustificazione.

Carlo Giuliani vive: vive in chi ha memoria storica, in chi ancora crede che un altro mondo sia possibile.

Melissa Bonafiglia

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