Era il 21 Luglio del 2001 quando a Genova si svolgeva il G8 e una parte della popolazione organizzava una manifestazione di protesta, che avrebbe segnato la memoria della repressione italiana per i risvolti tragici ed allucinanti con cui si concluse.

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Carlo Giuliani, rimasto ucciso durante il G8

A quasi quindici anni di distanza, la Corte per i diritti umani di Strasburgo ha deciso di condannare l’Italia per gli episodi di violenza, tortura e abuso di potere esercitati contro i manifestanti per mano delle forze dell’ordine, all’interno della scuola Diaz di Genova. Un ragazzo, Carlo Giuliani, perse la vita in difesa della lotta al capitalismo. Il bilancio dei feriti di quella giornata ammontò a circa 60 persone, mentre tutti i risiedenti nello spazio scolastico, ossia una novantina di manifestanti, furono arrestati.

Arnaldo Cestaro, 75 anni, partecipava quel giorno in qualità di militante per Rifondazione Comunista. Le forze dell’ordine, in un raptus di aggressione collettiva e studiata, provocarono all’allora sessantaduenne varie fratture a braccia, gambe e costole, per cui ha dovuto subire numerosi interventi che comunque non hanno sanato del tutto la sua condizione fisica. Ad oggi, la Corte europea ha stabilito un risarcimento morale da parte dello Stato italiano verso Cestaro, ammontante a 45 mila euro. Negli anni a seguire, egli è diventato un membro attivo del Comitato Verità e Giustizia per Genova, ed oggi dichiara alla stampa: “I soldi non risarciscono il male che è stato fatto.  Ho 75 anni ma non cancellerò mai l’orrore vissuto. Ho visto il massacro in diretta, ho visto l’orrore del nostro Stato. E’ vero, è un primo passo quello di oggi, ma mi sentirò davvero risarcito solo quando lo Stato introdurrà il reato di tortura.”

Su quest’ultimo passaggio politico, circa l’introduzione al reato di tortura, la Corte di Strasburgo si è espressa con rigore e determinazione contro il nostro paese, evidenziando l’insufficienza gravosa dell’Italia nel non saper né prevenire, né responsabilizzare o tantomeno individuare un nucleo di colpevoli a cui imputare delle azioni di aggressioni palesemente fasciste. Le sanzioni inflitte al nostro Stato, infatti, non riguardano solo il risarcimento individuale a seguito dei traumi psicologici e fisici scaturiti da quella giornata: innanzitutto, la Corte ha stabilito all’unanimità che l’Italia ha violato l’articolo 3 della Convezione sui diritti dell’uomo, la quale recita che “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

Il reato di tortura, dunque, ancora assente dalla legislazione italiana, è diventato il tassello su cui far vertere nuove necessità di trovare soluzioni legali, che sappiano garantire la sicurezza pubblica, come il rispetto dell’individuo; ma che soprattutto siano efficaci nel ricomporre una frattura tra la componente sociale e le istituzioni – queste ultime spesso e volentieri scortate dagli organi di sicurezza in assetto antisommossa contro una protesta. Subito dopo gli avvenimenti del G8, vociferava l’idea di porre rimedio all’emergenza attraverso nuove leggi costituzionali in grado di tutelare i cittadini dal reato di tortura, sebbene il Parlamento poco dopo ne bocciò l’intenzione, con forti opposizioni soprattutto dalla Lega Nord.

Adesso che sono passati quindici anni, non si può dar per scontato che sia stata fatta giustizia, considerando che il percorso verso la redenzione dai peccati delle politiche italiane potrebbe proseguire sulla scia dei compromessi e delle contraddizioni. Ad oggi, dall’Europa, oltre che le sanzioni ricaviamo la spinta per il progetto di una nuova legislazione che sappia inserire il reato di tortura, affinché gli eventi di regressione civile non diventino più numerosi. L’ingiustizia svoltasi nell’assenza dei reali colpevoli, e con l’omertà delle autorità competenti “non è imputabile agli indugi o alla negligenza della magistratura, ma alla legislazione penale italiana che non permette di sanzionare gli atti di tortura e di prevenirne altri”. Da Strasburgo, inoltre, ci insegnano che per chi usa repressione, violenza e uccide il prossimo non devono esistere né prescrizione, né amnistia né grazia.

Alessandra Mincone

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