Intervista a Giuliano Granato, portavoce di Potere al Popolo
Simbolo di Potere al Popolo (pagina Facebook)

Se guardiamo alla Spagna o alla Francia, notiamo che Podemos e La France Insoumise hanno avuto origine da movimenti popolari quali gli Indignados e i Gilets Jaunes, i quali non conducono una battaglia per un obiettivo vertenziale, ma mettono in discussione gli assetti del potere costituito. Abbiamo perciò intervistato il portavoce di Potere al Popolo, Giuliano Granato, per conoscere l’anima partecipativa di Unione Popolare che tende ad agire al di fuori delle istituzioni politiche.

Potere al Popolo si è mostrato molto vicino alle lotte dei lavoratori della GKN plc, della Whirlpool Corporation e della Wartsila Group. Quali sono le vostre proposte contro la delocalizzazione delle imprese presenti sul territorio nazionale?

«La nostra proposta si muove su più piani: su quello della mobilitazione sociale e politica. Variabile troppo spesso sottovalutata e invece decisiva per far pendere l’equilibrio delle forze dal lato dei lavoratori e non da quello delle grandi multinazionali. Sul piano istituzionale, la nostra proposta di legge è già depositata in entrambi i rami del Parlamento. Chi oggi versa lacrime per la delocalizzazione della multinazionale finlandese della Wartsila, sta versando lacrime di coccodrillo: in Commissione Bilancio al Senato, nel dicembre 2021, praticamente tutti i partiti presenti in Parlamento hanno rigettato la nostra proposta, appoggiando quella del Governo, che di fatto lascia mano libera alle grandi imprese. La nostra proposta prevede per tutte le imprese sopra i 100 dipendenti, a maggior ragione se hanno preso soldi pubblici, un principio di semplice buon senso: non puoi chiudere e delocalizzare semplicemente perché cerchi più profitti; perché così facendo rischi di devastare il tessuto sociale e produttivo. Se poi, tu grande impresa, proprio ti ostini a voler andare fino in fondo, allora dovrai restituire i soldi pubblici di cui hai goduto, non potrai partecipare a nuove gare e bandi per un certo lasso di tempo e, soprattutto, i lavoratori e le lavoratrici potranno decidere se prendere nelle proprie mani la produzione e portarla avanti. In caso contrario, sarà comunque lo Stato, attraverso Cassa Depositi e Prestiti, ad assicurare continuità produttiva e occupazionale».

Potere al Popolo è molto attivo nel contrastare il lavoro nero. Quali sono le vostre proposte per evitare condizioni di lavoro caratterizzate dallo sfruttamento, dalla mancanza di contratti e da nessuna tutela, che troppo spesso le persone sono costrette ad accettare?

«Siamo gli unici che nel programma politico elettorale mettono nel mirino la lotta al lavoro nero. Che si fa a partire da un rafforzamento dei controlli. Per anni l’Ispettorato Nazionale del Lavoro è stato indebolito e marginalizzato; noi crediamo debba essere il perno di un sistema che come obiettivo abbia la tutela della salute, della sicurezza e delle condizioni di lavoro di milioni di uomini e donne che sono il cuore pulsante del Paese. Lo si fa cominciando con 10.000 assunzioni, in modo da avere un organico minimamente sufficiente alla mole di lavoro prevista per controllare ben 4 milioni di imprese in tutto lo stivale. A livello territoriale continuiamo a proporre protocolli di intesa tra Ispettorato e Comuni, così da condividere le banche dati e poter aumentare il deterrente delle sanzioni contro il lavoro nero: a Napoli abbiamo fatto siglare un simile protocollo che prevede che, nel caso l’INL scopra lavoratori a nero in un’impresa che gode di spazio pubblico, la concessione di quello spazio possa essere sospesa. Allo stesso tempo, a livello regionale, chiediamo da tempo un’altra misura a costo zero: indirizzare i controlli delle Forze dell’Ordine verso questo tipo di controlli. Infine, anche qui l’elemento della mobilitazione: coi nostri sportelli del lavoro gratuiti aiutiamo ogni giorno centinaia e centinaia di lavoratrici e lavoratori a ottenere almeno parte del maltolto e, con loro, costruiamo presidi e manifestazioni dinanzi a luoghi emblematici, pubblici o privati che siano».

Parliamo adesso di un sistema di protezione sociale italiano voluto dal Movimento 5 Stelle, ovvero il reddito di cittadinanza. Secondo Potere al Popolo, questo provvedimento si è rivelato un aiuto concreto per le famiglie oppure ritenete che esso ha finito per danneggiare il mondo del lavoro?

«È stato certamente un aiuto concreto, che ha permesso a un milione di persone di non ricadere nella povertà assoluta. È sotto costante attacco perché il blocco sociale al potere non può accettare che 8 miliardi all’anno vengano destinati alla gente comune e non a chi sempre ne ha goduto: il sistema delle grandi imprese. Ma c’è di più: il reddito di cittadinanza permette ogni giorno a tanti di sottrarsi al ricatto di un mondo del lavoro in cui, soprattutto al Sud, le offerte disponibili sono troppo spesso di bassi salari, condizioni inverosimili, spesso addirittura truffaldine (finti part-time; richiesta di restituzione di parte della retribuzione, ecc.). Andrebbe però considerato come misura di contrasto alla povertà e sganciato dalle politiche attive sul lavoro. Il M5S che ne ha permesso l’introduzione nel nostro ordinamento, è succube di un’egemonia imprenditoriale, per cui le varie modifiche intervenute vanno nell’ottica di criminalizzazione della platea, di maggiori condizionalità e di un maggior potere per le imprese».

Arriviamo perciò alla vostra proposta del salario minimo garantito. Potere al Popolo ritiene che un provvedimento del genere possa tutelare il lavoratore e allo stesso tempo incentivare l’occupazione?

«In Italia oltre 5 milioni di lavoratori e lavoratrici guadagnano meno di 10€ lordi l’ora. Una miseria. E non parliamo solo di contratti pirata, di forme illegali, ma anche di CCNL perfettamente leciti, siglati da organizzazioni imprenditoriali e sindacali assolutamente rappresentative. Anche qui abbiamo già una proposta scritta: il 26 settembre sarà la prima che faremo entrare in Parlamento e, a differenza di chi ne ha già depositate altre, daremo battaglia dentro e fuori i palazzi istituzionali, perché le battaglie non si vincono semplicemente in punta di diritto, ma solo se c’è un’egemonia e una forza nel corpo della società. È questo elemento di attivazione perenne, di costruzione di partecipazione e protagonismo politico popolare, che ci distingue dalle altre forze politiche. Ovviamente il salario minimo non basta. Servono controlli per verificarne la concreta applicazione. E serve una lotta al precariato: perché se lavoro poche ore a settimana, anche uno stipendio orario di 10€ non sarà sufficiente. Bisogna perciò abolire il Jobs Act e cominciare a fare come in Spagna: impedire il ricorso a contratti a termine se non in casi eccezionali e far sì che i contratti a tempo indeterminato – col ritorno anche dell’art. 18 – diventino realtà. Infine serve una politica industriale con un ruolo da protagonista dello Stato che consenta di evitare che l’Italia divenga “parco giochi” di ricchi stranieri. Non per una questione di “dignità nazionale” ma perché il turismo è un settore a bassi salari. Serve invece fare dell’Italia una piattaforma chiave nelle produzioni necessarie alla transizione ecologica. Per una volta a cominciare dal Meridione».

Il 9 luglio, Potere al Popolo ha aderito all’Unione Popolare. Possiamo definirla un cartello elettorale, ovvero l’unione di più partiti che si presentano alle elezioni in una sola lista per evitare una dispersione di voti?

«Unione Popolare è il tentativo di unire un popolo, prima ancora che alcune organizzazioni. È questo il messaggio più importante che ci ha portato Mélenchon dalla Francia. Siamo consapevoli che per un simile processo non basta il tempo di un’elezione. Serve lavorare nel lungo periodo».

Di conseguenza, l’Unione Popolare come intende conquistare la fiducia delle persone fino a realizzare un vero e proprio movimento popolare capace di consentire alle persone deluse di ritornare ad interessarsi della politica?

«Una pattuglia parlamentare agguerrita all’interno delle istituzioni sarebbe importante. Ma noi partiamo dai bisogni, per costruire, sulla base delle risposte concrete che mettiamo in campo, processi di partecipazione cittadina. Serve un’attivazione cittadina, serve che il malcontento non si esaurisca in suppliche, ma si faccia movimento politico e sociale».

Come si evince, lo scopo principale di Potere al Popolo è quello di svolgere una funzione “destituente”, che punta a distruggere il presente, e allo stesso tempo si assume un compito “costituente”, perché tenta di dare nuove forme, nuovi linguaggi, per poter provare a creare un futuro migliore rispetto a quello che propongono le classi dominanti al potere.

Gabriele Caruso

Gabriele Caruso
Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, mi occupo soprattutto di indagare la politica italiana e di far conoscere le rivendicazioni dei diversi movimenti sociali. Per quanto riguarda la politica estera, affronto prevalentemente le questioni inerenti al Regno Unito.

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