Primarie, nuove primarie, le ennesime. Ogni qualvolta il vecchio Partito Democratico (“affettuosamente” PD) o i suoi vertici versano in profonde difficoltà politiche o elettorali, che siano inflitte o auto-inflitte, si decide di rispolverare l’antico, nonché un po’ arrugginito, strumento delle primarie. Dopo l’ultima assemblea del partito è ufficiale: ritornano le primarie, che non hanno ancora una data precisa, ma verosimilmente si svolgeranno nei primi mesi del 2019.

Nuove e vecchie Primarie

Ve le ricordate le mitiche primarie del 2012? Un clima, diametralmente opposto, carico di vitalità e di ottimismo, vedeva Pierluigi Bersani lanciato verso il governo del Paese, Matteo Renzi giovane promessa per il futuro e Tabacci… Tabacci. Tempus Fugit. Ma non è il caso di abbandonarsi alla nostalgia, il presente incombe: una sconfitta senza precedenti ha travolto il centro-sinistra all’alba delle ultime elezioni politiche.

Ormai da mesi il PD cerca faticosamente di rilanciarsi e di elaborare una nuova linea politica, anche per costruire un ruolo di opposizione al nuovo governo. Il reggente-segretario Maurizio Martina ha profuso grande impegno nell’ingrato compito, ma in assenza di un mandato elettorale, e con il partito logorato dalla litigiosità interna, i risultati sono stati scarsi. Il suo lascito principale sarà proprio l’indizione di nuove primarie, a cui peraltro ha deciso di candidarsi per proseguire un lavoro di ricostruzione e di lancio del partito, ma che finora non hanno raccolto eccessivi entusiasmi.

Con tali premesse, sembra si tratti di un avvenimento di scarsa rilevanza, quasi penoso e lugubre, premessa per il requiem definitivo. Ad avviso di chi scrive, non è così: il PD ha il fascino della “possente fiera” sconfitta e umiliata, una volta invincibile e ora morente ombra di sé, che cerca di risollevarsi per tornare ai fasti di un tempo. Ad ora sembra che sia sul punto di abbandonarsi ed esalare l’ultimo respiro, eppure è proprio adesso, nel momento più vicino alla fine, che tutto è possibile.

Dimettendosi, Martina ha avviato il PD ad una nuova fase congressuale, per selezionare la nuova classe dirigente e darsi una rinnovata proposta politica. Attraverso il nuovo appuntamento elettorale con militanti e simpatizzanti, il PD coltiva legittime speranze di tornare protagonista sulla scena politica, ma solo se il nuovo segretario avrà la forza di portare avanti un rinnovamento profondo, che parta dall’identità e arrivi ai contenuti, passando per la comunicazione del partito. Di chi si tratterà? facciamo delle ipotesi.

Verso le Primarie: la rivoluzione in casa PD si chiama Dario Corallo?
Ansa

Il PD ostaggio tra Renzi e “la Ditta”

Non è ancora chiaro quali saranno tutti i candidati ufficiali tra i numerosi esponenti che si sono proposti senza sciogliere definitivamente le riserve. Partiamo da qualche certezza. Anche stavolta, verosimilmente, si riproporrà lo schema di scontro bipolare ormai classico: la sinistra dem, incarnata solitamente da un ex-DS, contro i cosiddetti “renziani“, che negli ultimi anni hanno largamente egemonizzato il partito. Tuttavia, dopo le ultime pesanti sconfitte elettorali, la guida del partito pare finalmente contendibile per la prima volta dall’ascesa del sindaco di Firenze.

Mentre l’ex-segretario Renzi promuove i suoi comitati civici sul modello macroniano, l’anima renziana del partito sembra convergere sull’integerrimo ex-ministro degli interni, Marco Minniti, ormai candidato ufficialmente alla segreteria. Minniti ha frettolosamente cercato di smarcarsi da questo ruolo subalterno, richiamandosi invece al modello dei sindaci e a una posizione di maggiore mediazione. La proposta politica? Ancora poco chiara, ma sembra sostanzialmente voler riproporre la stessa degli ultimi esecutivi, con qualche rifinitura e una blanda promessa di maggiore attenzione “ai più deboli”. Non un’alternativa rispetto al passato, e forse nemmeno rispetto al presente. Gli elettori hanno già espresso eloquentemente la loro opinione: quella che un tempo era la proposta dei rottamatori, è oggi la proposta da rottamare.

L’altra candidatura finora presentata con ufficialità è quella di Nicola Zingaretti. Il governatore del Lazio è intenzionato a riportare la pace nel PD da sinistra: la sua piattaforma, “Piazza Grande”, lanciata a Roma il 14 ottobre, si è chiusa con un discorso sereno e rassicurante e senza attacchi agli avversari interni, volto a ricompattare le fila dei democratici fuori e dentro alla segreteria, con la promessa di una maggiore attenzione alle questioni dei diritti sociali, in una ritrovata attenzione alle voci dal basso, per ricucire il rapporto con i territori e con i (tanti) delusi del popolo della sinistra.

Verso le Primarie: la rivoluzione in casa PD si chiama Dario Corallo?

Un’operazione lodevole da tutti i punti di vista. Quello che non convince è proprio l’estremo “pacifismo” della proposta di Zingaretti: non mettere in discussione le politiche degli scorsi governi, assieme alla classe dirigente che le ha realizzate, suona come una contraddizione abbastanza stridente. Se si vuole cambiare davvero rotta e proporre politiche keynesiane e di lotta alle disuguaglianze non si possono conservare intatti provvedimenti come il Job’s Act, la Buona Scuola e gli 80 euro.

È sui temi e suoi volti che bisogna costruire il nuovo PD, non sui compromessi e sui ramoscelli d’Ulivo (la lettera maiuscola è voluta, «a buon intenditor, poche parole»). Inoltre, bisogna dirselo, calzare semplicemente i panni della vecchia sinistra senza una proposta più strutturata e accattivante non scalda granché gli elettori (Liberi e Uguali docet).

Fortunatamente, c’è anche un terzo incomodo nella corsa alla Segreteria del PD.

No, non stiamo parlando dell’ex ministro Carlo Calenda, che insiste nel proporre un salvifico “fronte repubblicano anti-populista” guidato dall’ex premier Gentiloni e che dovrebbe portare il PD a dialogare con un’eterogenea varietà di soggetti. In qualsiasi cosa si traduca concretamente questo progetto, non potrebbe esserci nulla di più sbagliato per il Partito Democratico alla ricerca disperata di un’identità politica precisa e di nuovi contenuti, ispirati alla semplicità e alla nettezza rispetto a un progetto così elitario e astratto.

Dario Corallo, bluff o rivoluzione?

Il terzo incomodo a cui ci si riferisce è l’outsider e possibile sorpresa di queste primarie: Dario Corallo.

Giovane militante proveniente dai territori e membro della segreteria dei Giovani Democratici, è pressoché sconosciuto, e non è appoggiato da nessuna corrente.

Verso le Primarie: la rivoluzione in casa PD si chiama Dario Corallo?

Ha annunciato, da pochi mesi, il proprio proposito di candidarsi attraverso un post su Facebook, corredato di una severa critica all’attuale classe dirigente, che ha espresso con parole ferme e decise durante il suo intervento all’ultima, infuocata, assemblea del PD. Preme per un cambiamento radicale, aperto a tutte le istanze della società per mettere al centro «ciò che accade intorno a noi», senza le rigidità ideologiche del passato ma senza paura di proporsi tanto alla sinistra riformista quanto a quella radicale — in un’intervista a La Repubblica confessa di essere sostenuto da compagni (ha detto proprio compagni!) «di Leu, di Mdp, di Potere al Popolo!, mi appoggia pure un compagno marxista-leninista».

Una sorta di nuova rottamazione dunque, accompagnata stavolta da un rinnovamento anche dei contenuti oltre che dei volti, ma altrettanto potenzialmente distruttiva. Del resto di rottamazione, più o meno indiscriminata, il PD ne ha già sperimentata un’altra e non è finita proprio benissimo, specie per la salute dei meccanismi di selezione della classe dirigente e per la conseguente tenuta del partito sui territori. Una forza rinnovatrice, quella di Corallo, che si fa debolezza opposta ma speculare a quella del “pacificatore” Zingaretti.

Inoltre, auto-celebrarsi come “novità” non può essere sufficiente, se l’insieme di queste interessanti premesse manca per il momento di concretezza: un progetto politico chiaro e strutturato non è stato ancora presentato, pertanto non è ancora possibile esprimere qualsiasi tipo di giudizio sul candidato, soprattutto riguardo alla (troppo?) ambiziosa “sintesi” della sinistra a cui ambisce.

Dunque è sicuramente prematuro parlare di rivoluzione, forse eccessivo. Quello di cui il PD ha bisogno sono primarie aperte e intense, per decidere del proprio futuro.

Luigi Iannone

Luigi Iannone
Classe '93, salernitano, cittadino del mondo. Laureato in "Scienze Politiche e Relazioni Internazionali" e "Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica". Ateo, idealista e comunista convinto, da quando riesca a ricordare. Appassionato di politica e attualità, culture straniere, gastronomia, cinema, videogames, serie TV e musica. Curioso fino al midollo e quindi, naturalmente, tuttologo prestato alla scrittura.

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