genere neutro
Fonte: unbabel.com

Il presupposto fondamentale è che la lingua italiana non ha nulla di ideologico, bensì risponde ad esigenze comunicative: l’introduzione di un genere neutro, come esisteva in latino, potrebbe aiutare chi non si riconosce nel binarismo di genere a trovare un modo più efficace di comunicare.

Lingua neutra rispetto al genere: linguaggio sessuato e riconoscimento delle differenze

Alcune lingue sono più neutre di altre rispetto al genere; le lingue che derivano dal latino hanno però delle forti differenze di genere che risalgono all’antichità classica, e poco a poco la loro evoluzione ha escluso il neutro che, tra l’altro, veniva utilizzato per gli oggetti più che per le persone. Cambiare la struttura di una lingua è complesso ed si tratta di un processo non esattamente breve e agevole: anche piccole modifiche potrebbero essere viste e sentite come dei veri e propri atti di ostilità. La soluzione, tuttavia, non può essere quella di cristallizzare il ricorso al sistema binario, poiché la lingua è evoluzione.

Ciclicamente, e con vari livelli di intensità, si polemizza sull’uso di alternative al posto del plurale maschile indifferenziato. Normalmente l’italiano prevede il maschile per indicare il gruppo, anche se questo gruppo è in maggioranza femminile: il maschile sovraesteso. Il dibattito al riguardo non è affatto una novità: già nel 1987 ne aveva parlato la linguista Alma Sabatini nelle sue Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (qui il testo completo), in cui l’autrice spiega come il linguaggio sia intrinsecamente legato all’evoluzione della società e che la nominazione sessuata del mondo va a rappresentare una realtà astratta, percepita come senza corpi. Così non è. Questo è il segno di un rifiuto reazionario che esclude le differenze sessuali e non riconosce il lessico sessuato che pure la lingua italiana offrirebbe.

Alma Sabatini ha smascherato questi stereotipi linguistici, avviando una mappatura del linguaggio e del suo utilizzo, spesso erroneo. Il linguaggio viene la maggior parte delle volte appiattito ad un falso universalismo che ci rende complici nell’uso del neutro declinato al maschile. Il lavoro portato avanti dalla Sabatini è utile oggi per storicizzare e allargare le possibilità offerte dal linguaggio, dimostrare che la grammatica non è ridondanza della realtà ma suo specchio. Il linguaggio è politica e si intreccia con il riconoscimento e l’inclusione della “diversità”.

Come superare il maschile sovraesteso nella lingua italiana: dall’asterisco allo schwa

Qual è il pronome che si usa per identificare una persona? Siamo abituati a “lui” e “lei”, per indicare rispettivamente una persona di sesso maschile e una di sesso femminile. Ma oggi esiste qualcosa di completamente diverso, un pronome neutro per identificare il genere non binario? Questa domanda viene posta sempre più spesso, in relazione al riconoscimento di un più ampio spettro di identità sessuali. Necessario è indagare la relazione che esiste tra generi grammaticali e linguaggio: in linguistica si ritiene che l’italiano abbia due generi, maschile e femminile, che non esistono sostantivi di genere neutro, ma che, nonostante ciò, il neutro non è un concetto completamente avulso dalla nostra lingua poiché lo sin ritrova in meccanismi consolidati dall’uso.

Quali sono, quindi, i metodi che si possono utilizzare ad indicare per iscritto il genere neutro? Innanzitutto l’asterisco. L’asterisco deriva dalla logica booleana e permette di troncare le desinenze maschili e femminili e permette il troncamento anche prima della desinenza quando ci si trovi dinanzi a femminili irregolari.

(fonte:helping-you-learn-english.com)

Un altro metodo è la chiocciola (@): viene usata come modo per includere il maschile e il femminile ma non tiene conto delle persone agender, e non permette di troncare le parole ma solo di sostituire la -a e la -o con la @.

La desinenza -u non esiste nella lingua italiana ma in alcuni dialetti del centro-sud: usare la -u ha una importante connotazione politica innanzitutto perché è neutra, ma anche perché richiama alla cultura meridionale come luogo fisico, inclusivo di tutte le soggettività. Il problema consiste nella difficoltà dell’utilizzo per i tre generi costantemente (tutte, tutti, “tuttu”) sia nello scritto che nel parlato: è difficoltosa da assimilare e da recepire.

La lettera -x ha la fama di consonante misteriosa e in inglese viene usata per rendere neutrali le parole. Viene utilizzata quando le parole sono declinabili perché provengono da lingue dove il genere è binario. La “X” è anche il marker del genere amministrativo che alcuni Stati hanno concesso sui documenti alle persone intersex o non binarie. È una lettera che per essere usata non ha bisogno di alcuna spiegazione ma è difficile da pronunciare senza ricorrere alla i fonetica prima della x.

Lo schwa (Ə) è un suono secco che viene definito “e muta”. Il sito Italiano Inclusivo si sta occupando di spiegare e promuovere l’uso dello schwa: lo schwa Ə per il singolare e la schwa lunga з per il plurale. Il problema riscontrato fino ad ora nell’uso di questa desinenza estremamente inclusiva è il fatto che per i più non è comprensibile che si tratta di una forma neutra, ma con il tempo potrebbe e dovrebbe diventare di uso comune.

La necessità di una lingua inclusiva

L’italiano è una lingua flessiva che declina per genere i sostantivi, gli articoli, i pronomi, gli aggettivi, e anche i participi passati. Tutto ciò rende molto più difficile parlare in modo neutro rispetto al genere di quello che è l’oggetto del discorso. Questo discrimina numerose categorie di persone. Il privilegio maschile a livello di linguaggio è evidente soprattutto nel plurale, quando ci si rivolge al maschile per indicare un gruppo di persone di generi diversi anche quando una sola componente del gruppo è di genere maschile. In questo caso è previsto l’uso del maschile inclusivo che ovviamente non è affatto inclusivo in quanto rende invisibili gli altri generi. Non solo le donne, storicamente succubi del privilegio maschile (privilegio non soltanto linguistico), sono oggetto di discriminazioni da cui ormai anche uomini cis/binari cercano di allontanarsi, per distanziarsi da questa consuetudine.

Contrariamente a quella che è la percezione comune, i generi non sono soltanto due – maschio e femmina – ma esistono persone che per caratteristiche biologiche o sensibilità biologiche agli ormoni presentano caratteristiche che non sono riferibili ai due generi binari. Il sesso biologico, ancora, non equivale al genere: alcune persone non sentono di appartenere al proprio corredo cromosomico binario e neppure a quello opposto. Queste persone non trovano la rappresentazione di loro stesse tramite un linguaggio inclusivo e si trovano costrette a definirsi entro standard binari: manca loro il riconoscimento, prima linguistico e poi inevitabilmente sostanziale.

Eppure l’identità di genere è uno degli aspetti più importanti dal punto di vista della percezione di noi stessi e degli altri, nonché della sensibilità e del rispetto personale. La terza declinazione è a questo punto necessaria per l’inclusività di ogni genere (che, si badi bene, non è disconoscimento del genere femminile come una certa frangia femminista cerca invano di dimostrare). Donne e uomini, cis e transgender, e chiunque non si identifichi in un genere binario ne devono proporre e avallare l’utilizzo affinché diventi di uso comune.

Se ne deve discutere, è utile anche lo scontro: la discussione linguistica può portare a un ragionamento condiviso e – si spera- sempre più condivisibile. Il litigio, lo sberleffo e il riduzionismo non portano alcuna utilità al discorso del riconoscimento del genere neutro, ma anzi spostano l’attenzione da quello che è l’oggetto del contendere. La questione linguistica del genere neutro non apporterà magari cambiamenti concreti, ma l’uso e la trasformazione della lingua italiana dice molto di noi e della società aperta e multiforme che vogliamo riconoscere.

Valentina Cimino

9 Commenti

    • Concordo con Lei, è una visione ideologica senza alcuna rispondenza nella lingua. La concordanza è un mero fatto tecnico che discende dalla storia della nostra lingua. Il fatto che il maschile sia anche il termine non marcato, e quindi generale, è parte della nostra lingua e non ha una connotazione sessista. Basti pensare alla domanda/risposta: “dove vai in vacanza? ancora non lo so”. Nella risposta si usa “lo”, maschile. Il genere neutro, quando pure esisteva nella nostra (latino), non fu mai indicato per usare persone. L’unico caso che ricordo è il greco “andrapodon”, letteralmente “coi piedi d’uomo”, di uso rarissimo, che però indicava lo schiavo (ovvero del bestiame bipede). Non un bel precedente.
      Naturalmente se si parte dal presupposto che la società sia sessista e quindi la lingua lo sia per definizione, si vede anche quello che non c’è. Guardando con gli occhi dell’ideologia si vede ciò che si vuole vedere. Il problema è che queste indicazioni assurde finiscono nelle varie linee guide e raccomandazioni per una scrittura corretta. Sarebbe ora che ci si ribellasse ad una minoranza di estremisti che piano piano vogliono imporre una cappa di oscurantismo ideologico.

      • “Naturalmente se si parte dal presupposto che la società sia sessista e quindi la lingua lo sia per definizione, si vede anche quello che non c’è.”

        bravo stronso che non vede niente!

        quindi, pensi che la società italiana non sia sessista?

        pshhhhh, va

  1. Grazie, l’argomento è interessante. Non sono d’accordo con chi vuole declinare al genere le funzioni: avvocato presidente ecc… se io vado da un avvocato, da un infermiere, da un medico, mi aspetto lo stesso tipo di prestazione che sia maschio, femmina o transgender. Perciò il titolo che dovrei utilizzare dovrebbe essere un titolo neutro perché la funzione è neutra e non deve essere influenzata dal genere o dalla sessualità. Questo è un grosso limite della lingua italiana ed è necessario che essa si adegui e che assuma il genere neutro per certi utilizzi.
    Se invece si preferisse distinguere per genere le professioni mi dovrebbe essere concessa la possibilità di scegliere se devo essere operato da una chirurga femmina o da un chirurgo maschio , da una maestra di scuola guida femmina o da un maestro di scuola guida maschio. Perché poi?

    • La lingua italiana possiede in sé le regole per creare in modo automatico il femminile dei termini che indicano le varie professioni e funzioni. E’ già capitato (attore/attrice, infermiere/infermiera, direttore/direttrice ecc.) man mano che se ne presentò la necessità. Se una professione non era mai praticata da donne, ecco che non poteva avvertirsi la necessità di declinarne il nome al femminile. Ma non c’è nessun problema ad avere “avvocata” femminile di avvocato, medica femminile di “medico”, ingegnera femminile di “ingegnere”, e, perché no, anche “minatrice” come femminile di minatore. Sono tutte forme regolari e pienamente corrette secondo le regole grammaticali italiane. Possono apparire strane solo perché finora non usate o usate raramente. Ciò non toglie che la forma maschile sia la forma non marcata secondo le regole della grammatica. Se parlo di “studenti” indico tutti gli studenti, maschi e femmine, così come se dico “gli italiani” li indico tutti, indipendentemente dal sesso, così come se dico che “i lupi stanno ripopolando l’Appennino” o “il lupo sta tornando sull’Appennino” indico tutti i lupi, sia maschi sia femmine. Ritenere il contrario è una posizione ideologica a priori che non ha fondamento nella nostra lingua. Se qualcuna crede di sentirsi discriminata, è un problema suo, dovrebbe capire che ha torto perché non è così. D’altronde non si sono mai sentiti discriminati coloro che facevano la sentinella o la guardia, nomi femminili per indicare anche e soprattutto uomini, perché dovrebbe sentirsi discriminata una donna perché ci si riferisce agli avvocati per indicare tutti gli avvocati, indipendentemente dal sesso? è la grammatica che lo prevede…

      PS: il genere neutro non è mai stato usato per indicare persone, nemmeno quando avevamo un genere neutro (in latino). Non mi viene in mente nessun esempio in latino. L’unico esempio che mi viene in mente è il greco “andrapodon”, termine rarissimo per indicare lo schiavo, qualcosa che, nella mentalità dell’epoca, era poco più che bestiame bipede o, come per Varrone, strumenti agricoli parlanti (distinguendoli dagli strumenti muti (gli attrezzi) e semiparlanti (i buoi)). Ma forse questo è l’obiettivo, renderci tutti schiavi.

  2. Salve,
    Grazie mille per questo articolo, che mi ha permesso di fare chiarezza su tutta una serie di dubbi che avevo riguardo all’argomento. Piacevole da leggere e chiaro. Mi interessa la lingua e i suoi cambiamenti e non comprendo perché il manifestarsi dei fenomeni debba trovare resistenze nel linguaggio. Intendo dire che tutti adesso usiamo la parola “lockdown” o “influencer” senza porci troppe domande, ma quando si arriva a toccare la predominanza del maschile e la totale esclusione di altri generi, improvvisamente si alzano le barriere del conservatorismo. Le persone Femmine, Transgender, Gender fluid, Non-binary etc. sono una realtà. Così come sono una realtà avvocatesse e spazzine. Perché la lingua, che nasce per parlare della realtà e descriverla, dovrebbe rifiutarsi di denotare questi fatti?
    C.Bene direbbe che l’informazione informa i fatti , non SUI fatti, ovvero gli dà forma, li modifica. Ciò avviene ovviamente attraverso la lingua.
    Rifiutarsi di includere, cioè in questo caso di cambiare, non è privo di conseguenze. Così come l’includere avrebbe invece conseguenze positive (credo, spero) sulla vita delle persone, che con tali generi potranno essere denominate. Sorge dunque spontanea una domanda: cosa avete da perdere?

    Cari saluti a tutti e specialmente a te, Valentina

    • Credo che il problema maggiore per l’uomo di oggi sia la sua superbia nel ritenere di avere inventato nell’arco di un paio di secoli – se non decenni – praticamente tutto quello che ha intorno. Se avessimo tutti contezza di quanto articolato, e notevolmente più “libero” sotto molti aspetti, fosse il mondo antico nel quale le lingue che parliamo hanno visto svilupparsi i propri embrioni, impallidiremmo di vergogna.

      Lei mi ha menzionato in un solo rigo almeno cinque potenziali “generi” non contemplati dalla lingua italiana brutta e cattiva. E così mi ha reso impossibile non chiedermi quanti generi grammaticali dovremmo inventare di sana pianta per soddisfarli tutti. Se ho ben capito leggendo questo e molti altri articoli ugualmente ispirati, poiché la via del rimpinzare la lingua di generi sempre più specifici non è né concepibile né percorribile, e poiché nel sottobosco delle fisime inclusiviste si agita la consapevolezza di doverne prima o poi prendere atto, ecco che la soluzione ultima e più vigliacca diventa quella di “rimuovere”, nascondere la traccia del presunto peccato originale del linguaggio. Quindi, in sostanza, distruggere col pretesto di creare. Come altro dovremmo interpretare, di grazia, un simbolo – sia esso l’asterisco, la chiocciola o quel che si voglia – al quale non corrisponde neppure un suono? Inventeremo dal nulla anche quello? E Lei, nel suo premurarsi di creare un linguaggio aderente alla realtà, come si auto-concilia con una simile falla di fondo?

      La verità, cara signora, è che le lingue ci sono superiori, e di molto. Esse non hanno mai discriminato niente e nessuno: a farlo sono i nostri cervelli spesso ossessionati oltre ogni senso del ridicolo.

  3. Se l’argomento già di suo è spinoso, figurarsi quando lo si affronta a partire da cantonate colossali sull’origine dei generi grammaticali. Mi sorprenderebbe molto che una Sabatini ignorasse (a meno che a farlo non sia chi la cita…) che i generi della lingua sono mere categorie morfologiche atte unicamente a marcare il valore sintattico delle parole, e totalmente avulse da qualsiasi concetto di sessualità. L’indoeuropeo distingueva unicamente fra genere animato e inanimato, dove successivamente il primo si è scisso in maschile e femminile per semplice adattamento analogico alla distinzione – già esistente – di temi uscenti in vocali diverse, mentre il secondo è confluito quasi interamente in quello che chiamiamo neutro, con non pochi “rimescolamenti”. L’esistenza di nomi e aggettivi greci tra le categorie lessicali più antiche, quindi di femminili latini in -us (‘longa manus’), o greci in -ος (κοινὴ διάλεκτος), o aggetti a due uscite di cui la prima maschile/femminile con vocali tematiche diverse (ἄδηλος/-ον, εὐγενής/-ές) non è che l’evidenza di tutto ciò. Le lingue nordiche, così spesso prese a modello di “lingua inclusiva”, in realtà non hanno operato la scissione maschile-femminile solo per ovvia conseguenza della rimozione stessa della vocale tematica (non a caso molte parole terminano in consonante), e non certo perché qualcuno tra i loro parlanti si sia preoccupato per tempo di non operare discriminazioni: prova ne sia che le loro attuali elucubrazioni inclusiviste devono ripiegare sull’invenzione arbitraria di pronomi (‘han’, ‘hun’… e ‘hen’!!!) perché la morfologia nominale e verbale, spesso ridotta all’osso, di per sé non gliele asseconda. Riguardo poi agli espedienti proposti… mi piacerebbe anche un po’ capirne i riscontri fonetici: come si presume che dovremmo pronunciare tutti questi asterischi, chiocciole e schwa? Oppure sono e devono restare solo un vezzo per quei “professionisti della scrittura” con le loro solite traveggole socio-ideologiche?

  4. In realtà la lingua italiana è più inclusiva di quello che si pensi e solo l’uso che se ne fa può comportare discriminazione. “Molte persone” (queste parole verranno usate più avanti come esempio), tra le quali l’autrice di questo post, portano a sostegno della loro tesi argomenti visti solo da una prospettiva di persona che si sente discriminata dalla lingua, non vedendo, invece, l’altra faccia della medaglia.
    – Il primo punto riguarda l’utilizzo del plurale, che si presume sia discriminatorio nei confronti delle donne, ma in realtà non è così: “Gli studenti stanno entrando in classe” è una frase nella quale viene usato il maschile plurale, ma non conoscendo il contesto, il lettore (o l’ascoltatore) deve considerare la frase in modo neutro, includendo tutte le persone. Se invece utilizziamo la frase “Le studentesse stanno entrando in classe” ecco che il discorso cambia, in quanto la lingua italiana presuppone che in questo contesto siano rappresentate solo ragazze. Ecco qua che, vedendo il discorso da un’altra prospettiva, vediamo come le ragazze siano rappresentate in entrambi i contesti, mentre i ragazzi solo in uno di questi. Chi può considerarsi discriminato?
    – Agganciandomi al primo punto, si pensa – erroneamente – che il plurale utilizzato nelle frasi dove non si conosce il contesto sia solo quello maschile, ma ci sono esempi che smontano questo concetto: “Quelle persone stanno entrando a scuola” utilizza il femminile plurale, ma anche in questo caso, la lingua italiana impone che sia considerati tutti gli individui, a prescindere dal sesso.
    – Altro punto importante riguarda l’utilizzo del singolare maschile nel caso in cui non si conosca il contesto. “Devo andare dal salumiere” è una frase che non indica il sesso della persona che svolge il lavoro e perciò, nonostante sia indicato con il genere maschile, la lingua italiana non fa distinzioni di sesso. Ci sono altri esempi, fatti da qualcuno prima di me nei commenti, nei quali viene usato il singolare femminile per esprimere una persona che svolge un determinato lavoro, senza però considerare il sesso dell’individuo: “La guardia sta imbracciando la sua arma” è una frase che contiene il femminile singolare, ma in realtà non fa distinzioni di sesso.

    Riassumendo, la lingua italiana non è ne discriminatoria ne sessista, lo sono gli utilizzatori e gli ascoltatori malpensanti. Se qualcuno pensa che “I diritti dell’uomo sono inalienabili” sia una frase sessista è solo perchè non conosce l’italiano, di fatto anche “I diritti della persona sono inalienabili” dovrebbe esserlo, ma non viene mai citata come esempio…. chissà perchè.
    Ecco questa è discriminazione oggettiva, quando si portano delle prove faziose a sostegno delle proprie tesi, non considerando le altre prospettive.

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