Home Ambiente Nella guerra contro le popolazioni incontattate, Bolsonaro perde una battaglia importante

Nella guerra contro le popolazioni incontattate, Bolsonaro perde una battaglia importante

Popolazioni incontattate - Bolsonaro
fonte immagine: survival.it

Il presidente Jair Bolsonaro è stato denunciato alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. L’accusa, mossa dall’ong austriaca AllRise, è quella di essere responsabile della deforestazione accelerata che sta attualmente interessando l’Amazzonia. Secondo il fascicolo presentato per avviare l’azione legale nei confronti di Bolsonaro, dal suo insediamento alla presidenza nel gennaio 2019, la deforestazione in Amazzonia è aumentata dell’88%. Il presidente, rappresentante dell’estrema destra brasiliana, è dunque ritenuto responsabile della scomparsa annua di circa 4 mila chilometri quadrati di alberi e del decesso di 180 mila persone a causa dell’aumento delle temperature globali, fenomeno destinato a crescere anche a causa della deforestazione. Questo però non è che l’ultimo degli episodi che porta Bolsonaro ai “disonori” della cronaca.

Anche la recente sentenza della Corte suprema federale del Brasile, infatti, ha come protagonista il presidente. La sentenza in questione invalida una legge risalente al 2020 con la quale Bolsonaro aveva tentato di contrastare i dispositivi di protezione dei popoli indigeni, quelli cioè che vietano al mondo esterno di mettersi in comunicazione con le tribù incontattate per preservarne salute e tradizioni. Una legge che si inseriva perfettamente nel tentativo dell’ex capitano dell’esercito di muovere una vera e propria guerra contro i popoli del Brasile.

«È un peccato che la cavalleria brasiliana non sia stata efficiente quanto quella americana nello sterminare i suoi Indiani». Questo, non a caso, è il linguaggio militaresco e intriso di razzismo a cui ci ha tristemente abituati il presidente brasiliano, che guarda ai popoli indigeni della foresta amazzonica come a un ostacolo per l’agrobusiness. D’altra parte, la sua connivenza con la potente mafia del legno, con gli allevatori illegali e i minatori è ormai di pubblico dominio. Quello che, invece, tende a passare sottobanco sono le minacce che le tribù incontattate sono costrette a sopportare. Vittime di incursioni e aggressioni che si fanno sempre più frequenti e violente, rischiano l’estinzione.

Non meno gravi però saranno le conseguenze che ci riguarderanno di persona se nulla sarà fatto per cambiare la situazione. I popoli indigeni, infatti, sono i miglior custodi degli ecosistemi terrestri e senza la loro coraggiosa resistenza il polmone verde del pianeta è destinato a soccombere di fronte alle ambizioni di potere della politica corrotta. Ma anche di fronte alle sue più cruenti iniquità, la politica brasiliana sembra trovare l’assoluzione e il beneplacito di alcuni gruppi religiosi di matrice evangelista.

L’evangelismo, che in Brasile si diffonde sempre più a macchia d’olio –  l’ultimo censimento ufficiale della popolazione ha rivelato che tra il 2000 e il 2010 la percentuale di chi professa questa fede è schizzata dal 15 al 22 per cento, cioè da 26 a 42 milioni – si sta trasformando in una forza politica di tutto rispetto. Lo stesso Bolsonaro ha beneficiato dell’appoggio evangelico nella corsa alla presidenza che lo ha portato al Palazzo del Planalto. Un appoggio prontamente ricambiato attraverso la nomina del missionario Ricardo Lopes Dias come nuovo capo del dipartimento per gli Indiani Incontattati del Funai, l’agenzia governativa agli affari indigeni.

Quella che potrebbe apparire come una semplice mossa politica ha rappresentato, in realtà, un vero e proprio atto di aggressione visto che Dias ha lavorato per molti anni con la New Tribes Mission (NTM), oggi nota come Ethnos 360. La NTM è tristemente nota per la sua incessante opera di proselitismo coatto tra le popolazioni incontattate dell’Amazzonia. L’obiettivo che si cela dietro questa missione di evangelizzazione è quello di favorire l’allontanamento dalle tribù e la conseguente integrazione nella società brasiliana, attuando un piano genocida per la totale distruzione dei popoli più vulnerabili del Brasile. Così facendo si servono anche e soprattutto gli interessi economici del governo, che vuole sbarazzarsi degli indigeni per condurre nelle loro terre attività legate alla coltivazione della soia, all’allevamento intensivo e all’attività mineraria.

Dopo 30 anni di missioni religiose svolte impunemente, la situazione è finalmente destinata a cambiare. La Corte suprema federale del Brasile, infatti, si è recentemente espressa e ha vietato ai missionari di fare proselitismo religioso tra le popolazioni incontattate. Per ora, tuttavia, non è ancora prevista la possibilità di espellere quei missionari che già si trovano tra le tribù. Una decisione che – motivata dal giudice Luis Roberto Barroso con l’intento di evitare di introdurre attori terzi chiamati a rintracciare i missionari – tutela solo in parte i diritti dei 305 popoli indigeni che abitano le foreste del Brasile. Che il presidente Bolsonaro riuscirà a trovare un altro escamotage per spuntare anche questa sentenza è cosa assai probabile, ma nel frattempo possiamo fornire il nostro contributo nella lotta per la difesa delle terre delle nostre sorelle e dei nostri fratelli indigeni. Un contributo che, ancora una volta, non può che passare per l’adozione di uno stile di vita più sostenibile, fatto di scelte di consumo etiche e consapevoli.

Virgilia De Cicco

Virgilia De Cicco
Ecofemminista. Autocritica, tanto. Autoironica, di più. Mi piace leggere, ma non ho un genere preferito. Spazio dall'etichetta dello Svelto a Murakami, passando per S.J. Gould. Mi sto appassionando all'ecologia politica e, a quanto pare, alla scrittura. Non ho un buon senso dell'orientamento, ma mi piace pensare che "se impari la strada a memoria di certo non trovi granché. Se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te".

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