Ultimo banco, Alessandro D'Avenia
Fonte: https://www.corriere.it/

Alessandro D’Avenia, scrittore e docente di lettere palermitano e curatore della rubrica settimanale “Ultimo Banco” edita sul Corriere della Sera, pone da sempre al centro delle sue riflessioni due temi fondamentali: il diritto di essere adolescenti (ossia il diritto di vivere con pienezza e senza colpa un’età caratterizzata da prime volte e da grandi inconsapevolezze riguardo se stessi e la propria visione del mondo) e la critica a un apparato scolastico che spesso dimentica che dentro ogni studente vive una persona. Il 3 novembre 2020, dopo dieci anni dalla pubblicazione di Bianca come il latte, rossa come il sangue, è uscito in tutte le librerie il suo ultimo romanzo, “L’appello“.

Il protagonista del romanzo di Alessandro D’Avenia è un professore cieco, Omero Romeo, quarantacinque anni, a cui viene affidata la classe degli emarginati, degli ultimi, di quelli che meritano di essere isolati «come si fa con un virus». Elena, Cesare, Achille, Stella, Oscar, Caterina, Ettore, Elisa, Mattia e Aurora: sono dieci studenti di un liceo scientifico in attesa di conseguire la maturità con la fine dell’anno scolastico. Non sono perfetti, non hanno voglia di fingere che lo siano e questa è condizione necessaria e sufficiente affinché vengano messi all’angolo, lontano da tutti, rintanati nella classe-ghetto. Il professor Omero Romeo, nel tentativo di conoscerli, è costretto a farsi guidare dagli altri quattro sensi: impara ad ascoltarli, a comprendere le sfumature della loro voce, a percepire i loro movimenti, tocca i loro visi. Per la prima volta, dopo quattro anni, i ragazzi sentono che “il programma” non è la sola e unica preoccupazione del docente, comprendono di essere più importanti di una formula matematica o di una regola grammaticale e sono finalmente visti come entità dotate di anima e corpo. La conoscenza riservata loro non si limita più a nozioni ricodificate da manuali scolastici ma ha a che fare con l’osservazione dei fatti e con la verifica degli stessi. Il nome non è solo il corrispondente di un numero sul registro, sono considerati e sentiti in quanto esseri umani. Ultimo banco è il posto in cui siedono quelli che non sono e non saranno mai parte del sistema. É il posto dei ribelli, di quelli che non si adattano e che all’interno di un organismo ben strutturato e regolamentato sono semplici da riconoscere: non si nascondono, mostrano con fierezza la loro rivoluzione.

Potrebbe essere solo un ennesimo bellissimo romanzo del professor Alessandro D’Avenia, di quelli che si leggono durante le vacanze di Natale, se non fosse per un dettaglio non da poco conto: descrive un fenomeno reale, quello dell’emarginazione all’ultimo banco di coloro che a causa di una struttura sociale marcia e di una personalità irruenta minano le basi dello stereotipo della perfezione. Sarebbe lecito, a questo punto, porci la seguente domanda: come è possibile che la scuola, luogo che più di ogni altro dovrebbe mirare all’inclusione, permetta il verificarsi di tali situazioni? La risposta è molto semplice: sono anni, decenni ormai, in cui ci viene negato il diritto alla persona, ossia quel fondamentale diritto espresso in diversi articoli della costituzione italiana, emblema del diritto naturale, che dovrebbe garantire all’individuo la sua considerazione nella società in quanto essere umano dotato di imperfezioni, stati d’animo, sensazioni, sentimenti e razionalità. Oggigiorno sembra che non ci sia più permesso essere persone, essere adolescenti, essere studenti universitari, soffrire di anoressia, aver mal di pancia, non voler studiare per l’interrogazione, essere arrabbiati, stare male per amore. L’adolescenza viene vista come “una malattia da curare” nello stesso modo in cui lo studente fuori corso o lo studente dell’ultimo banco viene visto come “una persona da punire con tasse esorbitanti per non aver dato gli esami in tempo”. Non siamo più persone, siamo numeri viventi in una società di burocrati e la scuola si preoccupa di farcelo sapere subito, di formarci come tali, addestrando studenti e studentesse non alla bellezza della vita e delle cose ma alla produttività, alla velocità e alla perfezione.

Tutto ciò trova riscontro negli ultimi avvenimenti: durante l’emergenza sanitaria Covid-19 la scuola è stata gravemente penalizzata. Da mesi ormai, in Italia, gli studenti (anche quelli dell’ultimo banco) seguono lezioni online senza che siano stati forniti loro strumenti adeguati per farlo e la storia sembra ripetersi: chi è ricco e possiede computer, connessione Wi-Fi e ogni tipo di attrezzatura tecnologica necessaria all’apprendimento può godere del diritto all’istruzione, chi è povero, invece, è costretto a vivere ancora una volta di rinunce e repressione. Alessandro D’Avenia, nella rubrica settimanale “Ultimo banco” curata dal Corriere della Sera, in un articolo pubblicato il 16 novembre 2020, scrive: «Se ci fossimo occupati delle famiglie e dei ragazzi più bisognosi, avremmo potenziato laboratori, connessioni per la DAD e personale scolastico per il sostegno e per i doppi turni. L’imprevedibile si affronta “prendendosi cura”[…]. L’in-sicurezza chiede di avanzare non di fuggire, di tendere una mano non di ritirarla.». Tendere una mano e avanzare in sicurezza, questo avrebbe dovuto fare il Governo italiano ma, purtroppo, l’evidenza dei fatti ha confermato che l’istruzione delle nuove generazioni nel nostro paese, ad oggi, non è ancora una priorità.   

Alla base del concetto stesso di cultura dovrebbero esserci valori come l’uguaglianza, l’inclusione e la medesima possibilità di accedere agli strumenti del sapere indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza, dal ceto e dal luogo di residenza. La scuola, secondo Alessandro D’Avenia e secondo tutti noi, dovrebbe essere il luogo in cui sapere e umanità si fondono, superando ogni tipo di ultimo banco e di barriera sociale, nel tentativo di costruire personalità autentiche e capaci di stare al mondo.

Angela Pacca

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