La parola ecofemminismo evoca immediatamente le caratteristiche di un movimento eterogeneo che unisce i dibattiti femministi a quelli ecologisti e animalisti. Eppure, il nesso fra donne e ambiente non è così immediato: cosa hanno in comune l’oppressione della donna nella società patriarcale e il dominio dell’uomo sulla natura? Questa è la domanda da cui partire per comprendere cos’è l’ecofemminismo e perché l’intersezionalità dei movimenti è così importante per la riuscita di un progetto volto all’uguaglianza di genere e alla sostenibilità (sociale e ambientale).
Sfruttamento delle risorse naturali e diseguaglianze di genere
Lo sfruttamento delle risorse naturali e il saccheggio dei paesi periferici del mondo che caratterizzano il modello economico “estrattivista” non soltanto risultano insostenibili a livello ambientale, ma sono anche legati a doppio filo con la divisione sessuale del lavoro e alle diseguaglianze di genere. Jason W.Moore, studioso che ha coniato la parola Capitalocene in risposta all’utilizzo mainstream del termine Antropocene, nella sua rilettura della teoria del valore-lavoro di Marx in chiave ecologica allarga l’accezione di appropriazione marxista (sfruttamento della forza lavoro), includendo il lavoro non retribuito svolto dalle donne, dalla natura e dalle colonie. Un lavoro considerato gratuito ed essenziale per la produzione e la riproduzione della forza lavoro. In estrema sintesi, il capitalismo intende l’ambiente e le colonie come una risorsa illimitata a cui attingere e un’immensa discarica, mentre le donne rappresentano manodopera non retribuita e impiegata nei lavori di cura, tradizionalmente connotati a livello di genere.
Il nesso fra ambiente e donne è subito svelato: la logica di mercato, epicentro della struttura socioeconomica, colpisce pesantemente la vita degli esseri umani e l’ecosistema, degradando le condizioni di vita e rendendo sempre più difficile l’accesso ai beni e ai servizi. L’aumentata domanda di cura ricade automaticamente sulle spalle delle donne il cui lavoro manca di visibilità e di retribuzione, spiega la studiosa Amaia Orozco. La globalizzazione neoliberale ha in questo senso la responsabilità della depredazione dei territori e della mercificazione della vita portate oggi alle estreme conseguenze.
Ecofemminismo in pillole
“È un approccio non violento, di empatia, ecologista e olistico”: spiega Silvia Pettinicchio nella video-lezione di Fridays For Future Milano sull’ecofemminismo, pubblicata su Facebook. Giustizia ambientale e giustizia sociale vanno di pari passo in questa prospettiva femminista all’ecologia, teorizzata per la prima volta da Françoise d’Eaubonne nel 1974. Già negli anni Sessanta erano apparsi i primi parallelismi fra sessismo, razzismo, specismo e saccheggio delle risorse naturali, ma con questa autrice, attivista ambientale e contro le ingiustizie sociali, viene mossa una vera e propria critica della sudditanza femminile volta al raggiungimento di una eguaglianza di tutti i generi viventi. Finalmente si inizia a parlare di sfruttamento della natura, delle categorie svantaggiate, delle donne e dei popoli colonizzati.
Come già accennato, l’ecofemminismo moderno unisce una molteplicità di visioni e dibattiti che possono essere riassunti in quattro principi cardine:
- Ecologia, visione che rifiuta la divisione binaria attraverso il quale la natura e la società vengono interpretate, a favore di una circolare. Tutto è collegato e nessuna categoria dovrebbe dominare su un’altra;
- Democrazia vivente, o ecofemminismo vegetariano (il testo cardine è scritto dall’attivista statunitense Carol Adams). Il consumo di carne viene accomunato al dominio patriarcale, che agisce in egual misura sul corpo delle donne e degli animali;
- Pacificazione, o socialismo ecofemminista, auspica il sovvertimento delle gerarchie sociali, oltre che dell’ordine liberista e capitalista. Lega il dominio di alcuni gruppi sociali sulle classi subalterne al controllo dei diritti riproduttivi delle donne;
- Olismo, visione spirituale che intende la terra come un organismo vivente e punta al superamento della visione patriarcale della scienza moderna. Vandana Shiva ha teorizzato questa visione, definendo eco-apartheid la separatezza fra essere umano e natura.
Donne, politica ed ecologismo
Figure femminili come Julia Butterfly Hill, che ha praticato una strenua resistenza non violenta vivendo due anni interi fra i rami di una sequoia millenaria per impedirne l’abbattimento, o l’iconica Greta Thunberg possono essere accostate alla visione ecofemminista contro le ingiustizie ambientali e le diseguaglianze di genere. Tuttavia, queste donne profondamente impegnate sono troppo spesso vittima di attacchi su vari fronti, come accaduto recentemente alla socialista verde Alexandria Ocasio-Cortez, che ha risposto veementemente agli insulti sessisti di un deputato repubblicano nei suoi confronti.
L’attivismo femminile sembra dunque spaventare le classi dominanti come descrive Kimberlé Crenshaw, attivista e giurista americana che per la prima volta ha parlato di intersezionalità, in un’intervista al Jacobin Italia: «Fondamentalmente gli uomini bianchi sono sovra-rappresentati in tutta la società. La sovra-rappresentazione è spesso il prodotto di un potere illegittimo e l’intersezionalità offre strumenti retorici, analitici e teorici per interrogare quella distribuzione asimmetrica del potere. Il contraccolpo è che l’intersezionalità viene percepita come ingiusta nei loro confronti.»
Proprio dalla cornice teorica dell’intersezionalità, che permette di comprendere la complessità dell’identità sociale e l’intrecciarsi delle discriminazioni multiple che agiscono contemporaneamente su vari livelli (come le donne afroamericane discriminate in quanto donne e in quanto nere), è necessario partire per giungere ad un’intersezionalità dei movimenti. Solo dall’incontro dei movimenti operai, ambientalisti e femministi può nascere una politica radicale che metta al centro la giustizia sociale, l’ambiente e il lavoro dignitoso.
Una politica della vita in risposta all’espansione dell’accumulazione capitalista non è soltanto auspicabile, ma essenziale per un ritorno del benessere sociale e ambientale. E forse saranno proprio le donne a indicare la strada verso l’eguaglianza di tutti gli esseri viventi.
Rebecca Graziosi