Calcio sudamericano

Il calcio sudamericano è un misto di passione, romanticismo, amore e “garra charrua” che da sempre coinvolge tutti gli abitanti dell’America Latina, ma anche tanti appassionati di tutto il mondo. È un movimento, una scuola di pensiero che sta vivendo attualmente un momento particolare di enorme cambiamento che viene considerato una vera e propria “revolución del futbol“.

Il cambiamento in essere, tattico e metodologico, ha dei chiari risvolti ideologici tanto da influire in maniera molto forte su tutto il sistema calcistico sudamericano. Come tutte le rivoluzioni, anche quella che coinvolge il “futbol” ha delle origini chiare ed ha delle conseguenze ben definite, che sconvolgeranno sicuramente l’intero panorama calcistico mondiale.

La crisi del calcio sudamericano

Chi pensa al calcio non può non guardare al Sudamerica, che rappresenta – sicuramente per molti – il palcoscenico ideale dello sport più bello e più popolare del mondo. Sì, popolare, perché inteso proprio come “gioco del popolo“. Cosa vi è, infatti, di più “democratico” del calcio, ovvero dello sport in cui la vittoria di Golia contro Davide non è mai data per scontata? Dove il più piccolo può imporsi spesso e volentieri contro il più grande? Dove anche a chi ha poche possibilità (economiche, ambientali, tecniche) è concesso di sognare?

Ebbene sì, il calcio è del popolo e in Sud America è il popolo a far da traino al calcio e lo fa con una passione smisurata testimoniata dalla presenza costante sugli spalti dei tifosi (una media di 19.870 spettatori nella stagione 18/19 nella Primera División Argentina) e dal considerare ancora il calciatore come un idolo quasi da venerare. All’importanza che il futbol riveste in questi territori, però, non fanno da contraltare i risultati ottenuti in campo, visto che il calcio latinoamericano non raccoglie, ormai da diverso tempo, quanto i suoi tifosi meriterebbero.

L’ultimo titolo mondiale è stato vinto dal Brasile di Ronaldo nel 2002 e poi non vi è altro, se non il secondo posto dell’Argentina nel 2014. A ciò si aggiunge, a fare da cornice, la débâcle della semifinale mondiale del 2014, in cui il Brasile fu sconfitto dalla Germania per ben 7-1, alla fine di un incontro definito “il Mineirazo”, quasi a voler evocare il ricordo del terribile “Maracanazo” della finale del Mondiale del 1950. Visti i risultati, quindi, non stupisce che il calcio Sudamericano abbia deciso cambiare regime, partendo da una rivisitazione dei propri dogmi e con l’obiettivo di tornare alla gloria meritata.

La revolución

È proprio per questo che è partita la revolución. Se una rivoluzione deve riuscire, deve essere credibile e per essere credibile, devono essere forti i “capi”. Ebbene, in Sudamerica hanno scelto il meglio.

Jorge Jesus (Flamengo); Jesualdo Ferreira (Santos); Tiago Nunes (Corinthians); Sebastian Beccacece (Racing); Gabriel Heinze ( Velez); Hernan Crespo (Defensa e Justicia); Marcelo Gallardo (River Plate). Eccoli, i condottieri. Giovani, rampanti, emergenti, preparati, con una “garra” tipica delle splendide latitidini da cui – almeno in parte – provengono.

Cosa è, però, che tatticamente contraddistingue questi tecnici? Ed in cosa consiste la rivoluzione che stanno attuando? Presto detto: dominio del campo, possesso palla fino a trovare l’imbeccata verticale, pressione alta ed intensità pazzesca sin dal primo minuto di gioco. E ancora, pressing esasperato sul “portatore” avversario, movimento in mezzo al campo fino a cercare il filtrante decisivo, continuo “deflagrare” delle linee difensive avversarie e dominio offensivo dell’azione, recupero immediato del pallone per un improvviso ribaltamento dell’azione.

Ecco i dogmi dei condottieri del nuovo corso: principi che difficilmente riusciamo ad abbinare ad un calcio storicamente basato sui fraseggi, di possesso palla esasperato, di ritmi lenti dove, chiaramente, si preferisce il gesto tecnico di “Denilsoniana” memoria alla preparazione tattica. Pensiamo, infatti, ai giocolieri brasiliani o al tiki taka argentino che, di certo, non si sposano benissimo con le caratteristiche sopra elencate.

Il lavoro intrapreso dalla nuova leva di allenatori che si stanno imponendo in Sudamerica, quindi, è senza dubbio un lavoro epocale, che incide prima sulla mentalità delle singole squadre e poi sull’aspetto tattico. Lavoro che tutti i tecnici citati stanno realizzando nelle proprie squadre. Indistintamente. Pensiamo, infatti, a Jorge Jesus, che, al Flamengo, ha di fatto annullato la supremazia del Palmeiras vincendo il Brazilerao con ben 16 punti sulla seconda. Come ignorare, poi, Tiago Nunes, il quale, ingaggiato dal Corinthias quale miglior tecnico brasiliano emergente, ha subito imposto le proprie idee rinunciando all’idolo della Torcida Ralf (che gode sì di grande appeal tra i tifosi, ma che resta pur sempre un mediano di 35 anni abituato al recupero palla) per affidarsi al colombiano Cantillo che, insieme al pupillo del tecnico Camacho, ha di fatto conferito alla squadra un imprinting più offensivo.

Ancora più interessante, poi, è l’analisi sul versante argentino, dove vi sono tecnici emergenti che non tradiscono le grandi influenze di un importante passato da calciatore in Europa. In rampa di lancio, ovviamente, vi è Hernan Crespo che con il suo Defensa y Justicia, sta applicando un calcio moderno e intenso, figlio – non v’è dubbio – dei tanti tecnici da cui “Valdanito” è stato allenato, primo fra tutti Carlo Ancelotti.

Altro elemento interessantissimo, poi, è Gabriel Heinze, tecnico del Velez, un vero e proprio Mourinho 2.0. Maniaco della tattica, della preparazione prima mentale e poi fisica della partita, Heinze, infatti, sta addosso ai propri giocatori convinto che solo convincendoli delle proprie idee riuscirà ad avere i risultati sperati. E lo fa con un atteggiamento che ricorda la sua tenacia da difensore ai tempi del Manchester United e della Roma. Ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti se è vero che anche lo stesso Daniele De Rossi (già compagno di Heinze alla Roma, e prossimo ad intraprendere gli studi per diventare allenatore) ha definito El Gringo tra i futuri colleghi più interessanti da studiare.

Last but not least, Marcelo Gallardo, tecnico del River Plate, non a caso definito un fuoriclasse della panchina. Già intelligentissimo da centrocampista con dei piedi oltremodo raffinati ma con un carattere non proprio “forte”, da tecnico si sta rilevando un vero e proprio condottiero, tanto che il passaggio dal soprannome “Bambolina” a quello di “Napoleon” è avvenuto in un attimo. Un’idea tattica, la sua, aggressiva, caratterizzata dalla grande propensione offensiva degli esterni della difesa a 4 che sono delle vere e proprie ali e che, in un centrocampo a rombo, non rinuncia ad un volante tecnico (il 5, di sudamericana memoria) ed al 10 dietro le punte, un ruolo – per lui che lo è stato – irrinunciabile. Evidente la vocazione OFFENSIVA del suo calcio.

La rinascita sudamericana

Intensità, aggressività, coraggio, pressione alta, voglia di imporsi. In una parola sola: protagonismo. Ebbene, se queste sono le premesse, non c’è dubbio che a breve tutti i tifosi latinoamericani e, in generale, tutti gli appassionati del calcio latino, possano tornare ad ottenere i risultati che aspettano.

Vi riuscirà, il sistema sudamericano, grazie ad una nuova identità tattica data da questi tecnici emergenti che si stanno imponendo con la loro preparazione e la loro tenacia, attuando una vera e propria rivoluzione dogmatica ed ideologica. Rivoluzione, però, che dovrà necessariamente andare di pari passo con le storiche caratteristiche del calcio sudamericano, fatto di talenti smisurati, passione, amore e agonismo che rende unico il calcio sudamericano. Solo allora la rivoluzione sarà completa ed i risultati quelli tanto agognati.

Fonte immagine in evidenza: contra-atque.it

Salvatore Fiori

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