Uvaspina
fonte: ilibraio.it

Per chi ha gli occhi scuri come occhiali da sole, è probabilmente più facile vedere Napoli sotto la sua luce o scrutarne dei vicoli il buio, colori inoltre di un’umanità varia e sorprendente. Così Monica Acito ha lo sguardo nella vita e nel suo romanzo d’esordio “Uvaspina”, edito da Bompiani. Un intreccio che nasce dall’esperienza napoletana della scrittrice coi dettagli, i suoni e i sapori fattisi muse per una penna capace di sondare le dinamiche più recondite dei rapporti familiari, mentre il lettore sperimenta, dagli occhi allo stomaco, passando per il palato, il senso delle parole che si susseguono in una cornice di immagini e sensazioni.

Monica, prima di procedere alla presentazione del tuo romanzo d’esordio, è bene presentare te stessa e la tua compagna di una vita: la scrittura. Qual è il vostro rapporto e come ti fa sentire la pubblicazione di “Uvaspina”?

Monica Acito: «Ciao Alessio, grazie mille per questa opportunità. Hai chiamato la scrittura “la mia compagna di vita” e non hai torto: lei, la scrittura, è sempre stata il mio tutto, c’è stata in ogni momento, anche quando forse non c’ero io. Mi ha sempre riportata a casa, qualunque cosa significasse casa: forse non ho mai avuto una casa fisica, sono sempre stata scissa, tra il Cilento, Napoli, Torino, la scrittura è la mia unica vera patria. Ho conosciuto la scrittura prima di conoscere le mestruazioni, l’ho incontrata da bambina, mi sono sentita prima scrittrice e poi donna, e non ricordo nemmeno come: è stato come un tic nervoso, un’ossessione, qualcosa che è arrivato senza poterlo controllare. La pubblicazione di Uvaspina mi fa sentire ovviamente felicissima, perché essere letta da tantissime persone è ciò che desidero da decenni. Sono anche molto tesa e spaventata, ma allo stesso tempo curiosa di vedere dove mi porterà questo viaggio».

Che storia vuole raccontare “Uvaspina”? Quale sensazione vuole farci provare e in che luoghi farci viaggiare?

Monica Acito: «Uvaspina vuole raccontare una storia di sopportazione: Uvaspina è un ragazzo abituato a sopportare, a farsi spremere come il frutto di cui porta il nome, ed è sottoposto al dispotismo della sua sorellina minore, Minuccia, una ragazzina sadica e rabbiosa. In ogni famiglia c’è un equilibrio sapientemente retto dal predominio di un tiranno, e il tiranno di questa famiglia è Minuccia, che non è una ragazzina normale, ma uno “strummolo”, una trottola di legno che inizia a vorticare pericolosamente. Quando Minuccia vortica, bisogna solo aspettare che il suo giro finisca, altrimenti si muore. Le sensazioni che voglio far provare non sono rassicuranti, spesso sono anche disturbanti e sgradevoli, come la tirannide che si instaura nel microcosmo di ogni famiglia».

La scrittura è probabilmente solo l’inchiostro di tante componenti. Al di là di ciò che leggeremo, quali sono state le tue muse, i tuoi modelli e le necessità che ti hanno portata a scrivere questo romanzo?

Monica Acito: «le mie muse e i miei maestri sono stati tantissimi. Ne cito qualcuno e sicuramente scorderò qualche nome, come è giusto che sia: Rea con la sua Ninfa Plebea, Basile, Cortese, Serao, Ortese, Cappuccio, Ramondino. Non posso non citare il mio autore preferito, che è Gabriel Garcìa Màrquez: ho amato le sue opere come persone in carne ed ossa, e credo che i riti ancestrali e ruvidi della letteratura sudamericana abbiano una qualche consanguineità con la letteratura che cerco di portare avanti».

Hai parlato del tuo romanzo d’esordio come una storia visiva, che si concentra su oggetti e sinestesie. Dunque, dove e come immagini il lettore che tiene tra le mani il tuo romanzo?

Monica Acito: «Sì, “Uvaspina” è una storia molto visiva: ma non perché io l’abbia “progettata” per una futura trasposizione cinematografica, ma perché io scrivo proprio così. Tra sinestesie e prosopopee, metafore e similitudini, Uvaspina è una storia che io srotolo agli occhi del lettore, che riesce a visualizzare tutto. Come immagino il lettore che tiene il libro tra le mani? Lo immagino sicuramente come un lettore curioso, con una piccola ferita dentro, forse qualcuno che ha conosciuto in qualche modo lo spago dello strummolo, in famiglia e non. Spero che questo libro possa farlo sentire meno spremuto, qualunque cosa significhi».

Senza cosa o chi non avresti mai potuto “partorire” questo “criaturiello”, come lo hai definito?

Monica Acito: «Questo criaturiello, come lo definisco spesso sui social o alle presentazioni, non avrei mai potuto partorirlo senza il sostegno della mia famiglia, la mia mamma, il mio papà e le mie meravigliose sorelle Donatella e Melissa. Decisamente questo libro è tutto per loro, e a loro l’ho dedicato. Ma anche senza la mia migliore amica Chiara, che è per me casa, arte e vita».

Grazie Monica.

Alessio Arvonio

Alessio Arvonio
Classe 1993, laureato in lettere moderne e specializzato in filologia moderna alla Federico II di Napoli. Il mio corpo e la mia anima non vanno spesso d'accordo. A quest'ultima devo la necessità di scrivere, filosofare, guardare il cielo e sognare. In attesa di altre cose, vivo.

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