Silvio Berlusconi è morto. Adesso chi siamo e dove andiamo?
Silvio Berlusconi. Fonte: wikimedia commons

Silvio Berlusconi è morto. E questa non è di certo una notizia. Così come non è un coccodrillo: le lacrime, siano esse di gioia o di dolore, chi voleva versarle le ha versate, mentre il tempo dell’emotività è già trascorso, inesorabile. Non è neppure una disamina sul personaggio che ha permeato di sé vent’anni di storia repubblicana, i costumi sociali e la cultura politica, né un giudizio sul suo operato e sulla sua eredità. Ne hanno già scritto tutti, ampiamente.

Piuttosto, la necessità di ribadire apparentemente l’ovvio attraverso queste parole nasce innanzitutto dal semplice e umano bisogno di constatare che è avvenuto qualcosa che comporta conseguenze di vaste proporzioni, emotive se non altro. Si tratta di una conferma a sé stessi rispetto all’incredulità propria e che ancora aleggia nell’aria del Bel Paese.

Si tratta quindi di un tentativo di razionalizzazione, se volete, manzoniano. Il celebre poeta, scrittore e drammaturgo italiano, raggiunto dalla notizia della morte di Napoleone Bonaparte a Sant’Elena nel 1821, compose l’ode Il Cinque Maggio in un’impeto nel quale convivevano turbamento e lucidità, che non manifestava né plauso né critica nei confronti della figura storica all’epoca tanto controversa, ma si concentrava sull’importanza dell’uomo”. Beninteso: nessuno vuole paragonarsi ad Alessandro Manzoni, né inerpicarsi in parallelismi azzardati tra Berlusconi e l’Imperatore dei francesi, né tanto meno astenersi dall’operare una scelta di campo. Quindi questa, ovviamente, non è neppure un’ode. Ma non si sa mai, è sempre meglio ribadirlo.

Silvio Berlusconi è morto, e questo (per ora, poi ci torneremo) è semplicemente un fatto. Un fatto, però, da cui bisogna ineludibilmente partire per ricostruire, reinventarsi e ricominciare. Per chi? Non tanto per le destre al governo e per il tutto il caravanserraglio berlusconiano, che ne rivivono l’ethos e ne celebrano la memoria con accenti elegiaci ed encomiastici degni del Juche.

È un fatto da cui partire per chi, in vita come in morte, Berlusconi lo ha avversato, contestato e contrastato. Per chi lo identifica come fondatore del populismo, per chi lo ritiene un grande corruttore politico ed imprenditoriale, per chi lo addita come principale responsabile o come più fulgida manifestazione dell’abbassamento dell’etica pubblica in Italia, per chi ne sottolinea i rapporti opachi con la massoneria, la mafia e l’estrema destra. Per chi ha fondato le proprie convinzioni, la propria ideologia e finanche la propria personalità in antitesi rispetto al Cavaliere.

Il lutto è soprattutto un problema dei vivi, parafrasando la ben nota massima paradossale epicurea, ed è in questo caso un problema dei nemici, più che degli amici. Questo è vero tanto più se i numerosi nemici di Berlusconi, volenti o nolenti, si sono legati così indissolubilmente e fatalmente all’arci-nemesi.

Berlusconi è stato molte cose. Uno dei principali cantori abbagliati dai suoi ancora una volta manzoniani «rai fulminei», Giuliano Ferrara, ha scritto che Berlusconi non è stato tanto, è stato troppo. Ma è stato innanzitutto il padre del bipolarismo italiano, fondato sul suo carisma e sugli aspetti “divisivi” della sua storia personale e politica ben più che sui cardini della cultura istituzionale anglosassone, con evidenti effetti distorsivi. Di questo Berlusconi ha politicamente (e non solo) vissuto, su questo ha edificato una fortuna elettorale. Di questa concezione malata di bipolarismo, che poneva sé stesso al centro, in alto e al di sopra degli interessi dei cittadini e del Paese, ci ha resi prigionieri per il ventennio del suo quasi incontrastato stradominio politico.

Quella stagione, tuttavia si è chiusa da tempo, ben prima della dipartita del leader di Forza Italia. Probabilmente, in modo definitivo, con le elezioni del 4 marzo 2018, che con lo storico sorpasso della Lega di Salvini sui cosiddetti moderati hanno segnato il passaggio definitivo dal centro-destra alla “destra-centro”. La creatura berlusconiana per eccellenza, nonostante la quiescenza elettorale e personale del leader, non si è però estinta: uno delle due case politiche del bipolarismo italiano ha subito sì una mutazione genetica in senso sovranista e neo-conservatore, ma lo ha fatto in modo assolutamente non traumatico e ordinato. Questo perché il centro-destra più atipico dell’Occidente conteneva già in premessa questa evoluzione: Berlusconi, del resto, ha incarnato in prima persona il populismo di destra, allargando la finestra di Overton ben oltre i limiti dell’impensabile. Tant’è vero, che la formazione non è cambiata. L’apparente accozzaglia che va da Maurizio Lupi a Giorgia Meloni marcia unita e colpisce unita, anche se ha cambiato guida. E vince le elezioni, anche per disertazione dell’avversario.

Berlusconi è stato il fattore di aggregazione del centro-destra, ma anche e soprattutto del centro-sinistra. Le ultime coalizioni chiaramente vincenti nelle urne, quelle dell’Ulivo di Romano Prodi, che tenevano insieme, anche se non senza difficoltà, Rifondazione Comunista e i popolari, si sono costruite proprio in antitesi rispetto al “principale leader dello schieramento avversario”. E hanno cessato di esistere o di fronte alla prova del governo o con l’affievolirsi della centralità politica di Berlusconi. Dalla controversa e complessa collocazione del Movimento 5 Stelle all’indomani delle elezioni politiche del 2013 fino alla deflagrazione del “campo largo” alle elezioni dello scorso anno, l’affollato blocco politico avversario della macchina da guerra (ben poco gioiosa) della destra post-berluscocentrica non è mai riuscito a compattarsi e a trovare una collocazione univoca e stabile, né insieme né nelle sue singole parti. Non è un caso che non si possa definire le opposizioni chiaramente, se non attraverso la denominazione di “anti-berlusconiani” (e poi anti-salviniani e ora anti-meloniani).

Esistono questioni identitarie e politologiche relative sinistra italiana ed europea ben più profonde che spiegano il presente stato di cose, ma l’eredità del berlusconismo è altrettanto dirimente sia per spiegare le cause sia forse per indicare la via d’uscita rispetto alla crisi attuale. Per anni, Berlusconi ha involontariamente e indirettamente vicariato l’assenza di contenuti, la mancata costruzione di forme di coabitazione virtuosa tra visioni politiche differenti ma contigue, l’inadeguatezza di una classe dirigente. Egli è stato comodo specchietto per le allodole per le sinistre, un correttivo a presa rapida per compattarle artificialmente e funzionalmente in sede elettorale. Nel momento in cui il fattore catalizzante del bipolarismo all’italiana è venuto meno, prima gradualmente e poi platealmente con il sugello della fine della vita biologica, i suoi effetti distorsivi e nefasti sul sistema politico si sono amplificati. Adesso sono anche più immediatamente visibili rispetto al passato.

Adesso sarebbe il tempo di andare avanti, di voltare pagina: la soluzione alla crisi della democrazia di cui sopra sarebbe questa. Ma non possiamo, non riusciamo. Berlusconi, la sua presenza ingombrante, è purtroppo ancora con noi. Anche se la diade più fortunata della politica italiana dopo la guerra fredda si limita ad esprimersi ormai attraverso dibattiti risibili sulla toponomastica, riprende vitalità solo nelle odi pindariche, nelle invettive corrosive, nei ricordi commossi dei berlusconiani e nei festeggiamenti entusiastici degli antiberlusconiani, e si intravede ancora nei ricordi inumiditi di Santoro e Travaglio (e forse un po’ anche nei nostri). Il dibattito politico è rimasto per anni anestetizzato e sospeso in un eterno presente, il suo. Un presente che, purtroppo, tanto ci diceva anche di noi. E così non siamo stati e non siamo tuttora politicamente pronti a lasciarcelo alle spalle.

Nel frattempo la storia ha continuato a dipanarsi, fuggevole e implacabile. Non ci ha aspettato. Ci si illudeva che Silvio Berlusconi fosse effettivamente il centro del mondo, e così oggi viviamo il dramma socio-economico e culturale di questo Paese e per di più siamo anche orfani. Orfani di Berlusconi, al di là di ogni giudizio minimamente razionale. Perché a sinistra, inconfessabilmente, si piange un avversario che più di qualsiasi altra idea, progetto o leader aveva saputo dare un contributo marcato alla propria identità.

Tornando al quesito iniziale: ecco, Berlusconi è morto, e forse queste considerazioni sono una confessione, l’espressione di strana forma di nostalgia (tossica). Con spirito magrittiano, si deve notare che la differenza tra “l’oggetto” reale e la sua percezione sono stridenti più che mai in questo caso. Ceci n’est pas une pipe.

Ebbene sì, ve lo confesso. Sono ancora scosso e malinconico. Perché quando c’era lui, sapevamo sempre da che parte stare: quella opposta. Ed anche se a questa consapevolezza è riconducibile la matrice di buona parte della nostra sofferenza civica e politica, averla ci manca già. E ci mancherà ancora di più in futuro, quando il fatto che non sappiamo più chi siamo e dove andiamo si farà ancora più evidente. Ciao Silvio, nostro insostituibile arci-nemico.

Luigi Iannone

Luigi Iannone
Classe '93, salernitano, cittadino del mondo. Laureato in "Scienze Politiche e Relazioni Internazionali" e "Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica". Ateo, idealista e comunista convinto, da quando riesca a ricordare. Appassionato di politica e attualità, culture straniere, gastronomia, cinema, videogames, serie TV e musica. Curioso fino al midollo e quindi, naturalmente, tuttologo prestato alla scrittura.

1 commento

  1. Per favore, non dite che ora non si sa da che parte stare, anche perchè sono arrivati i fratelli-nipotini fascisti che fanno finta di non esserlo, ma continuano ad essere finanziati dalle mafie, proprio come nonno emittenza. Non c’è solo il PD, ma altri più a sinistra, e se uno non si riconosce in nessuno di loro, ci sono le orche marine, di sicuro più intelligenti di noi, che hanno capito ed adottato un comportamento difensivo. https://blog.gaetanostella.it/blog/le-orche-indicano-la-via-ai-popoli-di-tutto-il-mondo Fatto realmente accaduto che mi fa pensare che ormai siamo ad un punto di svolta se gli animali capiscono prima di noi. Forse perchè non sono distratti dai socials? https://resistenzanimale.noblogs.org/post/2023/06/24/le-orche-attaccano-gli-yacht/
    Ora c’è anche qualcuno che comincia a parlare liberamente.
    https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/254-focus/96214-ex-cancelliere-tedesco-schulz-al-die-zeit-dell-utri-un-mafioso-mi-ha-minacciato.html

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