Il caso Pussy Riot, la mancata libertà d'espressione nella Russia di Putin
Foto di Denis Bochkarev

Le Pussy Riot sono un collettivo punk rock russo originario di Mosca. Dal 2011, anno della loro formazione, i membri del gruppo si impegnano attivamente organizzando flash mob e provocazioni alle istituzioni al fine di promuovere il femminismo, la cultura democratica e il rispetto dei diritti umani in madrepatria.

Il caso Pussy Riot, la mancata libertà d'espressione nella Russia di Putin
Il logo della band Pussy Riot

Il 21 febbraio 2012, durante una celebrazione religiosa nella Cattedrale ortodossa di Cristo Salvatore, tre membri delle Pussy Riot suonano il loro brano ” A Punk Prayer” nel quale chiedono alla Beata Vergine Maria di porre fine al governo di Putin. Tra il 3 e il 16 marzo Marija Alëchina, Nadežda Tolokonnikova e Ekaterina Samucevič, la prima attivista di Greenpeace e le altre con un passato antipolitico nel gruppo di Street Art Voina, vengono arrestate dalle autorità russe per vandalismo.

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L’arresto di tre membri delle Pussy Riot presso la Cattedrale di Cristo Salvatore

Il 30 luglio dello stesso anno inizia il processo contro le tre donne, ree di “teppismo premeditato realizzato da un gruppo organizzato di persone motivate da odio o ostilità verso la religione o un gruppo sociale”, in questo caso cristiani ortodossi. Durante l’udienza, davanti al tribunale, una manifestazione pro-riot provoca l’arresto di all’incirca cento partecipanti tra cui il leader del fronte della sinistra Sergej Stanislavovič Udal’cov. Le imputate verranno dichiarate dal giudice colpevoli con una condanna a due anni di reclusione.

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L’incarcerazione di Marija Alëchina, Nadežda Tolokonnikova e Ekaterina Samucevič

Il 19 ottobre Ekaterina Samucevič, scarcerata mediante cauzione, presenta un reclamo presso la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Stando a quanto da lei denunciato, durante i sei mesi di custodia cautelare non avrebbe ricevuto pasti adeguati e le sarebbe stato impedito il sonno nelle ore notturne. Marija e Nadežda sconteranno la pena in pesantissimi campi di lavoro, costrette ai lavori forzati.

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Il rilascio di Ekaterina Samucevič

Malgrado Vladimir Putin in persona abbia esternato la sua contrarietà in merito, in data 19 dicembre 2013 viene accolta dalla Duma l’amnistia per Marija Alëchina e Nadežda Tolokonnikova. A seguito del ventesimo anniversario della Costituzione Russa, è stata approvata la scarcerazione per venticinquemila persone colpevoli di reati minori, tra cui appunto le Pussy Riot.

Il pensiero statunitense si è espresso negativamente sulla sentenza, definendo “sproporzionata” la condanna. In tenore con quello americano, anche il governo francese ha palesato il proprio disappunto in merito le vicende che hanno visto coinvolte le Pussy Riot. Ad ogni modo, siamo evidentemente di fronte ad una grave lesione del diritto d’espressione: la Russia ha mostrato nei confronti delle tre giovani attiviste un trattamento oppressivo ed esagerato. La censura e l’omogeneità di pensiero imposte da Putin nel suo governo sono chiari segnali del rischio di eventuali derive autoritarie.

Nonostante la pubblica manifestazione della propria ideologia le abbia condotte ad una carcerazione considerata dai più improba, le Pussy Riot continuano imperterrite la loro lotta: tramite l’interpretazione della canzone “Putin Will Teach You To Love The Fatherland” alle Olimpiadi invernali del 2014, la band pone l’attenzione sulla corruzione e la soppressione delle libertà personali in Russia.

Il caso Pussy Riot, la mancata libertà d'espressione nella Russia di Putin
Un cosacco colpisce le Pussy Riot durante la loro performance alle Olimpiadi invernali del 2014

L’anno successivo pubblicano il singolo “I Cant’t Breathe” in ricordo di Eric Garner, il quarantatreenne afroamericano brutalmente soffocato il 17 luglio 2014 dall’agente in servizio Daniel Pantaleo dopo essere stato sorpreso in flagrante a vendere sigarette di contrabbando. Stando alla ricostruzione dei fatti, durante la colluttazione l’uomo avrebbe gridato di perdere il respiro; tuttavia il poliziotto continua inflessibile nella presa fino ad ucciderlo. L’ottobre 2016 è invece la volta del brano “Make America Great Again” in cui si fanno beffa di Donald Trump e della sua faziosa campagna elettorale.

Il caso Pussy Riot, la mancata libertà d'espressione nella Russia di Putin
Immagine tratta dal videoclip di ”Make America Great Again”, in cui le Pussy Riot si fanno beffa di Donald Trump

In occasione della finale dei Mondiali di calcio tenutasi il 15 luglio 2018 al Luzhniki Stadium di Mosca, quattro militanti del collettivo Pussy Riot fanno irruzione in campo travestiti da poliziotti per protestare contro l’immoralità del sistema penale russo e chiedere il rilascio dei prigionieri politici nel paese. Il calciatore francese Kylian Mbappé stringe la mano ad uno di loro, gesto non di certo passato inosservato ai riflettori.

L’irruzione in campo durante la finale degli scorsi Mondiali di calcio da parte di quattro membri Pussy Riot

Durante le riprese del videoclip del singolo “БЕСИТ / RAGE” avvenute lo scorso febbraio, le forze dell’ordine di San Pietroburgo entrano nello studio della Lenifilm staccando la corrente elettrica. Il filmato che vede partecipi centocinquanta attivisti donne e queer è considerato illegale; la propaganda LGBTQI in Russia è strettamente vietata da una legge approvata dall’assemblea rappresentativa nazionale ed entrata in vigore nel 2013.

Le riprese del videoclip del brano ”БЕСИТ / RAGE” delle Pussy Riot

Arriviamo infibe ai fatti recenti: le Pussy Riot hanno dichiarato che il loro amico di lunga data e membro Kiryl Mashekaè stato arrestato per aver partecipato all’insurrezione del 9 agosto a Minsk a seguito della rielezione del presidente bielorusso Aljaksandr Ryhoravič Lukašėnka, in carica da ormai venticinque anni. Stando ai dati forniti dalla BBC seimilasettecento protestanti hanno subito la stessa sorte, in molti casi ricevendo gravi percosse. È, inoltre, noto che nel centro di reclusione di Okrestino gli agenti siano soliti applicare metodi repressivi e la tortura nei confronti dei detenuti.

L’attivista Pussy Riot Kiryl Mashekaè, recentemente arrestato a seguito delle proteste in Bielorussia

Il caso del gruppo punk dovrà essere da monito al fine mostrare la via per un mondo migliore in cui si è liberi di esprimere la propria opinione, dove la diverse scuole di pensiero sono viste come un arricchimento personale e non come ostacolo alle idee e nel quale le soluzioni non vengono imposte, ma discusse dalla collettività. Si tratta di un’utopia? Forse, ma vale la pena crederci. Pussy Riot docet!

Vincenzo Nicoletti

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