Myanmar: continua la carneficina contro i civili da parte del regime militare
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Dal 1 Febbraio (giorno del colpo di stato) ad oggi, in Myanmar, sono oltre 500 le vittime civili di quella che è una sanguinosa repressione da parte del regime militare capitanate da Min Aung Hlaing nei confronti della popolazione birmana, la cui colpa sarebbe quella di protestare in maniera pacifica contro l’illegittima presa di potere da parte dei generali.

Il terrore in Myanmar sembra non avere fine: da poco meno di 60 giorni continuano incessantemente la carneficina da parte dei militari nei confronti di chiunque osi levare anche una sola voce di protesta contro la dittatura imposta il 1 febbraio 2021. Lo scorso sabato, l’ex Birmania ha conosciuto uno dei momenti più drammatica della sua storia recente, senz’altro il più sanguinoso evento degli ultimi anni.

Il 27 marzo è stata la giornata nazionale delle forze armate (il temibile Tatmadow), volta a commemorare la controffensiva birmana contro i giapponesi nel 1945 con imponenti parate militari tese a rappresentare la forza dell’esercito. Quest’anno, la manifestazione è stata accompagnata da numerose contestazioni e manifestazioni popolari. Si è trattato delle 24 ore più sanguinose dall’inizio del golpe: ci sono state 114 vittime civili tra cui anche una bambina di 13 anni, vittime che si sommano alle 400 persone che hanno perso la vita dal 1 febbraio ad oggi, numeri a dir poco impressionanti. Nonostante gli incessanti e ingiusti massacri, i pro-democracy e la crescente fetta di popolazione del Myanmar che esprime contrarietà al regime e a Hlaing continua a battersi per il futuro del proprio paese, cercando di trasformare la paura in un senso di forte rabbia con il quale sperano, e speriamo noi tuttə, di riuscire a capovolgere la dittatura, riportare quella stabilità che manca ormai da quasi 2 mesi e ristabilire il corso inaugurato de Aung San Suu Kyi, quello di una conquista, seppure graduale e contraddittoria, della democrazia.

Myanmar regime militare
Fonte immagine: Repubblica.it

La cosa più sconcertante è che i carnefici della strage, dopo questa mattanza, hanno preso parte all’evento commemorativo dell’anniversario sopracitato, come se fuori non si stesse consumando la violenta repressione, festeggiamenti in cui erano presenti anche delegazioni di altri paesi che ancora intrattengono rapporti diplomatici ed economici con il Myanmar. Contemporaneamente, gli oppositori hanno indetto la “giornata contro la dittatura del regime militare” e hanno lanciato un’appello straziante alla comunità internazionale.

Le condanne dei paesi occidentali e non solo non si sono fatte attendere seppur in un contesto e con modi che non sembrano influire sul corso degli eventi attuali. Il 28 marzo l’ONU ha definito i fatti del 27 marzo un massacro di massa, chiedendo di sanzionare i generali del Myanmar, tagliando loro le risorse finanziarie ed escludendoli dai rifornimenti di petrolio e gas. Gli USA di Biden, in particolare, affermano che i militari birmani hanno perso ogni credibilità nei confronti dei civili e si apprestano a superare la linea rossa di nuove sanzioni economiche, mentre la delegazione dell’Unione Europea in Myanmar ha descritto la giornata di sabato come “un giorno di terrore e disonore”. Tuttavia, non manca chi appoggia i mattatori del regime militare: è il caso della Russia, che definisce Min Aung Hlaing e i suoi seguaci come “grandi amici”. La Cina, per il momento, è stata più prudente, limitata alla condanna degli eccessi del regime: il Myanmar è un partner strategico insostituibile per completare il progetto delle “nuove vie della seta”, e qualsiasi forma di instabilità potrebbe essere problematica per il Dragone. Ad ogni modo, le reazioni internazionali non sembrano preoccupare i golpisti, i quali senza scrupoli continuano a seminare terrore per le strade birmane, calpestando le libertà politiche di chiunque provi ad ostacolare il loro potere illegittimo.

Se le parole e gli avvertimenti non hanno effetti sul generale e sui suoi scagnozzi, dovranno essergli imposte sanzioni più dure e in maniera repentina, per cercare di evitare che il Myanmar resti intrappolato definitivamente nella spirale della politica.

Gennaro Palumbo

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