Superare la crisi è superare la specie
Fotografia presa da Pexels

Nonostante i negazionisti insistano a considerarlo un complotto delle élites massoniche, il surriscaldamento globale è un fatto, le temperature registrate in questi giorni si inseriscono in un trend antropico (0,2° per decennio) che rischia di portarci verso catastrofi inimmaginabili. D’altronde negli ultimi trent’anni abbiamo inquinato più che nei 200 anni precedenti.

Ora, la crisi climatica in corso ci sta insegnando due cose. La prima è che per dimostrare di essere veramente una specie intelligente dobbiamo essere in grado di salvarci dalla nostra stessa capacità di devastazione. La seconda è che per farlo dobbiamo mettere in discussione quella arrogante pretesa di superiorità sulle altre specie.

Finora abbiamo infatti usato la nostra capacità tecnologica e scientifica in modo autoritario, abbiamo messo il nostro poter fare al servizio del potere e del profitto, incuranti delle conseguenze non solo sul resto del vivente, ma sulla nostra stessa esistenza collettiva. In fondo ci stiamo dimostrando intelligentemente stupidi. Se la terra diventerà una landa inospitale le specie superstiti dimostreranno che l’evoluzione conosce vie di saggezza che ci sono sconosciute.

Già ora la biomassa costituita dagli umani e dagli animali da allevamento supera di molte lunghezze quella “selvatica”. La perdita di biodiversità costituisce un fattore costante e crescente di rischio sia per l’effetto diretto dello sviluppo industriale (come deforestazione e produzione di gas e sostanze inquinanti), che per le sue conseguenze indirette (come la scomparsa degli “impollinatori” essenziali per la riproduzione delle piante). A dimostrazione che la nostra impronta sull’ecosistema è legata al nostro stile di vita collettivo, cioè al modo di produzione capitalistico e alla sua vorace esigenza di “consumo produttivo”. L’industria della carne, ad esempio, incide per buona parte sull’emissione dei gas inquinanti generata dal settore alimentare.

Ma è vero anche che la maggior parte delle emissioni (il 73% nel mondo) è dovuto alle esigenze di produzione energetica nei rami dell’industria (24,2%), del trasporto (16,2%) e negli edifici (17,5%, di cui 10,9% ad uso domestico e 6,6% commerciale).

Il nostro destino quindi non è segnato, non è scritto nei geni che abbiamo ereditato. Perché l’intelligenza è un fattore sociale, nasce e si sviluppa nei conflitti che oppongono tra loro gli esseri umani, nonché l’umanità nel suo complesso e la natura. La storia e l’antropologia testimoniano che esistono società umane infinitamente più sagge della nostra, fondate sulla solidarietà e la condivisione, sul rispetto delle altre specie, sull’umiltà che deriva da un senso di appartenenza.

Non ci è toccata in sorte una società in cui lo sfruttamento più cinico della natura, le armi più apocalittiche e la repressione più poliziesca sono a disposizione di un gruppo di privilegiati e dei loro scribacchini di corte che ne magnificano il dominio come il migliore dei mondi possibili.

Sono quarant’anni che le classi subalterne subiscono queste politiche rapaci e viene loro insegnato a ringraziare perché “non c’è alternativa”.

Oggi le conseguenze della crisi ambientale vengono pagate dai più fragili, come individui e come società. E le politiche “ecologiste” che le classi dirigenti liberiste intendono implementare nel prossimo futuro saranno regolarmente pagate dalle classi subalterne del mondo.

E allora, come la natura che teniamo sotto lo scarpone del nostro imperialismo di specie si sta ribellando, sarebbe ora che anche gli sfruttati umani si unissero e si ribellassero a chi ci sta trascinando verso il baratro in nome del profitto. Dimostrando così che non sono “l’uomo”, “la scienza” o “il progresso” il problema, ma chi abusa del loro nome per interessi privati.

È tempo di trarre la lezione fondamentale dalla crisi climatica. Solo se saremo in grado di porre fine al dominio dell’uomo sull’uomo potremo porre fine al dominio dell’uomo sulla natura. La solidarietà con le altre specie può fondarsi solo su una società solidale al suo interno. La risposta autentica alla crisi ambientale è una rivoluzione nel nostro modo di vivere collettivo, nel nostro stesso modo di pensarci come “umani”.

di Marco Maurizi, Gruppo di Antispecismo Politico

Gruppo di Antispecismo Politico
Gruppo di Antispecismo Politico è un collettivo ecosocialista antispecista con un approccio multidisciplinare, attivo nello studio e nella ricerca sui temi della giustizia animale e sociale. Ci proponiamo, fra le altre cose, di indagare e denunciare l’influenza del neoliberalismo sul mondo della lotta per i diritti e la liberazione animale e su quello dei movimenti sociali in generale.

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