Maggio 2014: l’ex sindaco di Firenze Matteo Renzi, protagonista di una cavalcata che in pochi mesi lo ha visto diventare prima segretario del Partito Democratico e poi Presidente del Consiglio, ottiene il 40,8% alle Europee. Il miglior risultato mai raggiunto da un partito di centrosinistra nella storia della Repubblica. Quasi 5 anni dopo, Renzi è crollato dopo quel risultato: ha appena condotto il PD a un 18% alle politiche  ̶  che rappresenta il peggior risultato nella storia del partito –, mentre dall’altra parte dello scacchiere politico il segretario della Lega Matteo Salvini ha inanellato una serie impressionante di vittorie che lo hanno portato a ricoprire i ruoli di Ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio e ad essere accreditato del 32% dei consensi in vista delle imminenti elezioni europee.

Ma la storia può ripetersi? Possono le Europee rappresentare per Salvini il preludio di un calo, esattamente come fu per Renzi?

Letta Renzi
Matteo Renzi riceve l’incarico da un contrariato Enrico Letta

Per capirlo possiamo mettere a confronto le parabole dei due leader e i rispettivi contesti al momento del voto europeo. Effettivamente, la scalata di Renzi era stata fulminante: eletto a dicembre 2013 segretario PD, a febbraio 2014 una vera e propria “manovra di palazzo” (#enricostaisereno…) gli aveva permesso di prendere il posto di Letta come Presidente del Consiglio, senza passare dalle urne. Il 40% delle Europee aveva illuso tutto il centro-sinistra italiano di aver finalmente trovato un nuovo leader per gli anni a venire: convinzione bruscamente smentita negli anni successivi, nei quali Renzi si è “bruciato” con la stessa rapidità con la quale era salito alla ribalta.

La crescita di Salvini è, invece, più graduale: è segretario della Lega dal 15 dicembre 2013 (lo stesso giorno della prima elezione di Renzi a segretario PD, guarda caso) e il suo partito vive da allora una crescita costante, passando dal 6% delle Europee 2014 allo storico 17% del 4 marzo, che ha segnato il sorpasso ai danni di Forza Italia nelle gerarchie del centrodestra. Anche Salvini però sta vivendo, ora, un periodo di vero e proprio “boom”: i sondaggi dicono che in 9 mesi la Lega abbia praticamente raddoppiato i propri consensi, arrivando fino al 32% per quasi tutti gli istituti di statistica e addirittura al 36% secondo un sondaggio del Corriere della Sera di qualche settimana fa.

Da questo punto di vista Salvini corre meno rischi: se Renzi per tanti è stata una sbandata, una fiducia riposta e poi immediatamente ritirata già dopo la delusione per le prime riforme (Jobs Act, Buona Scuola), la base elettorale di Salvini è consolidata nel tempo e attorno a un processo mondiale comune, quello dell’ascesa delle destre nazionaliste (e euroscettiche, nel caso dell’UE), che non accenna a diminuire e anzi inizia a mietere vittime anche in paesi finora immuni (vedi Andalusia). Un fenomeno uguale e contrario al crollo globale della sinistra liberale, che ha trascinato con sé anche il PD e Matteo Renzi.

Macron
Emmanuel Macron il giorno dell’elezione come Presidente: la sua popolarità è al minimo storico

Soprattutto, Renzi paga un errore che Salvini ha invece evitato: prendere il potere senza passare dalle urne. Renzi ha governato per i suoi famosi “mille giorni” grazie ai voti raccolti nel 2013: ma con Bersani candidato premier e un programma completamente diverso da quello poi attuato durante la legislatura, complice l’alleanza con Berlusconi prima (governo Letta) e con Alfano e Verdini poi (governi Renzi e Gentiloni).

L’ex segretario PD ha avviato un’azione radicale di riforma senza aver avuto un riscontro popolare, osando più di quanto avrebbe potuto: un errore simile a quello che sta pagando in Francia Emmanuel Macron, che grazie alla particolare legge elettorale francese si ritrova una maggioranza sproporzionata rispetto al 24% da lui ottenuto al primo turno delle Presidenziali. Il presidente francese, infatti, sta scontando questo “abuso di potere” con le proteste popolari alimentate dai “gilet gialli”: un movimento nato per protestare contro i rincari sulla benzina e diventato un ampio contenitore di manifestanti anti-governativi.

Eppure, la situazione non è così catastrofica. Il calo dopo le Europee, per Salvini, può arrivare come per Renzi a causa della mancata efficacia delle sue riforme.

Così come per Renzi il calo di popolarità è iniziato a partire dalla riforma del lavoro e della scuola, attraverso le quali è stato portato avanti un modello sociale opposto a quello presentato in campagna elettorale dal PD bersaniano, per Salvini la lenta caduta potrebbe essere dovuta proprio a un provvedimento legato al tema chiave della sua campagna elettorale: l’immigrazione.

Il Decreto Sicurezza – diventato legge pochi giorni fa – può infatti regalare consensi a Salvini sul breve periodo, per la regola secondo cui “fare qualcosa è meglio rispetto a non fare nulla” e grazie all’ottima capacità comunicativa e propagandistica del leader della Lega sui social. Grazie alla quale riesce a intestarsi efficacemente qualsiasi risultato ottenuto, e anche traguardi non raggiunti o i cui meriti appartengono ad altri.

Ma può rivelarsi un boomerang quando gli effetti sul lungo periodo verranno a galla: il decreto prevede infatti l’abolizione della protezione umanitaria, della quale oggi usufruiscono il 25% dei richiedenti asilo; inoltre, stabilisce che il sistema degli SPRAR venga riservato solo a coloro che sono già stati riconosciuti come rifugiati, escludendo tutti coloro i quali hanno una situazione ancora in sospeso e sono in attesa di conoscere se potranno rimanere in Italia o meno.

Migranti Decreto Sicurezza
26 migranti cacciati dal CARA di Capo Rizuto (KR): le prime “vittime” del Decreto Sicurezza

Cosa vuol dire tutto questo? Semplice: molti più immigrati non avranno diritto ad accedere alle strutture di accoglienza, e considerato il contemporaneo rallentamento dei rimpatri (nel 2018 sono tra i 450 e i 500 al mese, circa 5300 al 31 ottobre contro i 6500 totali del 2017), è evidente che la maggior parte degli immigrati rimasti fuori dai circuiti di accoglienza e integrazione rimarrà senza tetto. Con prevedibili effetti dal punto di vista della criminalità e della conflittualità sociale. Quello che molti hanno definito il “Decreto Insicurezza” è quindi un decreto che punta semplicemente a dare in pasto ai suoi elettori una punizione per gli immigrati in quanto tali, volta a complicare loro la vita più di quanto non faccia già un sistema di integrazione piuttosto farraginoso. Ma quando sarà finito l’effetto della propaganda, e saranno passati mesi senza che nulla sarà cambiato dal punto di vista dell’immigrazione “percepita” – o anzi, la situazione sarà peggiorata – come potrà giustificarsi Salvini?

Ecco a cosa servono le Europee

L’altro cavallo di battaglia della Lega, insieme all’immigrazione, è la lotta all’Europa; una folta delegazione leghista al Parlamento Europeo, magari con il ruolo di leader del gruppo degli euroscettici, rafforzerebbe l’idea del partito di Salvini come chiave per scardinare l’Unione Europea e l’Euro e creerebbe un binario alternativo rispetto alla Lega come partito anti-immigrazione.

Soprattutto, la Lega sembra avere una posizione molto più netta sull’Europa rispetto a quella del proprio alleato di governo, il Movimento 5 Stelle: una spaccatura che potrebbe avvantaggiare il Carroccio e provocare la fine anticipata dell’esperienza suggellata del contratto di governo. In attesa che l’opposizione PD si riorganizzi al suo interno e decida “cosa vuole fare da grande”, in un eterno bivio tra la socialdemocrazia e il liberalismo à la Macron che solo il congresso convocato per marzo potrà – forse – risolvere.

Una Lega con il vento in poppa sull’immigrazione e sull’Europa, quindi, è difficile da fermare. E a maggio, quando Salvini urlerà contro “i burocrati di Bruxelles” forte del pugno duro messo in atto contro migliaia di famiglie di disperati che rimarranno senza una casa, arriverà un probabile trionfo.

Ma guai a pensare che questo trend non si possa invertire. Non può piovere per sempre…

Simone Martuscelli

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