maternità papa
Fonte immagine: Affari Italiani

«C’è chi non vuole figli, ma ha cani e gatti al loro posto. Negare maternità e paternità ci toglie umanità»: è quanto ha dichiarato Papa Francesco durante la sua udienza generale del mercoledì.

Un concetto che aveva già espresso negli ultimi mesi del 2021, e che sicuramente non costituisce il suo migliore intervento dato che, pur tratteggiando i primordi di una tanto agognata parità tra maternità e paternità, si è rivelato comodo strumento per i più agguerriti titolisti. Nel giro di poche ore, i media hanno riempito, con la citazione in apertura, social e rete, facendo scomparire del tutto l’accento posto dal Papa sull’importanza dell’adozione e la figura di San Giuseppe, padre non naturale ma per l’appunto “putativo” di Gesù.

Ma, al netto di alcuni buoni propositi, in un discorso nulla viene lasciato al caso. Ciascuna parola, concetto o esclamazione assume un peso che, specie se proferita da un Pontefice, determina delle conseguenze tangibili. In questo caso, conseguenze gravissime. 

Papa, politica e maternità

Ebbene, sarebbe opportuno spiegare al Pontefice che la maternità da tempo ha smesso di esser oggetto passivo di discussioni ormonali testosteroniche e ha iniziato a pretendere la dignità di non esser liquidata con poche paternalistiche frasi che mescolano tra loro piani profondamente diversi di significato. Pertanto, tacciare una donna che decide di non avere figli di esser causa di “perdita di umanità” e di impoverire la “Patria”, mettendo metaforicamente le mani nelle mutande di uomini e donne, non può più esser tollerato come “omelia del Papa”. Assume un significato politico ben definito, tanto più che sembra più che mai lecito domandarsi a quale patria si riferisca il Pontefice, capo a tutti gli effetti di uno Stato straniero.

La pienezza di una vita non si definisce in base al numero di ovuli fecondati: questo è un concetto che bisognerebbe normalizzare. Allo stesso tempo, se è vero (e sicuramente lo è) che la discussione sul cosiddetto “inverno demografico” italiano assume i tratti di necessità e urgenza, è tanto più vero che tale emergenza non dovrebbe riguardare il capo della Chiesa Cattolica, quanto piuttosto i Ministri dello Stato in questione, il cui compito è quello di provvedere ad elaborare e implementare misure che permettano di non rinunciare all’esperienza della maternità e paternità per ragioni economiche o legate al proprio lavoro o che riconoscano la cittadinanza a chi, in Italia, nasce e vive.

Libera Chiesa in libero Stato: ad ognuno il suo, insomma. Purtroppo però non è la prima volta che Papa Francesco, nell’esprime metafore e giudizi sul valore della vita delle donne, mette quest’ultimo in relazione causale alla loro capacità e volontà riproduttiva.

Certo è che se le sue parole avessero effetto solo su uno sparuto gruppetto di persone che decidono di regolare la propria vita sui dettami di un’organizzazione economica e sociale guidata da un vecchietto vestito di bianco, non ci sarebbe nulla da obiettare. Ma, nel momento in cui le parole di quel vecchietto, da cui vengono fatte discendere norme e regole arbitrarie e soggettive, influenzano e si ripercuotono anche sull’organizzazione politica e soprattutto sanitaria di uno Stato sovrano e laico, e si inseriscono in maniera melliflua e liquida negli interstizi della sua identità culturale e della sua quotidianità, il peso del silenzio diventa insostenibile.

La chiesa cattolica e quella strana ossessione per l’utero

Che poi è l’intera religione cattolica a fondarsi su un utero femminile. Il Figlio di Dio, infatti, non discende dal cielo per grazia divina, non viene generato dall’acqua né dal fuoco: viene portato in grembo da una donna e, da questa, nasce. Eppure, lungi dal santificare la grazia uterina, lungi dal riconoscere una potenza ed una valenza indipendente e libera all’organo riproduttivo femminile, la religione cattolica decide di santificare la maternità ma solo quella di Maria, facendo dell’utero di tutte le altre donne uno strumento funzionale ad un solo scopo – quello riproduttivo – che deve essere perseguito secondo i vincoli e i divieti imposti dagli stessi uomini di Chiesa.

In questo modo essi possono impossessarsene, appropriandosi, per delegittimazione morale, di un qualcosa su cui altrimenti non avrebbero potuto metter becco. Al di fuori della maternità, dell’utero non val la pena parlare, men che meno della vagina e di tutto l’apparato riproduttivo femminile.

Mutuando il lessico da una dimensione altra, possiamo definirla una vera e propria espropriazione violenta di legittimità e parità, perpetrata nei millenni e supportata financo dalle donne che, in questa visione caratterizzata dalla produzione filiale di massa, hanno assunto ben volentieri il ruolo di operaie senza diritti.

Viene meno il diritto di ammettere e affrontare la depressione post partum, il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, il diritto di fecondazione in vitro e di maternità solidale, il diritto a fare a meno della maternità nell’esperienza della vita, persino il diritto a scegliere di non dare sepoltura al feto abortito. Viene meno, per le donne, il diritto alla libera ed autonoma scelta sul proprio corpo e la propria esistenza mentre si afferma il privilegio, per l’uomo, di disporre come meglio crede delle sorti di qualsivoglia donna incontrerà nella sua vita.

Eppure, è per la scelta libera di una donna (e per la sua vagina, a dirla tutta) se una delle più longeve ed influenti religioni al mondo ha il suo profeta, a dispetto di un uomo, Giuseppe, che si trova a fare i conti con una situazione già determinata da altri, alla quale può sicuramente sottrarsi ma di certo non porre modifiche sostanziali.  

Sarebbe dunque interessante, prima di proporre modelli familiari e comportamentali ai ferventi fedeli cattolici, guardare con maggiore lucidità alla famiglia di Nazareth. Oltretutto, a dispetto di qualsivoglia osservazione, consiglio o omelia del Pontefice, val la pena sottolineare che anche Gesù è rimasto figlio unico. Scommettiamo che avesse anche un animale domestico a fargli compagnia?

Edda Guerra

Edda Guerra
Classe 1993, sinestetica alla continua ricerca di Bellezza. Determinata e curiosa femminista, con una perversa adorazione per Oriana Fallaci e Ivan Zaytsev, credo fermamente negli esseri umani. Solitamente sono felice quando sono vicino al mare, quando ho ragione o quando mi parlano di politica, teatro e cinema.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.