Alzi la mano chi, leggendo del ritorno di Cristiano Ronaldo al Manchester United, si è esaltato convinto che i Red Devils sarebbero tornati a dominare il calcio inglese ed europeo in questa stagione. Esaltazione sulla carta più che legittima vista la rosa costruita in questi anni e gli arrivi di Raphael Varane e Jadon Sancho nelle settimane precedenti, in un calciomercato che ha avuto davvero pochissimi botti e poco da raccontare (se si esclude il PSG, ovviamente). Ma la dura legge del calcio impone che il mercato non vada mai preso come metro di valutazione per quella che sarà la stagione a venire, e lo United sta venendo meno ad ogni tipo di attesa. E i problemi sono più di uno.

Le colpe di mister Solskjaer

Il primo tema scottante è senza ombra di dubbio quello legato all’allenatore. Solskjaer è alla guida del Manchester United da dicembre 2018, ed escludendo quella metà stagione conclusa al sesto posto, i risultati sono comunque migliorati sensibilmente ogni stagione. Sono arrivati un terzo ed un secondo posto alle spalle di City e Liverpool, una semifinale ed una finale di Europa League persa ai rigori contro il Villareal, in una serie infinita che ha visto la fine solo con l’errore decisivo di David De Gea, non propriamente un rigorista. Tuttavia il Manchester United non ha mai veramente convinto in queste due stagioni ed è spesso stato surclassato, non tanto dal livello dei singoli degli altri, quanto dalle pochissime idee di gioco e dalla scarsa applicazione atletica, e quest’anno tutti questi problemi stanno venendo fuori.

Il Manchester United è l’unica squadra in Premier League a giocare costantemente sotto ritmo, nell’unico campionato al mondo in cui anche le neopromosse giocano portando continuamente la pressione nella metà campo avversaria. Il 4-2-3-1 studiato dell’allenatore norvegese per questa stagione sembra più un modo per schierare più giocatori offensivi possibili, piuttosto che qualcosa di pensato e cucito per far girare al meglio la squadra. Lo United fa una fatica enorme a rompere il ritmo delle squadre avversarie a centrocampo, sia per la troppa pigrizia ingiustificata degli attaccanti, sia perché i mediani sono costantemente sovrastati dal ritmo offensivo delle altre squadre. Nel derby di Manchester, la squadra di Guardiola ha a malapena messo la terza marcia, e tanto è bastato per distruggere il piano difensivo di Solskjaer e del suo 3-4-1-2.

Pogba e Fred non sono mediani, e non possono farlo se devono giocare senza un raddoppio adeguato da parte dei 3 giocatori dietro le punte (peraltro il brasiliano non sembra nemmeno un giocatore adeguato, il più delle volte), e Matic non ha più il passo né il ritmo per stare dietro agli avversari. A questo va ad aggiungersi il loro mancato coinvolgimento offensivo a causa del gioco (o non gioco) dato dal norvegese, che spesso prevede di saltare il centrocampo per raggiungere velocemente gli uomini in attacco, che hanno carta bianca (o sarebbe meglio dire nessuna direttiva) sul da farsi in fase offensiva. Non c’è un gioco: nessuna sovrapposizione dei terzini, nessuno scivolamento verso l’interno degli esterni, nessun movimento senza palla; c’è solo l’idea che chiunque giochi in attacco sia abbastanza forte da poter creare qualcosa in fase offensiva e che questo basti per portare a casa la pagnotta.

La linea difensiva è un altro tasto dolente di questa stagione. L’arrivo di Varane sembra aver minato le sicurezze di Maguire, che ha ripreso tutte le cattive abitudini che aveva all’inizio della passata stagione, come perdere di vista l’uomo sui piazzati o sbagliare le letture in area di rigore (ad esempio quando, nella gara di ritorno della fase a gironi della Champions contro l’Atalanta, ha lasciato rimbalzare pericolosamente il pallone all’altezza del dischetto al minuto 95, con Muriel in agguato). Anche il passaggio alla difesa a 5, che pure bene aveva fatto contro il Tottenham, sembra non aver dato i frutti sperati, con l’Atalanta che ha dominato il campo in lungo e in largo nei primi 40 minuti e ripresentato i fantasmi di Liverpool. Colpa non solo dei difensori, visto che il filtro a centrocampo è inesistente, ma di Maguire e Lindelof lo è altrettanto: sono troppo distratti e troppo insicuri anche per poter tenere la linea difensiva in ordine. Lo stesso ex Real Madrid continua a confermare tutti i dubbi che si avevano sul suo conto, perché troppe volte le prestazioni di Varane, specialmente quando non era affiancato da un difensore che lo comandasse (Sergio Ramos, per intenderci), sono state pessime, e quest’anno non è certamente esente da colpe. E WanBissaka non sta facendo molto per far ricredere Southgate e guadagnarsi un posto con la Nazionale dei Tre Leoni, soprattutto con quei cali di concentrazione vertiginosi che ne stanno minando paurosamente il rendimento.

Serviva davvero CR7 al Manchester United?

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C’è poi il capitolo Cristiano Ronaldo, che ne porta con sé tanti altri. Il portoghese ha fatto 9 gol in 11 presenze, di cui 5 in Champions League più che importanti per il Manchester United, ed è stato eletto giocatore del mese di settembre in Premier League, quindi il suo impatto in zona gol è innegabile, così come è innegabile che abbia portato diversi punti ai Red Devils. Tuttavia, avere CR7 in campo comporta un prezzo da pagare, cioè avere un giocatore che ormai è diventato totalmente accentrante in fase offensiva, che quasi pretende di essere l’unico catalizzatore di ogni azione e che in fase di non possesso è sostanzialmente un uomo in meno perché ha smesso molti anni fa di sacrificarsi per la squadra. La domanda, quindi, sorge spontanea: quanto serve effettivamente Cristiano Ronaldo a una squadra? La Juventus è peggiorata dal suo arrivo, raggiungendo risultati al di sotto delle aspettative in Europa e finendo al quarto posto nella passata stagione, ma è addirittura irriconoscibile dal suo addio. L’influenza di Cristiano Ronaldo è stata evidente sin dal primo match contro il Newcastle, quando la squadra ha sostanzialmente giocato solo per lui. Ha il potere magico di diventare un faro nella notte per chiunque giochi con lui, ma quando quel faro si spegne gli altri non hanno la forza di diventare squadra a prescindere dal portoghese, ed è quello che è successo dopo la sconfitta contro l’Aston Villa. Cristiano Ronaldo ha spento la luce, e gli altri si sono spenti con lui.

E no, probabilmente a questa squadra non serviva Cristiano Ronaldo, e questo discorso vale anche se lui facesse 40 gol tra tutte le competizioni. Perché la sua presenza toglie minuti e palloni a Marcus Rashford, che da ala non può trovare spazio nel 3-4-1-2 e che non arriva al tiro quanto dovrebbe, con il portoghese centravanti nel 4-2-3-1; ne toglie a Jadon Sancho, che da luglio ad oggi è passato dal giocarsi la finale dell’Europeo al non essere convocato per i match contro San Marino e Albania; ne toglie a Mason Greenwood, che in campionato ha gli stessi gol del portoghese ma che è andato in panchina per due match di fila; e toglie sicurezze a Bruno Fernandes, la cui fortuna nella sua carriera era stata di trovare due club che credessero fermamente in lui, tanto da affidargli le chiavi dell’attacco e la libertà di fare ciò che il suo talento gli suggerisce di fare.

I tifosi che scrivono sui social #oleout sicuramente verranno accontentati, perché il norvegese ha finito le idee e sta anche finendo la fortuna, ma il mercato del Manchester United è stato ampiamente sopravvalutato, perché più che Cristiano Ronaldo, sarebbe bastato acquistare il solo Declan Rice e dargli le chiavi del centrocampo per diventare un team di livello in ogni reparto. E per come è costruita in questo momento la squadra, più che un tecnico dalle grandi idee, serve uno che sappia gestire una rosa dall’enorme talento ma che manca soprattutto di fiducia e tranquillità. E Zinedine Zidane è ancora senza una panchina.

Andrea Esposito

fonte immagine in evidenza: cnn.com

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