Come sta andando la pandemia da coronavirus nel resto del mondo (spoiler- male)
Fonte immagine: Sky Tg24

Mentre in Italia la pandemia pare sia sotto controllo, nel resto del mondo le cose non vanno altrettanto bene. Dagli Stati Uniti all’Africa, passando per Europa, Asia e Oceania. Nelle ultime settimane il numero dei contagi da coronavirus è cresciuto repentinamente, arrivando a quota 22 milioni. Anche chi all’inizio negava la presenza di una pandemia, degradandola al rango di “semplice influenza”, parrebbe rinsavito da quel torpore mentale che fomentava la propaganda. Persino i sovranisti, partiti con sfacciata spavalderia, hanno finalmente capito l’utilità del distanziamento sociale e dei dispositivi di protezione individuale. Ma lo stato della pandemia nel mondo preoccupa davvero, non solo da un punto di vista sanitario. La politica non vuole rinunciare alla possibilità di far propria la lotta contro il virus, accecata da un personalismo nocivo che, in determinate situazioni, ha ritardato una tempestiva risposta all’aumento dei contagi e continua ancora a inquinare un dibattito pubblico con frottole e panzane.

La pandemia nel mondo: l’Europa e il timore di una seconda ondata

Trascorsa la prima ondata e riaperte le frontiere, in troppi pensavano che l’arrivo del caldo avrebbe rallentato il virus tanto da permettere vacanze serene. Il repentino aumento dei casi negli Stati Uniti avrebbe dovuto già mettere tutti sul chi vive. E se è vero che i casi possono aumentare anche perché migliorano le capacità di scovarli, il rapido incremento dei decessi nelle ultime tre settimane induce a credere che il pericolo sia sempre in agguato. L’unico strumento in grado di proteggere i cittadini è, ancora, la prudenza.

Spagna, Francia, Germania, Belgio, Romania e Regno Unito: questi Paesi, nelle ultime settimane, hanno assistito a una rapida moltiplicazione dei casi da coronavirus che rinnovano i timori per l’arrivo di una seconda ondata di pandemia nel mondo. La Spagna è alle prese con un nuovo, recente record di contagi giornalieri dalla fine del periodo della quarantena. Quasi 2.000 in ventiquattr’ore. Troppi, tanto da costringere il governo a rimandare l’Open di tennis.

A partire dal 3 agosto, in Francia alcune città hanno imposto l’obbligo della mascherina anche all’aperto. A rendere questo provvedimento necessario sono stati i tremila contagi giornalieri registrati solo nell’ultima settimana in tutto il Paese. La situazione è sotto controllo ma precaria. Stesso discorso può farsi per la Germania, dove al momento i contagi crescono con una media di 1400 al giorno. Finora il Paese ha retto la pandemia con meno decessi rispetto ai vicini, eppure alcuni focolai preoccupano Berlino, come quello scoppiato in una azienda agricola in Baviera.

Le maggiori preoccupazioni, però, vengono da Oriente, in particolare dalla Romania. Il Paese resta quello maggiormente colpito nella regione e il primo in Europa per numero di decessi ogni mille abitanti. A peggiorare la situazione c’è anche la totale inconsapevolezza dei cittadini. Secondo un’indagine di Politico, una parte della popolazione rumena è suscettibile alla campagna social di disinformazione secondo cui il coronavirus sia solo un’arma biologica prodotta dagli Stati Uniti. Non bastavano i mille casi al giorno, ci si mette anche il complottismo.

Non rassicura nemmeno la situazione nel Regno Unito. Il Paese risulta essere il più colpito dal virus in Europa, con 41mila vittime. Da maggio la curva dei contagi è scesa con costanza, ma non sono ancora registrati gli effetti delle riaperture di luglio. Inoltre all’inizio della fase due, a differenza dell’Italia, l’UK era ancora in piena emergenza. Nonostante ciò il governo ha deciso di riaprire alcuni locali con la conseguenza che, nel giro delle ultime settimane, lo stesso ha dovuto rinviare l’allentamento di ulteriori restrizioni e imporre il coprifuoco a 4 milioni di persone nel nord dell’Inghilterra.

L’Africa alla prova del coronavirus

Fino ad oggi il numero di contagiati da coronavirus in Africa è stato molto più basso rispetto a quello dell’Europa, dell’Asia e delle Americhe. Questo fino al 23 luglio, giorno in cui l’OMS ha avvertito che la situazione in quel continente potesse essere più grave di quanto fino ad allora sostenuto. Ciò che preoccupa le autorità sanitarie è l’accelerazione della pandemia nel mondo negli ultimi due mesi, e nel continente africano in particolare. All’inizio di giugno i casi accertati erano quasi centomila, ora sono più di 1 milione.

Sempre secondo l’OMS, i nuovi contagiati non hanno avuto nessun contatto con positivi provenienti dall’estero, ma hanno sviluppato il contagio all’interno della propria comunità. Per le autorità locali, che non hanno ancora predisposto strumenti di controllo adeguati, individuare i focolai è decisamente più difficile rispetto al resto della pandemia nel mondo. Fino ad oggi, i Paesi in cui si è concentrata la maggior parte dei contagi sono il Sudafrica e l’Egitto, che assieme rappresentano il 75% di tutti i nuovi casi africani. Nello specifico, il primo è diventato in breve tempo il quinto Paese al mondo per numero di contagi, con più di cinquecento mila casi accertati e quasi diecimila morti.

Il tasso di mortalità in Africa rimane più basso rispetto a quello degli altri continenti. Ciò si spiega in parte per l’età media della popolazione più bassa e per la scarsa presenza di malattie come l’ipertensione e il diabete, che aumentano la probabilità di morte nei pazienti malati di coronavirus.

Le Americhe, il nuovo epicentro della pandemia nel mondo

L’America è in crisi. Gli scienziati lanciano allarmi preoccupanti sulla diffusione crescente che si sta spostando nelle aree rurali e nelle aree urbane degli stati più remoti. Negli USA a incidere è soprattutto la mancanza di coordinamento e i messaggi contraddittori senza base scientifica lanciati da Trump, che non fanno altro che rendere la sfida della pandemia ancora più difficile. La prima potenza mondiale somiglia più a un gigante con i piedi d’argilla, con i problemi interni che hanno preso il sopravvento, amplificati dalla presenza del virus. Ad oggi gli Stati Uniti sono il Paese in cui la pandemia non conosce rallentamenti: quasi 5,5 milioni di casi, un primato, e quasi 173mila morti.

Preoccupa anche la situazione del Brasile, dove i contagi sono più di tre milioni. Senza contare i decessi, 110mila sui 231mila in tutto il Sud America. Il virus è ancora presente e il trend di contagio continua a mantenersi eccessivamente elevato. Alcuni studi sottolineano come il coronavirus si stia spostando dal sud del Paese, dove la sanità è più efficiente, verso Nord Est, zona meno attrezzata e in cui la povertà è più diffusa.

Il punto è che in Sud America, come per le altre aree geografiche del mondo già in forte difficoltà economica, la pandemia è andata ad aggiungersi a problemi già esistenti. Da un lato lo spettro del mancato accesso alle risorse alimentari, dall’altro quello della recessione economica che potrebbe esasperare nuovamente contesti sociali già esplosi prima della pandemia. È il caso del Perù, con 400mila casi e 20mila morti, dove migliaia di famiglie, rimaste senza cibo per settimane, ricorrono a “pentoloni comunitari” che ricordano la crisi. Critica anche la situazione del Messico, con 450mila casi (7mila giornalieri).

Asia e Oceania, dove la pandemia accelera

Alla fine di luglio, in Cina, sono stati registrati un centinaio di contagi, il numero più alto da marzo. Preoccupa, al contempo, la situazione di Hong Kong dove, a causa di numerose falle nelle regole per gli ingressi che consentono ad alcune categorie di viaggiatori di evitare test e quarantena, sono state adottate nuove misure restrittive come lo stop ai ristoranti e l’obbligo di indossare la mascherina in tutti gli spazi pubblici.

Anche in India la pandemia sembrerebbe fuori controllo. Nonostante vari tentativi di lockdown, il Paese è il terzo al mondo per numero di casi (2,0 milioni). Fonti governative, però, hanno fatto sapere che il Paese potrebbe avere un vaccino contro il coronavirus molto presto. Grazie a una sorta di scommessa dal costo di 450 milioni di dollari fatta dalla Serum Institute di Pune, il più grande centro di produzione di vaccini al mondo, si vocifera che l’India potrà disporre di 300 milioni di dosi già entro novembre. La scommessa riguarda la produzione in massa del più promettente dei vaccini sperimentati, cioè quello di Oxford.

Più a sud, in Australia, a destare timore è lo stato di Victoria, dove si sono registrati 700 casi in 24 ore. A partire dalle 18 di domenica scorsa, il governo ha imposto il coprifuoco nella metropoli di Melbourne e altre restrizioni. Queste ultime rimarranno in vigore per sei settimane e prevedono il divieto di allontanarsi per più di cinque chilometri da casa, limitazioni sulla spesa e sull’esercizio fisico all’aperto.

In Russia, invece, il governo ha annunciato di aver trovato un vaccino efficace, nonostante all’OMS non risulti che i russi abbiano dei vaccini all’ultima fase di sperimentazione. Il Cremlino, al contrario, ha affermato di essere pronto ad avviare la vaccinazione di massa entro ottobre. L’impressione è che, a fronte dell’aumento dei casi (5mila al giorno), Putin voglia concentrare tutta l’attenzione su una cura che gli permetta di “vincere” la corsa al vaccino contro la concorrenza. Il tutto avviene mentre in Iran i dati su morti e contagi vengono manipolati dal regime per motivi economici. A rivelarlo è stata la BBC che, tramite un’indagine, ha appurato come i casi accertati siano 451mila rispetto ai 278mila dichiarati e che i morti non siano 14mila bensì 42mila.

La pandemia nel mondo, dunque, desta ancora molte preoccupazioni. E la battaglia non è affatto finita, nonostante i dati italiani – comunque allarmanti – siano più confortanti rispetto agli altri. L’unico modo per arginare il coronavirus è quello di mettere le mani sul vaccino, ma i tempi non sono ancora maturi. Ecco perché fino ad allora l’unica prevenzione possibile è la prudenza.

Donatello D’Andrea

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