Il ragazzo e l'airone dello Studio Ghibli, l'ultimo film di Hayao Miyazaki
Fonte immagine: https://www.thecrimson.com/article/2023/12/14/the-boy-and-the-heroin-studio-ghibli-hayao-miyazaki-tokyo-japan-film/

Le storie

“Il ragazzo e l’airone”, ultima opera del maestro Hayao Miyazaki targata Studio Ghibli, parte come la più semplice delle storie, e lo fa in una vicenda storicamente collocata in modo preciso: siamo a Tokyo nel 1943 in piena guerra e una notte l’ospedale prende fuoco dopo un attacco di bombardieri. È tra le fiamme che perde la vita Hisako, madre di Mahito Maki, ragazzino che da allora in poi vivrà con un costante senso di perdita misto al tormento di non aver potuto salvare sua madre tra le fiamme. Il padre di Mahito si risposa poco tempo dopo con la sorella di Hisako, Natsuko, che presto aspetterà un figlio; decide quindi di trasferire la famiglia in campagna, in un luogo immerso nella natura dove da bambine crebbero le due sorelle. Sarà qui che Mahito farà la conoscenza di sette strane vecchine, di un airone molto molesto e di una inquietante torre misteriosa appartenuta a un prozio dal passato oscuro, mentre viene incalzato a esplorarla da incubi costanti su sua madre che chiede di essere salvata.

Senza entrare in ulteriori dettagli, da un certo momento in poi la storia de “Il ragazzo e l’airone” abbandona questo mondo dolorosamente realistico per entrare in un mondo sovrannaturale, con sue regole logiche ma rovesciate – come insegna Carroll nei due “Alice” – ma intimamente connesso con il mondo “di sopra”. È un cambiamento nel tono della narrazione che non giunge come brusco, ma è anticipato da un’ora di preparativi: Miyazaki riesce a far abituare lo spettatore all’atmosfera storica di una vicenda molto realistica, tra ninnoli, vasi da notte, automobili d’epoca e anche bullismo dovuto a differenze di classe. Mahito decide di affrontare un tipico viaggio dell’eroe per salvare sua zia, che durante la lunga convalescenza pre-parto viene rapita nel mondo magico della torre che nasconde segreti fiabeschi ma anche, volendo, lovecraftiani (che Miyazaki citi l’origine della torre prendendo spunto da “Il colore venuto dallo spazio” non sarebbe una sorpresa).

Immagine dai trailer del film

La soglia

Come in gran parte dei film di Miyazaki anche ne “Il ragazzo e l’airone” l’idea che esista una soglia tra questo mondo e gli altri viene esplicitata dapprima nella concezione – tipica del regista – che il mondo immerso nella natura sia già di per sé un microcosmo di meraviglie, ma anche che i bambini siano i soggetti privilegiati per poterle percepire. Accadeva ne “Il mio vicino Totoro” e ne La città incantata, accade anche ne “Il ragazzo e l’airone”. Come se non bastasse, in un certo punto della vicenda le soglie metaforiche acquisiscono un significato letterale, diventando porte vere e proprie con tanto di numerino. Che i bambini siano gli unici capaci di sapersi muovere con abilità in questi mondi è rimarcato anche dal continuo insistere sugli spazi fisici in cui Mahito si infila: cunicoli di pietra, buchi, passaggi così stretti che un adulto umano non potrebbe mai entrarvi, tantomeno avrebbe forse la curiosità di farlo. Ma la soglia in questo film è anche quella che separa il mondo dei vivi dal mondo dei morti: “Il ragazzo e l’airone” è la catabasi di Mahito, un viaggio dantesco nell’aldilà accompagnato da uno psicopompo (l’airone) dove l’obiettivo finale è affrontare la morte stessa per preservare la vita. Le citazioni di Miyazaki sono dirette, perlomeno quelle che da occidentali riusciamo a cogliere in modo più immediato: la tomba enigmatica dietro il cancello dorato è uguale all’Isola dei morti di Böcklin. E gli esempi potrebbero continuare, tirando dentro anche piazze di De Chirico o sequenze felliniane.

Immagine presa da "Spieltimes.com"

La metamorfosi

Non sorprenderà sapere che “Il ragazzo e l’airone” è pieno di personaggi che subiscono cambiamenti emotivi e fisici: vecchiaia e giovinezza diventano intercambiabili, con l’uso proprio ben fatto di viaggi nel tempo a giustificarne alcune caratteristiche narrative. In altri casi sono gli animali che da antropomorfizzati diventano quelli che conosciamo, con le loro tipiche caratteristiche biologiche. Ma anche gli stati psicologici possono subire cambiamenti radicali: così la dolcissima Natsuko nell’altro mondo può diventare una furia incontrollabile. La metamorfosi è dunque anche una spinta creatrice dovuta a desideri e censure dell’inconscio che si fa carne nell’altro mondo. I blocchetti di pietra diventano pilastri di un mondo intero se non di universi, amuleti si tramutano in benevole guardiane rugose e dalla schiena curva. Non c’è mai stabilità nelle storie e nello stile di Miyazaki ma un principio di vitalità esplosiva incontrollabile. Le scene della pesca e della squamatura del pesce, come anche quelle con i warawara che decollano come palloncini, sono di una potenza evocativa che è difficile ritrovare nel cinema – non solo d’animazione – contemporaneo.

Il ragazzo e l'airone dello Studio Ghibli, l'ultimo film di Hayao Miyazaki
Il mago de “Il ragazzo e l’airone”

I libri

Secondo le voci che si rincorrono nella dimora di campagna pare che un libro sia al centro del mistero della scomparsa del prozio. I libri lo hanno fatto impazzire. E piena di libri su ogni scaffale è la torre che Mahito visita alla ricerca della zia scomparsa: come il Prospero della Tempesta shakesperiana – opera di commiato del Bardo dal suo pubblico – il mago traffica nell’arte libresca e i libri sono simboli di potere e sapienza di incantesimi (se questo sarà l’ultimo film di Miyazaki il paragone tra il prozio, Prospero e Miyazaki stesso sarà automatico). Ma “Il ragazzo e l’airone” è in realtà molto liberamente ispirato anch’esso da un libro che si intitola E voi come vivrete? di Genzaburo Yoshino. Le trasposizioni dei film di Miyazaki sono di solito molto libere, molto personali (in Si alza il vento l’autobiografia di un ingegnere si univa a un romanzo che raccontava di un sanatorio sulla tubercolosi) e anche qui non c’è differenza: il romanzo di Yoshino è un classico della letteratura giapponese per l’infanzia, che racconta di uno studente di scuola media che affronta la vita di tutti i giorni, ed è strutturato con l’alternanza di capitoli in terza persona sulle vicende del protagonista e quelli dal taccuino dello zio, che ne segue la crescita al posto del padre morto anni prima dando consigli di natura etica, scientifica o didattica in generale al nipote. Un libro che Miyazaki considera fondamentale per la propria crescita personale e che in realtà, oltre a dare il titolo originale al film in giapponese, appare anche come dono della madre a Mahito. I libri in quanto contenitori di insegnamenti fondamentali sulla responsabilità sono quindi centrali all’interno del significato del film.

Immagine da "Awardsdaily.com"

Gli uccelli

L’airone del titolo italiano è uno dei grandi protagonisti della storia: ora subdolo e impertinente, ora buffonesco e a suo modo eroico, bugiardo ma anche unico personaggio che riesce a spiattellare la verità a Mahito dandogli un aiuto concreto, è l’accompagnatore del ragazzo nel viaggio all’altro mondo, con Miyazaki che si esalta nel disegnarlo come vero airone (simbolo giapponese di una divinità capace di attraversare i tre elementi di acqua, terra e aria) o come un grottesco clown spelacchiato di bassa statura. Non è l’unico uccello presente ne “Il ragazzo e l’airone”: sono già stati citati i parrocchetti cannibali, con tanto di Re, ma ci sono anche dei pellicani che loro malgrado divorano i teneri warawara (spiriti che sono destinati a diventare esseri umani una volta ascesi nel nostro mondo). Tutti loro perseguono un unico obiettivo, che poi è lo stesso delle specie animali di “Principessa Mononoke” (umani compresi): cioè quello di sopravvivere, obbedendo a una catena alimentare cui non possono ribellarsi in un mondo che traballa sempre più.

Immagine da "Thepopverse.com"

La cicatrice

In un atto raro nel cinema miyazakiano per violenza e masochismo, Mahito a un certo punto si colpisce in testa con una pietra sanguinando copiosamente e riportando una cicatrice che non andrà più via. Ne “Il ragazzo e l’airone” è centrale il tema del trauma: il trauma principale è ovviamente quello della morte della mamma di Mahito, una morte tra le fiamme che tormenta il ragazzo, non ancora pronto ad affrontare la sua perdita almeno fino alle ultime scene del film: saprà riconoscere subito una vecchietta ringiovanita, ma non riuscirà a riconoscere sua madre neanche quando le evidenze sono sotto i suoi occhi; sarà lei a dirglielo in modo esplicito portandolo finalmente a superare il trauma, accettandone la morte ma glorificando la vita. Ma trauma è anche la gravidanza di Natsuko, un evento che fa riaffiorare nella donna sensi di colpa mai sopiti verso la sorella e il nipote. La ricomposizione del trauma e dell’unità familiare sono il vero culmine a cui Mahito aspira. La cicatrice resta, ma è la consapevolezza del perché di quella cicatrice ad avere significato.

Il ragazzo e l'airone dello Studio Ghibli, l'ultimo film di Hayao Miyazaki

La memoria

Il padre di Mahito fabbrica aerei e grazie a ciò è diventato benestante: ma è anche a causa di quegli aerei che in una concatenazione di eventi sua moglie è rimasta uccisa. L’idea che ogni minima connessione porti a conseguenze incalcolabili è centrale nel cinema miyazakiano: il mago offre a Mahito un universo e sta a Mahito accettarlo o meno. Il romanzo di Yoshino “E voi come vivrete?” si chiude proprio su questa domanda che è un dilemma che da sempre rende vivo, ambiguo e privo di facili risposte il cinema di Miyazaki. “Il ragazzo e l’airone” non è da meno: nel finale la responsabilità è collegata anche con la memoria, ma come rimarca l’airone nessuno torna dall’altro mondo con il ricordo di ciò che ha affrontato. Come in “IT” di Stephen King i bambini sono destinati a perdere quella connessione magica con il mondo nascosto e i suoi insegnamenti una volta diventati adulti. Quando Mahito dirà che pochi anni dopo tutta la sua famiglia è tornata a Tokyo il film si chiude su una pagina bianca dove la storia è ancora da farsi ed è in mano a chi, ora, ha il proprio destino nelle mani. La dedica che Miyazaki ha fatto per questo film composto anche da vari spunti autobiografici è a suo nipote, ma l’idea è che sia dedicato a ogni nipote del pianeta e che ogni memoria sia collettiva. Così come ogni trauma.

Nicola Laurenza

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