Le parole di Dante: eredità in bilico rilanciata dall'Accademia della Crusca
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L’iniziativa dell’Accademia della Crusca, in occasione dei 700 anni dalla scomparsa di Dante, ripropone ogni giorno una parola o un’espressione che il poeta fiorentino ha lasciato in eredità alla nostra lingua: un’eredità scialacquata dal brutale impoverimento semantico coevo.

Il 2021 è infatti per la cultura, non solo italiana, l’anno di Dante Alighieri, che tra la notte del 13 e del 14 settembre 1321 ci avrebbe lasciati assieme ad un’inestimabile eredità culturale. Se sia andato davvero a «scoprire se quanto aveva immaginato in tutti quegli anni» fosse vero, per dirlo con le parole di Alessandro Barbero, non è dato sapere, ma ciò che è certo è che è rimasto indubbiamente nel Paradiso immaginario e collettivo della letteratura planetaria. Non solo le immagini dell’Inferno, o la straziante sensazione di attesa del Purgatorio e la luce di Beatrice nel Paradiso sono ormai inesorabilmente indelebili, ma anche tante sue frasi, oltre che ancora attuali, sono figure che, fanno parte del parlare comune. Il mito di Dante, il sommo poeta, è un mito mondiale, ed il fatto che ancora oggi studiosi da tutto il mondo indaghino su di lui la dice lunga su quanto ancora abbia da rivelare.

In occasione dei 700 anni dalla morte di Dante le iniziative atte a ricordarlo sono molteplici, spicca però quella proposta dall’Accademia della Crusca che ripropone ogni giorno una parola o un’espressione del poeta che ci ha lasciato in eredità. Una parola di Dante al giorno quindi, per tutto il 2021, per «ricordare, rileggere, ma anche scoprire e approfondire la grande eredità linguistica lasciata da Dante». Un’iniziativa importantissima se si pensa all’impoverimento semantico generale che attanaglia il nostro tempo e la nostra cultura.

Non è infatti un caso che la Crusca abbia puntato proprio adesso su questa iniziativa: nel tempo de il Grande Fratello e de la Pupa e il secchione. Un tempo sicuramente buio per il nostro bagaglio semantico che ha risentito e risente in negativo dell’impoverimento generale a livello di interessi culturali. Si pensi che a leggere almeno un libro l’anno, nel 2019, sono stati solo il 40% degli italiani: un dato che testimonia l’impoverimento culturale e che farebbe raccapricciare anche il nostro Dante, il quale con le sue parole e le sue opere ci ha lasciato in mano un bagaglio incommensurabile.

La parola di Dante “fresca di giornata”, nonostante i 700 anni che ci separano dalla morte del poeta fiorentino, intende anche sottolineare la straordinaria attualità, capacità e comprensibilità che le sue parole rimarcano ancora oggi. Sono infatti motti, neologismi o locuzioni creati da Dante che rientrano a pieno titolo nel nostro patrimonio linguistico.

Proprio con il neologismo “Trasumanar” (Paradiso, I, 70), quell’esperienza che va oltre l’intelletto umano, si apre il viaggio dantesco della Crusca, che ha già rispolverato alcune delle più significative parole o espressioni scritte da Dante. Il 2 gennaio ad esempio, l’Accademia della Crusca ha riportato i celebri versi danteschi: «color che son sospesi» (Inferno, II, 52), detti da Virgilio poiché costretto nel Limbo, che ancora oggi raffigurano una generale condizione umana di incertezza e attesa.

È chiaro che in 700 anni la cultura e la lingua si siano sviluppate, e che la globalizzazione abbia ricompreso in se anche la semantica, mescolando talvolta parole e significati, o facendone decadere alcuni a favore di altri. È stato rimproverato spesso che molti dei termini e delle parole di questa pandemia, ad esempio, rimbalzate da una Tv all’altra, siano di origine inglese e quindi in grado di svilire la nostra lingua. Ma è altrettanto vero che ci è voluta una pandemia per comprendere il significato e la differenza tra le parole “assembramento” e “assemblare”, e questo secondo dato è nettamente più allarmante del primo.

È indubbio che in questo sviluppo, soprattutto per i nostri giorni, grande influenza l’abbiano avuta i social network: la nostra lingua infatti, è stata profondamente modificata dal digitale a partire dal modo di scrivere e parlare. Nell’italiano della comunicazione digitale, abbreviazioni, punteggiatura e tecnicismi si mescolano di continuo con le parole tradizionali. Come osserva la sociolinguista Vera Gheno però, non per forza questo deve essere interpretato negativamente, lo diviene se «l’italiano digitato» non viaggia parallelamente all’accrescimento culturale di cui necessita, e purtroppo questo è ciò che oggigiorno accade.

L’eredità delle parole di Dante e della sua cultura hanno oggi lasciato il posto a programmi televisivi quali la pupa e il secchione, che sono l’espressione più lapalissiana dell’impoverimento culturale che affligge il nostro tempo. Un programma che fa, con scarsa ironia, dell’ignoranza virtù e della saggezza stupidità ma che pur registra l’8,2% di share, a fronte di una cancellazione anticipata del programma Viaggio nella grande bellezza probabilmente a causa degli ascolti insoddisfacenti.

Eppure le parole di Dante hanno scavato per secoli nelle coscienze umane, dando avvio alla lingua del nostro paese, nobilitandola ed elevandola ad oratoria illustre, e oggi si trovano a dover combattere con un congiuntivo sbagliato o un’interpretazione distorta.

È quindi auspicabile che l’avventura dantesca dell’Accademia della Crusca non riesca soltanto nell’intento di commemorare Dante, ma soprattutto riesca a riarricchire la nostra cultura semantica brutalmente avvilita dalla modernità e sospesa proprio come Virgilio.

Martina Guadalti

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