Cambiamenti climatici: la scienza può salvare l' umanità?
Credit: Ilbolive.unipd.it

Di fronte ai repentini cambiamenti climatici ed all’estinzione massiccia delle specie, la scienza può salvare l’umanità? Alcuni affermano che sappiamo già tutto ciò che dobbiamo sapere per risolvere questi problemi: ulteriori ricerche sono un distrazione e ciò di cui abbiamo bisogno adesso è l’azione. Altri prevedono invece un’ingegnosità tecnica che ci porterà fuori dall’attuale crisi. A loro avviso, gli “Anthropos” dell’Antropocene sono sulla buona strada per dominare il sistema terreste. E non sembra esistere una via di mezzo tra queste posizioni.

Jurgen Renn, un importante storico tedesco della scienza e direttore, dal 1994, del Max Planck Institute for the History of Science di Berlino, sostiene che la differenza tra evoluzione culturale ed evoluzione naturale consista anche nella possibilità di costruire visioni del nostro futuro che non si realizzano automaticamente, ma che possono cambiarne i processi. Non siamo governati solo dal caso, possiamo migliorare lo stato dell’umanità, e questo anche grazie alla scienza.

Nel suo “The evolution of knowledge”, Renn illustra un nuovo approccio per studiare e capire la storia della scienza e della tecnologia, offrendo una grande narrativa della storia umana in cui la conoscenza funge da fattore critico dell’evoluzione culturale. La conoscenza infatti viene esaminata per capire le trasformazioni globali che risalgono agli albori della civiltà, fornendo al contempo prospettive vitali sulle complesse sfide che ci troviamo di fronte oggi nell’Antropocene, la nuova epoca geologica plasmata dall’umanità.

Questo nuovo approccio viene applicato all’interno di una storia della conoscenza molto ampia, che analizza e comprende episodi chiave come il processo di nascita della scrittura, l’emergere della scienza nel mondo antico, la rivoluzione scientifica, la globalizzazione, l’industrializzazione e le trasformazioni apportate grazie alla scienza moderna. Indaga sull’evoluzione della conoscenza utilizzando una serie di discipline e metodi, che vanno dalla scienza cognitiva e psicologia sperimentale alla scienza della terra e biologia evolutiva.

 Il risultato è un quadro totalmente nuovo per la comprensione dei cambiamenti strutturali nei sistemi di conoscenza e quindi, anche un nuovo approccio ardito alla storia e alla filosofia della scienza.

«È il momento di chiedervi quale conoscenza dovete scegliere, perché è rilevante e come potete diventare voi rilevanti per svilupparla ancor di più […]. Ma che tipo di entità è questa conoscenza, qual è la sua storia e come viene prodotta?», si chiede Renn nel discorso tenuto nel 2014 all’Università di Bergamo per inaugurare il nuovo anno accademico.

Renn sostiene che la crisi dell’Antropocene sia legata ad un problema di conoscenza, ma si distingue nettamente da coloro che cercano una soluzione tecnica. La conoscenza infatti, è un concetto ampio e variegato, con dimensioni esperienziali ed etiche cruciali. La scienza moderna, sebbene straordinariamente efficace, è solo uno degli aspetti dell’evoluzione della conoscenza umana. Comprendere questo processo evolutivo è la chiave per orientare la scienza per l’Antropocene.

La conoscenza è un sistema adattivo, che si evolve attraverso un processo lento e frammentario simile alla successione ecologica.  Quindi, come sostiene Renn, se vogliamo guidare la futura evoluzione della scienza, si deve prima capire il suo passato, ed è qui infatti, che analizza accuratamente la storia della scienza e quindi, una parte della storia della conoscenza.

La storia della scienza è chiaramente una storia gloriosa ma è anche fatta di perdite. Internet, ad esempio, è una tecnica di rappresentazione che ha consentito, sempre più, un impegno riflessivo sulla creazione della conoscenza. Eppure questa storia ha anche delle pagine buie: le forze di mercato hanno, ad esempio, distorto le ambizioni della scienza, deviandole dagli scopi umanitari dei secoli precedenti. Renn quindi ritorna in parte al passato per ricordarci il valore della conoscenza naturale.

L’intuizione più importante e provocante di Renn, che parte dallo studio dell’incontro tra gesuiti e astronomi cinesi all’inizio del XVII secolo, sottolinea come la scienza moderna, anziché sforzarsi di essere priva di valore, dovrebbe interessarsi a progetti etici solitamente associati alla religione. Consapevole delle aberrazioni che potrebbero derivare dal trasformare la scienza in una religione, ci propone tuttavia di cercare le dimensioni coessenziali della scienza e coltivare il suo ruolo di guida in un mondo gracile il cui futuro dipende da essa.

La nostra non è certo la prima epoca che necessita di una riforma globale della conoscenza naturale, ma è forse la prima ad averne estremo bisogno per contrastare realmente il degrado ambientale e salvaguardare così l’umanità stessa.

«Il nostro effetto sul futuro del pianeta è il risultato non dei nostri interventi individuali, ma delle nostre azioni collettive», afferma Renn. Queste azioni collettive sono controllate e canalizzate da istituzioni potenti come gli Stati e le multinazionali, ciascuno dei quali segue i propri interessi. Ma anche questi poteri agiscono in definitiva attraverso azioni individuali, le quali sono governate non solo dai diversi e contrastanti interessi e dalle strutture istituzionali che le sorreggono, ma anche dalla conoscenza: è perciò necessaria una visione globale e a lungo termine della conoscenza stessa.

È quindi chiaro come la scienza non sia altro che una forma particolare della conoscenza che per essere applicata deve essere compresa come risultato della riflessione sulle nostre azioni precedenti, permettendoci di progettare quelle future. In quest’ottica, le posizioni che inizialmente ci sono apparse contrastanti potrebbero congiungersi: la particolare combinazione di utilizzo della conoscenza tecnologica e di organizzazione del lavoro umano in fabbrica, ad esempio, sono state le caratteristiche imprescindibili della rivoluzione industriale e potrebbero essere rivisitate tutt’oggi per maggiori sviluppi sociali ed economici, a testimonianza di come la scienza possa migliorare l’umanità.

Spesso infatti consideriamo problematiche ambientali quali l’estinzione degli animali o lo scioglimento dei ghiacciai come questioni che non ci riguardano direttamente, e questo perché non si riesce a comprendere a pieno le conseguenze di tali disastri. Si pensi, per esempio, ai ghiacciai dell’Himalaya che potrebbero scomparire nel 2100, come si legge su un articolo apparso su LetsdoitItaly. È quindi di fondamentale importanza capire che quando si parla dello scioglimento dei ghiacciai, si deve pensare conseguentemente alla possibile assenza di una delle risorse naturali basilari per l’umanità: l’acqua. L’assenza di questo elemento minaccia le produzioni agricole e pone conseguentemente il rischio di un’insicurezza alimentare.

La scienza è sicuramente fondamentale per comprendere i cambiamenti climatici ed invertire la rotta, ma non è forse sufficiente da sola per raggiungere gli obiettivi ambientali ormai già disattesi.

In quest’ottica le sfide che dell’Antropocene che stanno mettendo in pericolo l’umanità, ed essenzialmente prodotte dal mercato capitalista, possono essere trovate prendendo in considerazione non solo le conoscenze scientifiche, ma anche altre conoscenze che, seppur meno evidenti, sono comunque fondamentali. È dunque importante esplorare le forme in cui la conoscenza scientifica può essere integrata con altre conoscenze in merito, ad esempio, su come impiegare le risorse in modo sostenibile.

La scienza ci dice che il cambiamento climatico sta correndo più in fretta di noi, per questo, se vogliamo salvare l’umanità, dobbiamo essere in grado di comprendere e applicare i dettati scientifici attuali, congiungendo nel contempo l’evoluzione culturale con quella naturale.

Martina Guadalti

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