A volte «le parole non bastano». È il titolo dell’introduzione a “Illusioni. Ovvero, tredici modi di raccontare quadri” (a cura di Dario Antini e Valerio ValentiniD Editore), un’opera nata da un lavoro a più mani, dalla speranza di creare una raccolta di racconti tridimensionale che riempia gli occhi di parole, sollecitando la mente con l’arte, nell’atto sintetico della scrittura.

Ab ovo, il contest letterario #tiraccontounquadro indetto da Reader for Blind, rivista indipendente di letteratura breve: il concorso richiedeva la stesura di un racconto a partire da uno dei molti e noti quadri pubblicati sulla pagina Facebook. Una sfida all’immaginazione, un invito ad andare oltre la semplice perturbazione suscitata da un quadro; una competizione che voleva dare voce all’arte attraverso le parole di autori lontani spazio e tempo dall’opera stessa.
In un massimo di 15.000 caratteri. In una serie di tredici illusioni proposte al lettore, tenuto consapevolmente all’oscuro della scelta e, quindi, tacitamente predisposto all’essere guidato. Esattamente come durante uno spettacolo di magia.

«Illusioni nasce proprio dall’idea di far emergere questo rapporto − tra raccontare e disegnare −, invitando sei volti noti della scrittura abituati a lavorare con le immagini: immagini letterarie, cinematografiche o che addirittura lordano i margini di testo scritto. A questi sei autori, sono stati affiancate altre sette voci, selezionate tramite una competizione organizzata assieme a Reader for Blind, rivista letteraria con la quale D Editore collabora da tempo.»

Così Emmanuele J. Pilia, direttore editoriale, riassume l’origine del testo nel tentativo di trovare risposta a un semplice ma profondo quesito: «che legame si può costruire tra parola e immagine? Credo che gli autori presenti in questo libro abbiano ampiamente risposto con i loro racconti.» Questo il responso.

Come in una casuale alternanza − rossa e nera − di una roulette d’azzardo, abbiamo selezionato 4 racconti, intervallando autori e autrici, di ‘vecchia’ e ‘nuova’ scuola, per stuzzicare la curiosità del lettore con un accenno alle storie.

Secondo l’ordine d’indice:

Di Antonio Esposito, “Sorridi, sono giorni di miracoli“. Editor presso Alessandro Polidoro Editore e vice direttore della rivista culturale Grado Zero, Esposito ha scelto una tela dell’artista scozzese Jack VettrianoSelf Portrait, che ha mosso i suoi primi passi da autodidatta munito di una semplice scatola d’acquerelli e che, ricalcando le strade dell’Impressionismo, ha incamerato la lezione di Hopper − e dei più noti manifesti hollywoodiani − per arrivare a varcare spesso i confini dell’Iperrealismo. Il racconto, infatti, si presenta come un viaggio inaspettato nell’intimità di un uomo che prende coscienza del proprio dolore, del concetto di vuoto e dell’idea di mancanza. Un viaggio che si risolve e, allo stesso tempo, sprofonda in una spiazzante verità che ha la fattezza di un’amorevole carezza.

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Jack Vettriano – Self Portrait

Di Paola Mammini, “Il venditore di fiammiferi”. Autrice per cinema, teatro e televisione e vincitrice, nel 2016, del David per migliore sceneggiatura con il film Perfetti sconosciuti. La Mammini ha preferito l’opera Il fiammiferaio di Otto Vix, pittore tedesco esponente della Neue Sachlichkeit (letteralmente “Nuova oggettività”), una corrente che nacque a ridosso della Grande Guerra in risposta all’Espressionismo, per riportare l’attenzione sulla realtà senza ‘barocchiani’ abbellimenti, nuda e cruda: la realtà post bellicum dei sopravvissuti. Questa è l’atmosfera che si respira tra le righe del racconto: l’impossibilità degli uomini ad essere umani, a ricordare come esserlo. Se non fosse per un cane, proprio come in un celebre e tragico ribaltamento (bestia-uomo) orwelliano.

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Otto Vix – Il fiammiferaio

Di Demetrio Paolin, “Il quadrato nero di M.“. Collaboratore del Corriere della Sera, finalista per il Premio Strega e autore di numerosi saggi, racconti e romanzi, Paolin ha deciso di destreggiarsi con l’icona del Suprematismo, Kazimir Severinovič Malevič. Il quadrato nero riassume perfettamente l’essenza del movimento artistico che vuole liberarsi dagli schemi naturali e universalmente validi della convenzione, per abbracciare l’alta espressione della sensibilità, senza rappresentazione. Paolin dunque si addentra nel tunnel, troppo simile ad un baratro, dell’ἐποχή − o sospensione del giudizio. E, nel suo racconto in prima persona, l’autore ripercorre l’amletico dilemma del perché e del come a cui nessuno può sottrarsi guardando alla propria esistenza. 

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Malevič – Quadro nero su fondo bianco

Di Marilena Votta, “Esterni da un matrimonio”. Voce di “Scusate se leggo” su Radio Redhouse e autrice di racconti su riviste e antologie, Votta preferisce la tradizione agreste del dipinto American Gothic dello statunitense Grant Wood. Una pittura che rimanda allo stile gotico nordeuropeo, contrassegnato da atmosfere pesanti, volti irati e in contrazione. E non è un’aria serena e distesa quella che si legge nel testo della scrittrice. È una ballata catartica contro usanze desuete e repressioni che, senza troppi giri di parole, racconta di amori negati, adolescenze interrotte e quotidiane crudeltà. Violenze taciute dietro lo sguardo spento di un uomo, con in mano solo un forcone, e le labbra serrate di una donna che, imperitura, continuerà a guardare in direzione della vita che non avrà mai.

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Grant Wood – American Gothic

Questo, solo un colorito in(d)izio. Un assaggio che funga da invito all’arte in veste di racconti, condita di parole, in memoria del quadro che fu.

Pamela Valerio

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