Per l’intero Paese quella che si è appena conclusa è stata, sul piano politico, una settimana di estenuanti trattative e compromessi. Lo scorso venerdì il neopresidente del Consiglio Mario Draghi, ha sciolto la riserva e scoperto le carte del futuro governo. Tra alcune conferme della scorsa legislatura (per garantire una continuità), e vecchie indesiderate conoscenze (i forzisti Brunetta e Gelmini in primis), spiccano le poche novità, rappresentate per la maggior parte dai cosiddetti tecnici. Uno di questi è la giurista Marta Cartabia al ministero della Giustizia.
Nonostante il profilo sia contrassegnato da un tendenziale conservatorismo, avvalorato dalla piena adesione ai principi della morale cattolica, è quantomeno possibile “gioire” per un aspetto: a differenza delle lacune del suo predecessore Alfonso Bonafede, per Cartabia la profonda conoscenza del diritto è fuori discussione.
Nata nel milanese, nel corso della sua carriera Marta Cartabia ha ricoperto numerosi incarichi universitari in Italia e all’estero, sia come ricercatrice che come docente, pubblicando anche diversi saggi di diritto costituzionale, e guadagnandosi così la fama di costituzionalista. Dodici anni fa, fonda la prima rivista di diritto costituzionale in lingua inglese, l’Italian Journal of Public Law. Nel 2011 approda alla Corte Costituzionale, eletta dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Alla Consulta ha certamente rappresentato un elemento di forte innovazione, passando alla storia per essere divenuta, nell’arco del suo novennato, la prima Presidente donna.
Questa conclamata esperienza di giurista autorevole di certo accrescerà la fiducia generale, specie se si considera che la neo Guardasigilli dovrà interfacciarsi con i problemi della giustizia nostrana, come: l’esorbitante durata dei processi, acutizzata dalla riforma Bonafede sulla prescrizione; la riforma della giustizia civile che giace al Senato da circa un anno; la precaria condizione in cui versano parecchi istituti carcerari. In merito a quest’ultimo punto, la Cartabia ha più volte ribadito la necessità che le pene siano pienamente conformi al senso di umanità e che la condanna si fondi sulla “funzione rieducativa”. Così secondo la giurista, la giustizia raggiungerebbe la sua completa realizzazione solo quando culminerebbe nella riconciliazione e non nella vendetta, garantendo quella coesione di cui ha fortemente bisogno lo Stato sociale.
Eppure, se ci si imbatte nel pensiero di Marta Cartabia, non si tarda ad inciampare in alcune vistose contraddizioni. Se da un lato la Cartabia mostra un lato progressista quando sostiene che le leggi debbano connotarsi di un volto umano e che debbano bilanciare le esigenze di tutti, dall’altro non si capisce perché lo stesso garantismo non venga da lei applicato a 360 gradi. E infatti, in tempi non sospetti affermava che «la Costituzione italiana protegge la famiglia, differenziandola da altre forme di convivenze e non permette il matrimonio omosessuale»; inoltre, sono note le prese di posizione contro l’aborto e l’eutanasia. In queste occasioni sembrava riemergere in lei il forte rigore conservatore, avallato tra le altre cose dalla sua aperta contiguità al movimento cattolico Comunione e Liberazione.
Una simile dicotomia vanificherebbe l’intrinseca natura egalitaria che Cartabia auspica con il suo ideale di giustizia, che però sarebbe tale a patto che collimi con “l’etica del buon (demo)cristiano”. Insomma, stando a queste premesse risulterà complicato preservare l’indipendenza della Giustizia dall’influenza religiosa ed ecclesiastica. Pertanto, finora, il dicastero di via Arenula sembra aver compiuto un passo avanti e due indietro.
Gianmarco Santo
Marta Cartabia, dalla Consulta alla Giustizia : dal momento che ci rappresenta come Ministro di tutti e viene stapagata dalla Comunità, ci faccia sapere a brevi linee ( un riassunto ) di cosa ha partorito fin’ora all’interno dell’Esecutivo, nell’ambito del Suo Dicastero !