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Raffineria di petrolio negli Stati Uniti. Fonte immagine: petgeo.weebly.com

Un recente report pubblicato da Public Accountability Initiative, un istituto di ricerca statunitense che si occupa dell’analisi dei fenomeni corruttivi a livello economico e politico, ha rivelato l’esistenza di canali di finanziamento delle più grandi compagnie petrolifere del Paese alle forze di polizia. In particolare le compagnie finanzierebbero le police foundation, enti non profit che fanno fronte ai fabbisogni (spese, attrezzature, servizi) dei dipartimenti di pubblica sicurezza statunitensi.

Le forme di finanziamento sono fra le più varie. Le compagnie Chevron e Shell, ad esempio, sponsorizzano gli eventi della police foundation di Houston. O ancora vertici aziendali compongono gli organi direttivi di questi enti, come il coordinatore della sicurezza di Marathon Petroleum nella police foundation di Detroit. Exelon effettuerebbe laute donazioni a questi enti in città dove ha sue filiali (Baltimora, Philadelphia, Chicago, Washington).

Gli enti finanziatori dei dipartimenti di polizia statunitensi sono senza scopo di lucro, perciò beneficiano di una normativa di favore, fra cui forme di tracciamento dei flussi di denaro meno controllabili. In sostanza la pubblica sicurezza del Paese fruisce di un doppio canale di approvvigionamento: quello delle autorità locali, più trasparente, con una stima di spesa annuale di 100 miliardi di dollari in tutta la nazione; quello delle police foundation, più opaco, che peraltro non rappresenterebbe un fondo destinato ad eventuali ammanchi, ma un vero e proprio surplus a disposizione della polizia.

Il report svela dei retroscena inquietanti. Le compagnie petrolifere, prime responsabili dell’inquinamento globale, investono parte dei loro profitti per foraggiare le forze di polizia. Di conseguenza queste ultime potrebbero essere un mezzo delle società per agire senza il disturbo, ed anzi, con la connivenza della forza pubblica.

Le compagnie petrolifere, prime imputate del razzismo ambientale

È un dato acquisito, peraltro, che negli Stati Uniti ci sia un serio problema di razzismo ambientale, un tema ancora troppo poco noto, che svela dei collegamenti tra inquinamento e crescita delle disuguaglianze sociali. Esemplare è la pratica delle compagnie petrolifere statunitensi di localizzare gli impianti in aree dove vi è maggiore concentrazione di minoranze etniche (afroamericani e ispanici) che coincidono con le fasce più povere della popolazione. Col risultato che questi gruppi, più vicini alle fonti d’inquinamento (raffinerie, centrali elettriche, pozzi petroliferi), sono maggiormente esposti a rischi per la salute e ad un tasso di mortalità più elevato.

Noto e purtroppo non l’unico è il caso del “Cancer Alley“, un corridoio di industrie petrolchimiche localizzato tra New Orleans e Baton Rouge, in Louisiana, dove vive e lavora una popolazione a maggioranza afroamericana. L’elevata tossicità dell’aria – gli impianti di lavorazione sono attivi da più di trent’anni – ha esposto i residenti a livelli d’inquinamento tali da far sì che ogni famiglia abbia almeno un malato di cancro. Si stima che il rischio di contrarre forme tumorali nell’area sia 50 volte superiore alla media nazionale.

In una delle possibili teorie sviluppate sulle pratiche di ingiustizia ambientale da parte delle imprese inquinanti, fra cui le compagnie petrolifere, si sostiene che queste minoranze non sono dotate di potere politico e forza economica sufficienti per opporsi agli insediamenti di impianti ad alta concentrazione di inquinamento. Le compagnie, dunque, nella scelta sul dove collocare gli impianti, privilegerebbero sistematicamente le aree degli USA dove il rischio di reazioni politiche e conseguenti proteste ai rischi ambientali è nullo.

Il finanziamento delle compagnie petrolifere alla polizia statunitense non sarebbe che un ulteriore tassello per soffiare sul fuoco del razzismo ambientale. I grandi colossi beneficiano, da un lato, di un’indiscussa protezione del governo Trump, rafforzata durante la pandemia da Covid-19 con misure più lassiste in merito ai livelli di CO2 nell’atmosfera. Dall’altro lato, finanziando le forze di polizia, le compagnie avrebbero gioco facile per insabbiare indagini e subire meno controlli, ma anche per fare pressing su una più dura repressione di manifestazioni di protesta per il clima ed in generale per la giustizia ambientale e sociale. Come in un’infelice congiuntura, Trump ha intensificato la presenza di militari per sedare le proteste anti-razziste, che continuano sulla scia del movimento Black lives matter.

La polizia americana, baluardo dell’ordine e della sicurezza (dei bianchi)

Forme di razzismo in chi finanzia; forme di razzismo in chi è finanziato. Alex S. Vitale, professore americano e autore del libro “The End of Policing“, sostiene che la pubblica sicurezza statunitense è sin dall’origine un mezzo di conservazione del suprematismo bianco. Lo strapotere della polizia USA, dunque, non farebbe altro che esacerbare discriminazioni e disuguaglianze sociali.

Dimostranti durante una manifestazione ad Hollywood lo scorso 2 giugno. Fonte immagine: NY Times; Credits: Ringo H.W. Chiu/Associated Press

Lo studioso parte dal presupposto che la forza pubblica trova le sue radici storiche nella volontà della classe al potere di reprimere qualsiasi reazione alle forme di sfruttamento (in particolare l’industrializzazione, il colonialismo e, negli USA, lo schiavismo). Vitale prosegue affermando che specificamente la polizia statunitense è armata da una neutralization mindset: i poliziotti sono sin dall’inizio addestrati a vedere il cittadino di colore come una minaccia, proprio per garantire l’ordine e la sicurezza di una specifica porzione di popolazione, ossia i bianchi. Non è un caso che una delle richieste alla politica che anima il movimento anti-razzista è defund the police: dirigere i fondi destinati alla polizia e al sistema carcerario verso il settore delle politiche sociali.

Se in generale chiedersi chi arma la polizia non è scontato, perché è un’autorità che dovrebbe essere il più possibile imparziale e apolitica, ancor meno lo è negli Stati Uniti. Da un lato le braccia che armano hanno tutto l’interesse a perpetrare pratiche di sfruttamento incontrollato del territorio sulla pelle di chi non ha i mezzi politici ed economici per reagire. Dall’altro lato le braccia che vengono armate sono venate da una sistematica volontà di reprimere la voce delle minoranze. Due giocatori forti, potenti, ingaggiano una partita contro chi in partenza è disarmato. Ma in caso di “vittoria” (ossia di nuove, barbare uccisioni come quella di George Floyd) non ci sarà nulla da festeggiare.

Raffaella Tallarico

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