Insomma, cosa prevede questo MES (e perché non convince)
Fonte Immagine: bundesfinanzministerium.de

Quella del MES è ormai diventata una discussione di dubbio gusto che interessa non tanto cosa prevede o come funzioni il meccanismo, bensì l’intramontabile cronaca circa l’appartenenza all’Unione Europea.

Il battibecco che ha interessato il Fondo Salva-Stati si è svolto in un surreale clima politico di grande confusione, in cui anche i giornali hanno fatto la loro parte. Un disordine che ha portato l’opinione pubblica a focalizzarsi sul problema sbagliato. La domanda corretta che ogni italiano di buonsenso dovrebbe porsi non è tanto “chi ha firmato il MES?”, bensì “questo MES cosa prevede?”. La politica dovrebbe interessarsi ai vantaggi e alle criticità che il MES proposto all’Eurogruppo potrebbe portare. Ciò che invece è successo in Italia non ha fatto altro che dimostrare la totale inadeguatezza di buona parte della nostra classe dirigente.

Anche se stiamo parlando di pochi spiccioli, poiché si parla solo del risparmio in interessi che si otterrebbe facendovi ricorso a tassi di favore, la verità è che nessuno può dire con certezza cosa preveda il nuovo MES e se quella condizionalità light sia veramente tale. Inoltre, il dibattito politico inaugurato dalla bufala della firma ha inasprito le posizioni sull’argomento, impedendo lo sviluppo di un’approfondita discussione sulla convenienza dell’uso del fondo.

Cosa prevede il MES e quanto c’entra con quello odierno

Il Meccanismo europeo di Stabilità è una organizzazione internazionale che trova le sua radici politiche nel 2010, nonostante la ratifica sia arrivata due anni dopo. Si tratta di un fondo con preciso obiettivo di prestare assistenza agli Stati della zona euro in difficoltà finanziaria. Al contrario di quanto sostenuto in questi giorni, fu un governo di centrodestra a firmare in Consiglio Europeo la formazione di un meccanismo che aiutasse gli Stati in difficoltà. Il problema è che tale strumento è stato dipinto come una diavoleria, nonostante si tratti di un fondo da cui Stati come Portogallo, Grecia e Cipro hanno attinto denaro per salvare la propria economia.

A partire dal 2017, in sede europea, si è iniziato a parlare di una possibile revisione del trattato istitutivo. I Paesi hanno trovato un accordo politico preliminare nel giugno scorso, durante il Governo Salvini-Di Maio. A causa dell’improvviso degenerare della pandemia, ogni riforma è stata però rinviata.

Il MES opera grazie a un Consiglio dei governatori, uno di amministrazione e un direttore generale. Le decisioni relative all’assistenza finanziaria vengono adottate all’unanimità dal primo, anche se le decisioni più urgenti vengono prese a maggioranza qualificata. Al momento il MES dispone di 80 miliardi di euro di capitale versato e di 704 miliardi di euro di capitale sottoscritto. Per finanziarsi il fondo emette titoli garantiti dagli Stati che lo compongono. Qualora uno Stato esprima la volontà di ricevere un aiuto, il MES prevede che questo rispetti alcune condizioni preliminari, cioè le famose condizionalità.

Per accedere ai prestiti del MES lo Stato deve firmare un memorandum negoziato con la Commissione che chiede delle riforme specifiche per migliorare l’economia: riforme per aumentare la vigilanza bancaria, tagli o privatizzazioni. Condizioni del genere sono state inserite per evitare che un Paese ricevesse soldi senza migliorare la sua condizione economica. La ristrutturazione del debito non è invece obbligatoria per accedere al prestito. Urge chiarire che l’accesso al MES non è obbligatorio ma facoltativo.

La posizione raggiunta dall’ultimo Eurogruppo prevede che gli Stati in difficoltà accedano al MES per prelevare una somma equivalente al 2% del PIL vincolata all’uso sanitario (per l’Italia 36 miliardi). Una sola condizionalità, all’apparenza. L’opinione pubblica, a questo proposito, si è divisa in due tronconi. Il primo sostiene che quei 36 miliardi siano un buon compromesso, nato su una linea di credito blanda. Il secondo, invece, crede che quel denaro sia l’anticamera della Troika.

In primo luogo la condizionalità blanda non è per sempre. Il MES di fatto è una banca e concede un prestito e di conseguenza la Commissione, assieme a BCE e FMI, esamina le eventuali modifiche e gli aggiornamenti da apportare al programma di aggiustamento macroeconomico. Stando al trattato istitutivo, un impegno oggi a garantire condizioni leggere non potrebbe vincolare decisioni future. Quindi, una volta impegnato il fondo, lo Stato può effettivamente vedersi imporre nuove condizioni. Il comunicato dell’Eurogruppo prevede chiaramente che i prestiti Covid sarebbero fatti nel quadro delle linee esistenti, seguendo le disposizioni del Trattato di istituzione del MES.

Ciò, però, non significa neppure che i 36 miliardi del fondo siano l’anticamera della Troika. Anche quest’affermazione pecca di superficialità. Essendo il prestito una relazione contrattuale, il cambiamento delle condizioni non può verificarsi in ogni momento ma solo quando lo Stato deve far fronte a un obbligo. Sarebbe ridicolo che nel momento di restituire il prestito, il MES non accetti il pagamento finché il Governo in questione non si sia imbarcato in un programma di austerità.

Detto ciò, nessuna delle due narrazioni corrisponde al vero semplicemente perché non si hanno ancora gli strumenti adatti per giudicare. La relazione dei ministri lascia più dubbi che certezze. In quante tranche verrà erogato il prestito? In quanto tempo l’Italia, o chi ne farà richiesta, dovrà restituirlo? Si tratta di domande che troveranno risposta solo nel prossimo Consiglio Europeo.

Perché l’Italia ha paura del Fondo Salva-Stati

Resta da chiarire il motivo per cui l’Italia fin da subito ha chiuso ogni discussione attorno all’utilizzo del fondo. Il MES di solito entra in azione quando un Paese della zona euro perde l’accesso al mercato perché considerato poco credibile dai creditori.

Per il fondo risulta facile raccogliere soldi sul mercato perché gli investitori si fidano di un organismo finanziato dagli Stati. Inoltre, quando vi si accede, la BCE può comprare i titoli di Stato senza limiti anche sul mercato primario. Il MES prevede due linee di credito che variano a seconda dello Stato che lo chiede. Una è precauzionale per Paesi con finanze solide, l’altra è rafforzata ed è destinata agli Stati che hanno un rapporto debito/PIL superiore al 60%. Come anticipato, affinché l’organismo accetti di erogare il prestito, il Paese richiedente deve rispettare alcune condizioni.

In linea di principio l’Italia non dovrebbe aver paura di questo MES che prevede una condizionalità di accesso molto blanda. Inoltre, il Belpaese ha accesso al mercato ed ha la possibilità di indebitarsi ancora a tassi contenuti. Il MES rappresenta solamente un’estrema linea difensiva.

Ciò che spaventa il Governo Conte sono sostanzialmente tre problemi. Il primo fa riferimento a quell’incertezza relativa alla reale consistenza delle condizioni di accesso e a come verrà erogato il prestito. Quando accadde il misfatto greco, Atene fu costretta ad accettare ben 61 misure fiscali da applicare rispetto alle 13 del primo memorandum. Il secondo problema riguarda l’evidente danno di immagine sul mercato. La sola idea dell’accesso al fondo farebbe passare l’immagine di un Paese debole e in crisi.

Infine c’è il debito pubblico. Passata l’emergenza, con il crollo del PIL del 9,1% questo rischia di superare quota 150%. E il problema non sarebbe solo convincere i mercati a farsi prestare i soldi, ma anche restituirli. Il governo italiano ha meno libertà di azione rispetto ai virtuosi Paesi del Nord. Ecco perché Conte sta spingendo su dei titoli garantiti dall’eurozona (i coronabond). Un meccanismo di condivisione del debito che non piace a tedeschi e agli olandesi, i quali temono di accollarsi le passività di tutti.

Per tutte queste ragioni, la soluzione del MES non convince il Governo Conte, il quale è comunque corso ai ripari a causa della forte pressione dell’opinione pubblica. E mentre l’opposizione getta fumo negli occhi dei propri elettori, la maggioranza si sgretola sotto l’assenza di un disegno economico comune. Agli occhi dell’Europa, l’Italia appare come un crogiolo di forze politiche che si perdono nel vuoto di una retorica spicciola, incapace di chiedere aiuto.

Donatello D’Andrea

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