violenza di genere Piemonte
Fonte: @pikisuperstar via Freepik.com

Succedeva in Piemonte nel 2020: secondo la questura di Torino i maltrattamenti in famiglia e gli atti persecutori hanno coperto circa il 70% delle denunce presentate seguite dalle lesioni (12%) e dalle percosse e le violenze sessuali (9%). Nel 91% dei casi le vittime di tutti questi reati sono donne. Sono aumentati gli arresti per stalking e quelli per maltrattamenti in famiglia e gli autori di questi atti di violenza di genere spesso hanno le chiavi di casa delle vittime.

In Piemonte sono attivi 20 centri antiviolenza, 81 sportelli e 12 case rifugio per le donne vittime di violenza. La regione Piemonte stanzia annualmente – dal 2017 – dei fondi per le attività dei centri antiviolenza e delle case rifugio, oltre ai finanziamenti che provengono dai Piani Operativi Nazionali. Dal 2019 la Regione ha anche lanciato l’app “Erica” che ha come obiettivo quello di rendere più accessibili le informazioni sui centri antiviolenza e dà la possibilità alle vittime di violenza di chiedere aiuto a tre numeri pre-registrati nell’app o di inviare direttamente la propria geolocalizzazione in caso di pericolo.

Per comprendere come la pandemia abbia influito sul lavoro dei centri antiviolenza e sulla quotidianità delle vittime, abbiamo raccolto la testimonianza dell’Aps me.dea che gestisce due centri antiviolenza in Piemonte: ad Alessandria e a Casale Monferrato.

I due centri antiviolenza hanno funzionato regolarmente per tutto il 2020 in quanto considerati attività essenziali, secondo le operatrici dei centri me.dea: «quella della violenza domestica si è da subito dimostrata un’emergenza nell’emergenza, perché se per la maggior parte dei cittadini restare a casa è stato sinonimo di sicurezza, per le donne conviventi con un uomo violento ciò ha rappresentato un rischio altissimo. La pandemia ha imposto una riorganizzazione profonda della nostra attività, sotto molti punti di vista. Per quanto riguarda gli aspetti logistici, abbiamo messo in campo una serie di azioni per offrire alle donne nuovi strumenti di comunicazione, attivando canali digitali e piattaforme di streaming» – riuscendo, quindi, a continuare a dare supporto alle vittime di violenza di genere.

Nei primi mesi del lockdown nazionale «si è assistito a un importante calo delle richieste d’aiuto, ma dal mese di aprile un numero sempre maggiore di donne ha chiesto di accedere ai servizi offerti da me.dea, raggiungendo di fatto i numeri medi registrati dai due Centri, che si attestano attorno ai 15-20 nuovi casi al mese» e «un altro effetto del lockdown e della critica situazione sanitaria e sociale è stato l’impennarsi di richieste di ospitalità, da parte di donne che fuggono dalle loro abitazioni e chiedono di essere accolte in un luogo protetto, spesso con i loro figli. Tra la fine di marzo e la fine di aprile me.dea ha inserito nelle sue strutture tre nuovi nuclei e altri due sono stati inseriti nell’autunno 2020».

Nelle settimane centrali del lockdown, per far sapere alle donne che non erano sole ma potevano chiedere aiuto a me.dea, l’associazione ha avviato una campagna di sensibilizzazione sui media locali (giornali, portali on line e radio) e sui social con appelli a contattare il Centro Antiviolenza, la campagna è stata promossa con il sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo.

Per contrastare la violenza di genere è necessario un cambiamento culturale e un ripensamento dei rapporti sociali, ma è essenziale che le donne vittime possano contare su una propria indipendenza, anche economica. È per questo che l’associazione me.dea dal 2017 ha creato un servizio di orientamento al lavoro: «Questo aspetto è fondamentale perché spesso la mancanza di indipendenza economica ostacola psicologicamente e materialmente la donna nel suo percorso di affrancamento dalla violenza. Due operatrici del Centro Antiviolenza si sono specializzate in questo servizio e affiancano le donne nella ricerca di opportunità lavorative e di formazione professionale, lavorando in rete con i principali soggetti competenti del territorio».

Nonostante le difficoltà del 2020, le attività programmate per quest’anno sono chiare e riguarderanno soprattutto i percorsi di emancipazione dalla violenza. L’associazione in particolare, si dedicherà ai temi dell’indipendenza economica per «l’erogazione di alcuni servizi specifici, fondamentali per la buona riuscita dei percorsi di uscita dalla violenza domestica, ovvero empowerment economico, che vede l’integrazione di servizi di orientamento al lavoro, di formazione e di inserimenti lavorativi mirati e protetti e interventi volti all’autonomia abitativa di donne in uscita da situazioni di violenza domestica».

Emanciparsi dalla violenza vuol dire anche poter avere la garanzia di tutelare i propri figli che sono spesso protagonisti della cosiddetta violenza assistita, del loro coinvolgimento quindi nelle forme di violenza che colpiscono le figure di riferimento adulte. È proprio per questo che l’associazione me.dea considera il tema della violenza assistita una priorità per il 2021 da affrontare attraverso azioni mirate di formazione specifica e condivisa e confronto e strutturazione di interventi mirati con gli attori della Rete Antiviolenza della provincia di Alessandria, costituitasi nel 2014 e da allora rafforzatasi nella sua composizione. Oggi vi appartengono tutti i soggetti istituzionali che a vario titolo possono “incontrare” la violenza di genere e nella qualità della sua azione di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne.

Sabrina Carnemolla

Sabrina Carnemolla
Studio Comunicazione Pubblica e Politica a Torino dopo la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali conseguita a Napoli, la mia città. Un po' polemica per natura, nel tempo libero affronto la dura vita di una fuorisede.

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