emergenza coronavirus Sud
Resti del Tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna, Crotone. Fonte immagine: Wikimedia Commons

L’emergenza coronavirus in corso ha posto all’attenzione nazionale alcuni problemi rimasti in sospeso nel Sud. Una fetta d’Italia tradizionalmente dimenticata, spesso non coperta a livello mediatico, che oggi fa risuonare forte e chiaro tutte le sue fragilità. La povertà, col fenomeno degli assalti ai supermercati; l’ombra della criminalità organizzata, che vorrebbe approfittare di questo momento di emergenza per colmare gli spazi che lo Stato potrebbe lasciare, ma anche prepararsi a riempirne altri; la mala gestione della cosa pubblica, con amministratori e relativi collaboratori non all’altezza del proprio ruolo istituzionale.

Nonostante il concitato esodo di massa dal Nord al Sud d’Italia delle prime settimane di lockdown, il numero dei casi e dei decessi nel Meridione è rimasto, ad oggi, piuttosto contenuto. Secondo i dati della Protezione civile, le regioni meridionali più colpite per numero di contagi e di decessi sono il Lazio e la Campania. L’ondata migratoria verso il Sud ha allarmato i presidenti di Regione poiché consapevoli che i relativi sistemi sanitari non reggerebbero al pari del Nord. I ricoveri di massa, specie in terapia intensiva, non potrebbero essere adeguatamente effettuati. È tristemente nota l’incapacità della sanità meridionale di erogare servizi adeguati: solo per citare un esempio la sanità calabrese è sotto commissariamento da dieci anni. Si registra poi una massiccia mobilità sanitaria, con molti cittadini meridionali che ogni anno decidono di farsi curare nelle strutture ospedaliere del Nord (in particolare della Lombardia e dell’Emilia Romagna).  

Emergenza coronavirus e problemi di gestione: il caso Calabria

Collaterale alle carenze del sistema sanitario al Sud è il problema della governance politica ed amministrativa, che mostra tutte le sue lacune specie in momenti come quello attuale. Esemplare è la gestione dell’emergenza coronavirus in Calabria. Il 30 marzo scorso in un servizio di Report è stato intervistato Domenico Pallaria, capo della Protezione civile calabrese chiamato a coordinare la gestione dell’emergenza nella regione. Pallaria a specifica domanda della giornalista ha ammesso di non sapere cosa siano i ventilatori polmonari perché, prima di essere incaricato dalla neo-presidente della regione Jole Santelli, si è sempre occupato d’altro. In conseguenza delle sue dichiarazioni e delle reazioni suscitate, Pallaria ha rimesso il proprio mandato. 

Lo scorso 7 aprile è stato comunicato alle Aziende sanitarie provinciali calabresi di non diramare bollettini giornalieri sulla COVID–19, e tale incombenza è stata accentrata sul dipartimento sanità della Regione. La stampa locale teme che questa strategia sia più “d’immagine” – annacquare l’incompetenza della governance nella gestione della pandemia – piuttosto che rispondente a un’esigenza di corretta informazione della cittadinanza. In effetti si sono registrati alcune manchevolezze, dall’insufficiente disponibilità di posti in terapia intensiva (139 in tutta la Regione) alla mancata chiara indicazione delle strutture destinate ai malati di COVID-19. Sono poi state denunciate la parsimonia dei tamponi effettuati e la cattiva gestione delle 13.675 persone rientrate in Calabria, che per la quarantena forzata avrebbero dovuto essere trasferite, stando sempre alle disposizioni regionali, in strutture apposite; cosa nei fatti mai avvenuta.

Il persistente problema della povertà al Sud

L’emergenza COVID-19 ha portato alla ribalta un’ulteriore problematica che interessa il Sud: la povertà. Lo scorso 30 marzo il Governo, tramite un’ordinanza della Protezione civile, ha vincolato 400 milioni di euro per assicurare buoni spesa e distribuzione di alimentari alle famiglie più indigenti. Nonostante la misura, a Palermo e a Napoli ci sono stati diversi episodi di assalto ai supermercati, con furti di alimentari. I servizi di intelligence italiani hanno allertato circa il possibile rischio di rivolte per la fame.

La questione è drammaticamente vecchia: dati Istat alla mano più recenti (relativi all’anno 2018), il mix letale di lavoro nero e controllo massiccio della criminalità organizzata sulle attività produttive fa sì che Calabria, Campania e Sicilia siano in testa per percentuale di famiglie in condizioni di povertà relativa (rispettivamente 30,6%, 24,9%, 22,5%).

L’ombra delle mafie sull’emergenza coronavirus

Alla povertà si aggiunge il rischio – attuale, non potenziale – che le mafie approfittino di questa situazione di emergenza per consolidare il controllo sul territorio. L’allarme è stato lanciato dal capo della Polizia Franco Gabrielli che ha sottolineato come le organizzazioni criminali hanno investito nelle attività di prima necessità; la loro azione non è stata affatto intaccata dalla pandemia ed anzi, questo momento si rivela propizio per recuperare terreno, in parte perduto dalle recenti iniziative della magistratura.

Forti dei sistematici inadempimenti ai regimi fiscale e previdenziale e approfittando del lockdown delle attività produttive, le aziende colluse con la mafia vendono a prezzi decisamente concorrenziali, assicurando ai cittadini un accesso molto più agevole ai beni di prima necessità. Per tale via, le mafie garantirebbero quel welfare necessario a consolidarne la forza agli occhi dei cittadini. Non solo: ma nel periodo post-crisi, le mafie approfitteranno della carenza di liquidità delle imprese, anche di grandi dimensioni, per insinuarsi nelle compagini societarie, iniettando la liquidità necessaria o concedendo prestiti a tassi usurari.

Le recenti proposte di rilancio del Sud

Come in un ironico scherzo del destino, nel febbraio scorso il Governo aveva parlato di un piano per il Sud volto al rilancio del Mezzogiorno, da attuarsi con la nuova legge di bilancio, entrata in vigore il 1 gennaio 2020. Fra le varie misure, si legge nel dossier della Camera dei deputati, il “Fondo cresci al Sud” con una dotazione iniziale di 150 milioni per il 2020 e con una durata di 12 anni, destinato a piccole e medie imprese meridionali, per renderle più competitive e favorirne la crescita dimensionale. Tre miliardi di euro sarebbero inoltre destinati al potenziamento dell’alta velocità del tratto Salerno – Reggio Calabria.

Stando a quanto annunciato dal Governo, l’approccio sarebbe diverso rispetto al passato perché ci sarebbe un forte potere di indirizzo centrale sui fondi, oltre al coinvolgimento di centri di competenza nazionale quale Invitalia, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo di proprietà del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Questa ed altre strutture centrali andrebbero a supportare Regioni e amministrazioni locali nella distribuzione delle risorse e nell’attuazione dei progetti di sviluppo. Non solo supporto, ma anche controllo, se è vero che per stessa ammissione del Ministro per il Sud e la coesione territoriale Giuseppe Provenzano un’ulteriore misura, da negoziare con l’UE, è quella di destinare parte delle risorse per il Mezzogiorno al reclutamento di personale qualificato, mettendo così in discussione «il sistema di assistenze tecniche e consulenze che non ha restituito nulla alle amministrazioni ed è stato condizionato da spazi di intermediazione impropri ed opachi».  

Rilancio o ricostruzione del Sud?

L’emergenza sanitaria ha portato alla ribalta la permanenza di un’Italia “a due velocità”, con un Nord trainante e un Sud impreparato e debole. Stando ad alcune opinioni, l’emergenza coronavirus potrebbe aggravare il divario economico tra le due zone. Anzitutto si teme che parte delle risorse per iniziative che favoriscono i giovani ad investire nel meridione – quale Resto al Sud”, attiva dal 2017 e confermata nella legge di bilancio 2020 – possano essere stornate per far fronte alla crisi economica post emergenza. Non solo, ma visto che l’emergenza coronavirus ha “piegato” soprattutto il Settentrione, potrebbe darsi che il Governo decida di investire molto di più nella ripartenza del Nord, piuttosto che nel sostenere il Sud.

In ogni caso lo scenario post-crisi prospetta una ripartenza da zero in tutta Italia. A maggior ragione, allora, è urgente ripensare in modo costruttivo alla “questione meridionale”. Molti sono i giovani assetati di contribuire ad una ricostruzione del Sud, che passi da un piano integrato e retto a livello governativo. Maggiori investimenti in cultura, con un ripensamento radicale dell’educazione della gioventù meridionale, che si sente dimenticata in un mondo dove sembra che mai nulla cambi. Maggiore copertura massmediatica del Sud, per agevolare la circolazione di informazioni sui problemi, e così suscitare un dibattito nazionale costante. Incentivi a un rientro dei “cervelli”, che passino per un maggior coinvolgimento nelle attività produttive, ma anche nella vita politico-amministrativa delle realtà meridionali.

È chiedere troppo? Forse è meglio sospendere il giudizio, dopo un periodo così surreale. Tuttavia le ripartenze da zero stimolano a disegnare possibili, nuovi scenari. L’importante è saper cogliere l’occasione.

Raffaella Tallarico  

2 Commenti

  1. Sono di parte e dovrei astenersi da ogni commento ma ho deciso di non farlo più. Sei lucida, documentata e veritiera nell’ argomentare il problema. Continua con coraggio ,perché hai fatto una scelta impegnativa. Io sono orgogliosa di te. Indovina.?.??

  2. Complimenti un articolo veritiero e reale in tutte le sue parti. Ci vogliono menti giovani e istruite per portare avanti il nostro paese… tu sei un esempio. In bocca al lupo per tutto .

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