ndrangheta, lotta alle mafie
Parigi, murale nel quartiere Montmartre.

La maxi operazione del 19 dicembre scorso coordinata dal Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ha inferto un duro colpo alla ‘ndrangheta, disarticolando il clan dei Mancuso di Vibo Valentia. L’attività d’indagine coinvolge 416 persone, per 260 dei quali è stata chiesta e ottenuta la custodia cautelare. L’operazione ha anche portato a un sequestro di beni per 15 milioni di euro. Cifre così significative non se ne vedevano da un po’, tanto che il Procuratore Gratteri ha paragonato l’operazione al maxi-processo di Palermo. Per quanto l’operazione sia in fase preliminare, è evidente che porti in sé un segnale forte di lotta alle mafie.

A fare impressione – oltre alle cifre delle indagini – è anche la varia natura degli incarichi ricoperti dagli indagati. Questa varietà testimonia il metodo utilizzato dal clan dei Mancuso per ottenere e preservare il potere sul territorio. Spiccano politici di punta fra i coinvolti nelle indagini. Primo fra tutti Giancarlo Pittelli: senatore prima per FI poi passato a Fratelli d’Italia che, stando a quanto emerso sinora, sarebbe stato il principale anello di congiunzione tra la cosca e il mondo politico, consentendo alla prima di ottenere informazioni privilegiate per accrescere il proprio potere economico. Sono inoltre coinvolti Giovanni Giamborino, ex consigliere regionale del PD, che avrebbe contato sull’appoggio della ‘ndrina di Vibo per accumulare consenso elettorale e, una volta occupati incarichi di rilievo, avrebbe favorito la concessione di appalti pubblici e posti di lavoro agli affiliati. Legato a doppio filo al circuito ‘ndranghetista sarebbe anche il mondo della massoneria. Pittelli, membro del Grand’Oriente d’Italia, una volta abbandonata la politica avrebbe favorito la cosca dei Mancuso mediante le sue conoscenze istituzionali e approfittando della sua affiliazione alla Loggia. Il Presidente del Grand’Oriente, Stefano Bisi, ha deciso di espellerlo dopo che l’arresto e relativa indagine a suo carico sono stati resi pubblici.

Le mafie come Stati “invisibili”: una prospettiva geopolitica

La recente maxi-operazione è passata quasi in sordina, scavalcata dalla fiumana di notizie di politica e cronaca più recenti. È un dato di fatto che si parli distrattamente e male di lotta alle mafie; da un lato infatti vi è un profondo senso di impotenza nei confronti di un fenomeno così sistemico e ben radicato nel circuito economico e politico. Dall’altro è latente una certa cultura dell’ipocrisia che, nutrita dall’impotenza, porta tutti a dichiararsi apertamente contro le dinamiche mafiose, salvo poi disinteressarsi della lotta alle mafie o non offrire soluzioni durature.

Eppure il fenomeno mafioso, vista la sua pervasività, dovrebbe assumere tutt’altro rilievo nelle azioni dei governanti e fra le pagine dei media. Nel recente libro “Divorati dalla mafia – geopolitica del terrorismo mafioso” un questore francese, Jean-François Gayraud, ha proposto di considerare il fenomeno mafioso in una dimensione insolita ma realistica: quella geopolitica. Tradizionalmente questa materia ha avuto come oggetto di studio gli Stati-nazione. Tuttavia è indubbio che le mafie – come gli Stati – esercitino la loro sovranità su un territorio, peraltro molto più ampio, non avendo precisi confini geografici. È anche innegabile che le mafie, come gli Stati, facciano delle scelte economiche significative per la popolazione che “governano”: decidono come e dove allocare le risorse, investono, effettuano delle spese. Si può dire che le organizzazioni mafiose mimano in tutto e per tutto le attribuzioni spettanti ai governanti tradizionali.

L’autore critica apertamente l’atteggiamento della stessa Unione Europea e degli Stati membri, che si dimostrano miopi ai pericoli del crimine organizzato, nutrendone gli interessi col loro silenzio. In particolare ha fatto riferimento alle documentate interferenze delle mafie nel processo di indipendenza del Kosovo o nell’integrazione europea della Romania e della Bulgaria (2008). In merito all’ingerenza pervasiva del crimine organizzato, Gayraud sostiene che “la cecità è profonda, e di sicuro ha a che vedere più con la rimozione (in senso psicanalitico) che con l’errore di distrazione o d’ignoranza“. L’autore aggiunge che la superficialità nell’analisi dei fenomeni criminali deriverebbe da un'”avversione arrogante verso un tema (quello del crimine) considerato di basso livello (sul piano intellettuale)“. Si tratterebbe infatti di semplice cronaca nera, destinata a cadere presto nel dimenticatoio, scavalcata da notizie con un appeal mediatico maggiore. Invece trattare la lotta alle mafie come a veri e propri Stati, con confini peraltro fluidi e non facilmente riconoscibili, e studiarle in questi termini, significherebbe sobbarcarsi un’impresa troppo difficile: del resto quali azioni si potrebbero mettere in atto per colpire delle superpotenze, nei loro interessi economici e politici?

La “superpotenza” ‘ndrangheta forgiata nell’ombra

La ‘ndrangheta meglio di altre organizzazioni criminali rende l’idea di come il crimine abbia assunto una dimensione geopolitica. Nell’ultima relazione semestrale DIA al Parlamento si fa riferimento al solido apparato organizzativo su cui la ‘ndrangheta può contare. La coesione interna è assicurata dalla solidità delle relazioni familiari tra gli affiliati. Questo le consente di controllare il territorio calabrese e, allo stesso tempo, di replicarsi facilmente in realtà diverse, anche lontane da quello d’origine. Con diverse indagini e processi condotti nell’ultimo decennio è stato appurato che le ‘ndrine calabresi si sono radicate in Lombardia, in Emilia e, in generale nel Nord Italia. È stata attestata la sua presenza sistemica in Canada e, progressivamente, nel Nord Europa. La relazione ha inoltre posto l’accento sulla “spiccata vocazione imprenditoriale” della mafia calabrese, “…favorita dalle ingenti risorse economiche di cui dispone“. La ‘ndrangheta ha inoltre la lungimirante capacità di diversificare le attività su cui investire. Anzitutto essa ricopre un ruolo egemone nel narcotraffico internazionale, ma può contare anche sulle dinamiche di infiltrazione negli appalti pubblici e nella gestione del ciclo dei rifiuti, sulle estorsioni, sui settori dei giochi e delle scommesse. Un ulteriore fattore, emerso in tutto il suo vigore dall’ultima maxi-operazione, è la capacità della ‘ndrangheta di intavolare relazioniche si estendono, con legami flessibili e aperti, verso il mondo istituzionale e imprenditoriale, garantendo così ai clan un ampio ed eterogeneo serbatoio di risorse umane”.

La Calabria è abbandonata da decenni dallo Stato, e le ‘ndrine hanno costruito il loro consenso proprio sul silenzio e sulla connivenza delle istituzioni, accrescendo così il loro potere economico. Un ragionamento tanto semplice quanto efficace vuole che le piccole realtà calabresi si fidino più del potere delle ‘ndrine che di quello istituzionale e che, per fruire di beni e servizi, si affidino agli affiliati della ‘ndrina locale piuttosto che rivolgersi all’amministrazione locale.    

Qualche anno fa è comparso sul web un report di Wikileaks dal titolo “La Calabria può essere salvata?”. Una delegazione americana guidata dal Console Generale Patrick Truhn ha visitato la Regione per capirne meglio la situazione economica e politica. L’osservazione ha fatto emergere dati drammatici (nel caso ce ne fosse bisogno). La ‘ndrangheta controlla massicciamente l’economia regionale, rappresentando “almeno il tre per cento del PIL italiano (probabilmente di più)“. Dei calabresi si dice che essi “hanno la reputazione di essere un popolo chiuso, difficile“. Interrogato sulla situazione politico-economica della Regione, l’allora Presidente Agazio Loiero ha affermato che “il crimine organizzato, mercati relativamente inaccessibili e scarse infrastrutture si combinano nello scoraggiare gli investimenti nella Regione“. Per quanto riguarda i fondi europei stanziati per lo sviluppo del territorio, Loiero “ha dato una risposta vaga e ha cambiato argomento“, come se non ci fosse un’idea precisa di come allocare tali risorse; o peggio come se tale denaro sarebbe comunque finito in mano ai “soliti noti”.

L’insostenibile leggerezza del silenzio sulla lotta alle mafie

Ciò che emerge è un quadro allarmante. La potenza delle mafie può contare, stando a quanto emerso dall’ultima maxi-operazione sulla ‘ndrangheta, su solide collusioni con funzionari pubblici e politici compiacenti. Assumendo una prospettiva geopolitica della questione, si può dire che l’organizzazione criminale ambisce a sostituirsi allo Stato, sfruttando anche la posizione dei soggetti che ne fanno parte pur di raggiungere l’obiettivo di preservare la propria egemonia economica. Tuttavia, ed è questo il punto centrale, la ricchezza delle organizzazioni criminali, a differenza di uno Stato, non mira affatto ad arricchire popolazione e territorio. In Calabria, dati Eurostat 2018 alla mano, il tasso di disoccupazione è raddoppiato negli ultimi dieci anni. Nel 2017, su 10 giovani tra i 15 e i 24 anni, 5,5 erano disoccupati. Spicca poi il tasso di NEET, quei giovani tra i 18 e i 34 anni non inseriti in percorsi di studio o lavoro, attualmente pari al 36,2%.

Se così è, il silenzio non giova nella lotta alle mafie e, anzi, visto che si parla di un fenomeno endemico, non parlarne equivale a favorirne lo sviluppo. Gayraud nel suo libro fa una riflessione interessante sulla difficoltà di capire la minaccia concreta delle mafie in un mondo sempre più globalizzato e mediatizzato. Infatti “I governanti […] si lasciano facilmente abbagliare dalle luci della ribalta mediatica. Il clamore, la spettacolarità, l’aspetto emozionale, le apparenze e la cronaca pura degli eventi monopolizzano l’attenzione del pubblico”. Al contrario “le logiche di dissimulazione, di discrezione e d’invisibilità sfuggono alla ribalta mediatica e, dunque, alla repressione. La nostra rappresentazione ideologica del mondo ci nasconde una realtà criminale. Questa illusione giova alle mafie che, essendo essenzialmente delle entità fantasma, hanno la capacità di passare inosservate”.

È allora chiara la necessità di una seria presa di coscienza sull’entità del fenomeno mafioso. Un fenomeno che pretende di agire “in parallelo” rispetto all’azione statale e che anzi è più potente di uno Stato, visto che ne travalica i confini.

Raffaella Tallarico

Calabrese per nascita e formazione. Mi sono laureata in Giurisprudenza e scrivo di confusione politica e sociale, italiana ed internazionale.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui