25 aprile e pandemia, quella libertà appesa a un balcone
Credit: ANPI.it

Cosa vuol dire festeggiare il 25 aprile durante una pandemia? L’ANPI invita a intonare “Bella ciao” dai balconi, ma la libertà era e resta un miraggio, adesso anche in senso fisico.

Lo scorso 25 aprile il presidente della Federazione italiana volontari della libertà, Francesco Tessarolo, ricordando i sacrifici e le lotte per ricostruire l’Italia, anche e soprattutto a livello morale, dopo la devastazione fascista e la seconda Guerra mondiale, ha sottolineato come «l’idea che ci sia un bene comune che deve prevalere, al quale tutti dobbiamo contribuire, deve continuare a essere tenuta in grande evidenza anche in questa fase della vita del Paese» ,perché è proprio questo che risulta, oggi più che mai, difficile. «Gli ideali e i sogni non fanno neppure in tempo a nascere che già vengono colpiti e completamente devastati dalla realtà più crudele; il mondo lentamente si sta trasformando in un deserto arido e ostile», prosegue.

Nella nostra epoca, infatti, è doveroso ricordare cosa siano veramente il 25 aprile, la Resistenza e la Liberazione. È necessario farlo oggi perché la politica più spicciola ha ormai stigmatizzato negativamente questa festa riconducendola a una ricorrenza propria della Sinistra, e sta cercando di cavalcarla come motivo di divisione, quando invece dovrebbe essere una festa che non ha bandiera politica se non la bandiera della Libertà e della Pace.

La profonda campagna di revisione del senso del 25 aprile viene lanciata a gran voce da numerosi parlamentari e dall’assordante propaganda dei populisti, per questo è di fondamentale importanza comprendere l’essenza più pura che non può e non deve limitarsi a essere spiegata tramite la dialettica politica. Le azioni politiche nel nostro Paese sono caratterizzate sempre più da tendenze antidemocratiche e basate su una propaganda violenta e smisurata. Non si cerca più di capire la complessità e la drammaticità dei problemi sociali, e sembra che la memoria storica di ciò che è stato sia svanita nel nulla; e questo è dimostrato dal fatto che non si riesce a comprendere l’importanza e la portata di quei conflitti scoppiati un secolo fa, dopo dei quali l’Europa ha raggiunto una ricostruzione marcata dal più lungo periodo di pace e prosperità mai vissuto.

Per Matteo Salvini «l’unica liberazione da festeggiare è quella dalla mafia», che oltretutto è ancora lontana, e come rispose prontamente l’ANPI non c’è da confondere l’antimafia con l’antifascismo; ma c’è addirittura chi, come Ignazio La Russa, cavalcando le sfide della pandemia propone che il 25 aprile diventi la ricorrenza per celebrare tutti i caduti, anche quelli per il Coronavirus, consigliando addirittura di cantare la canzone del Piave dai balconi.

Il 18 aprile scorso, in una diretta Facebook insieme a Edoardo Sylos Labini e ad alcuni parlamentari di Fratelli d’Italia, ha reso noto che «abbiamo avanzato una proposta rivolta a tutti, senza distinzioni politiche e culturali: da quest’anno il 25 aprile diventi, anziché divisivo, giornata di concordia nazionale nella quale ricordare i caduti di tutte le guerre, senza esclusione alcuna. E in questa data si accomuni anche il ricordo di tutte le vittime del Covid-19 che speriamo cessino proprio in aprile».

Una proposta indecente, come se ne sentono ormai da tempo all’avvicinarsi del 25 aprile, che deve esser contrastata riproponendo e mettendo in risalto l’autenticità della Liberazione: una celebrazione che non ha colore politico e non deve esser divisoria, bensì unirci sotto le ali della libertà ritrovata, proprio grazie a quel periodo, e che oggi deve esser difesa e mantenuta. Una libertà che per molti oggi non è fisica, poiché costretti in casa per contrastare la pandemia. Proprio per questo l’ANPI ha rilanciato a gran voce festeggiamenti in linea con l’emergenza sanitaria: balconi intonanti “Bella Ciao” e celebrazioni sul web, data l’impossibilità di manifestare in piazza.

Da Milano a Palermo, nonostante la Pandemia, le sezioni ANPI locali hanno organizzato maratone e incontri web per non lasciare indietro i festeggiamenti, tanto importanti quanto in pericolo: il 25 aprile è infatti oggi sotto attacco, perché esponenti politici e partitici continuano, di ventennio in ventennio, a screditare questa festa facendola divenire divisoria.

Quel 25 aprile di 75 anni fa l’Italia si liberava da un regime oppressivo e incentrato sulla sopraffazione dell’uomo sull’uomo; un regime violento che aveva privato i cittadini dei diritti e delle libertà fondamentali, che si era allineato alla vergogna del razzismo di Stato, ed aveva fatto degli oppositori vittime che oggi qualcuno vorrebbe far passare come carnefici. Per questo è di fondamentale importanza riscoprire il vero valore storico del 25 aprile.

A causa della pandemia siamo costretti a privarci di fondamentali libertà fisiche, ed è essenziale ricordare ciò che è stato per scongiurare qualsiasi suo ritorno nel presente. Assistiamo ogni giorno ai pericoli che la libertà, nel suo senso più ampio e comprensivo possibile, si trova ad affrontare. La libertà nella nostra Costituzione è sancita tra i principi fondamentali e supremi a cui la stessa legge statale deve sottostare, rimarcando come si sia voluto prendere le distanze, in Assemblea Costituente, da quel periodo precedente e buio della storia italiana.

È proprio in nome di questa libertà che dobbiamo restare uniti, nello sforzo comune di contrastare una pandemia che ci ha inevitabilmente messo di fronte alla labilità e alla fragilità di certi diritti. Di fronte alla pandemia, l’equilibrio tra libertà e tutela della salute deve esser ricercato nella vita come priorità. Per questo l’ANPI, nella giornata del 25 aprile, non rinuncia ai festeggiamenti e ci chiede a gran voce di intonare “Bella Ciao” sventolando il tricolore. L’equilibrio, oggi, può essere anche ricercato nelle parole di cui un grande cantautore italiano si è fatto portavoce: come cantava Gaber, «libertà è partecipazione».

Per tutto questo il 25 aprile deve essere compreso non solo dai cittadini, ma anche e soprattutto dai politici che ogni anno tornano dirompenti a criticarlo, nel suo senso storico più autentico, e deve esser libero da ogni banale ed effimera retorica politica: il 25 aprile è di tutti, e nessuno deve screditarlo. Il 25 aprile 2020, che con la pandemia vede vacillare alcune libertà fondamentali deve farci capire che la Resistenza non è mai finita: muta contesti e storie, ma ci obbliga ancora oggi a rivendicare l’importanza della libertà.

Martina Guadalti

1 commento

  1. E’ stata una grande lotta di popolo quella che si è compiuta nel 1945. Esattamente 75 anni fa l’Italia veniva liberata dalla dittatura nazifascista e si avviava sulla strada per la democrazia. Questo 25 aprile del 2020 lo viviamo in modo particolare a causa di un coronavirus malefico definito covid19 che ha invaso da qualche mese i nostri corpi e condizionato le nostre menti. Ma nulla impedisce, neanche questo morbo altamente contagioso, di celebrare questa gloriosa giornata e ricordare, sicuramente più ritirati fisicamente, per via delle restrizioni che vietano assembramenti per evitare la contaminazione, ma non meno intensamente degli altri anni, tutte quelle donne e quegli uomini di estrazioni politiche e sociali diverse che durante la dittatura fascista si sono alleati con l’unico obiettivo di riscattare la libertà di tutti gli italiani. Anche se di recente sono emerse teorie revisioniste, poco considerate a dire il vero, se non tra i soliti cazzoni reazionari, che vorrebbero mettere allo stesso livello coloro che hanno lottato per la liberazione dal nemico e quelli che agivano per impedire tale conquista, tutti sanno che la negazione della libertà è stata sempre una condotta della destra oscurantista in Italia, pur con l’insistente spauracchio della presa del potere da parte dei comunisti che avrebbero ‘mangiato i bambini’, poi invece i comunisti hanno contribuito perfino a scrivere la Costituzione. Purtroppo, a distanza di 75 anni, il sogno di paese liberato completamente non si è ancora realizzato. Tanti sono i problemi di ogni natura, connessi al lavoro, alla povertà, all’istruzione, alla sanità, che la politica non è capace o non vuole risolvere. Un grande condizionamento, per esempio, deriva dal fenomeno mafia. Da semplice corpo rurale, ha modificato, nel tempo, i suoi antichi connotati adeguandosi al potere e superando i confini storici tradizionali, si è ramificata ovunque, specialmente nel nord ricco e opulento dove con un intreccio tra ‘certa’ politica, classe borghese dominante e colletti bianchi è stata creata una vera struttura che poggia su fondamenta prettamente criminali. Non a caso tutte le inchieste giudiziarie annotano come la grande imprenditoria e le sue referenze politiche hanno fatto di tutto affinché il malaffare penetrasse nei gangli dell’apparato pubblico e privato traendo vantaggi e ritorni economici poco puliti con appalti pubblici truccati come un sistema capitalistico impone con la tolleranza di uno stato connivente, e questa grave crisi potrebbe essere una gallina dalle uova d’oro per lor signori. L’Italia sarà davvero un paese completamente libero e democratico quando sarà eradicata quella mentalità e sottocultura mafiosa alimentata da corruzione e logiche predatorie di fondi pubblici. Bisogna continuare a difendere a ogni costo democrazia e libertà, le conquiste dei nostri padri, ma al tempo di oggi la nuova resistenza ci obbliga ad opporci con tutte le forze a questa moderna dittatura fatta di ammorbamento economico, inquinamento sociale e ambientale, politiche perverse e sciagurate che non cercano soluzioni ai problemi delle popolazioni ma diventano esse stesse il problema. Richiederà tanta fatica e assunzione di responsabilità, perché vorrà dire navigare contro vento, rifiutare ogni compromesso, ogni sfruttamento, ogni azione che porta con sé il seme dell’odio e dell’intolleranza. Significa insomma posizionarsi a muso duro contro il potere. Ma alla fine la contropartita ripagherà per l’impegno messo in atto perchè si allargheranno gli spazi di solidarietà, condivisione, giustizia sociale, libertà e uguaglianza. Sono queste le medaglie che hanno conquistato i nostri partigiani e per le quali sono morti. Tocca a noi continuare a difenderle e custodirle omaggiando e rispettando così la loro memoria. Se così non sarà, se non ne saremo capaci, non ha senso continuare a cantare Bella Ciao.

    Pasquale Aiello

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