Flat Tax: iniquità sociale, ingiustizia fiscale e incostituzionalità
P. Brueghel il Giovane - ''La consegna della decima''

Il termine inglese flat significa piatto, ma si può tradurre anche con uniforme e quindi l’espressione Flat Tax (tassa piatta) può dare il senso di una tassazione uniforme, eguale ed equa. Invece è il massimo dell’ingiustizia fiscale perché tendenzialmente colpisce nella medesima misura percentuale i grandi redditieri come i nullatenenti.

Don Milani disse: «Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali». 

La proposta d’introdurre la Flat Tax al posto di un’imposizione progressiva venne teorizzata dall’economista M. Friedman a metà degli anni ’50. Secondo la sua teoria, se si fosse alleggerita la pressione fiscale sulle classi benestanti, quest’ultime avrebbero impiegato i risparmi di imposte in investimenti produttivi, permettendo un più rapido sviluppo dell’intero sistema economico.

Le sue teorie saranno applicate qualche decennio dopo, per arginare la caduta dei profitti durante le prime crisi capitalistiche, nel Cile del generale Pinochet, nell’Argentina del generale J. R. Videla, nell’Inghilterra di M. Thatcher e negli Stati Uniti di R. Reagan, con enormi effetti d’ingiustizia fiscale e d’iniquità sociale. Privatizzazioni, leggi anti-sindacali, tagli al Welfare State, ma anche norme fiscali sempre più favorevoli ai ricchi capitalisti.

La Flat Tax e il governo gialloverde

La Flat Tax secondo il ministro Salvini: «permette di risparmiare a tutti, e soprattutto permette ai ricchi d’investire di più». In realtà, in presenza di profitti calanti, i risparmi di imposta delle classi agiate, in relazione alla difficoltà di valorizzare adeguatamente il capitale produttivo, vengono tendenzialmente investiti nella speculazione finanziaria, alimentando inoltre continue bolle speculative a danno del pubblico.

La verità è che la Flat Tax scatena maggiori disuguaglianze socio-economiche e di conseguenza maggiori profitti per i ricchi. Inoltre bisognerebbe valutarne l’incostituzionalità, poiché la Flat Tax è contraria ai princìpi di equo riparto del carico fiscale.

Costituzionalmente è prevista una tassazione in base alla capacità contributiva, progressività fiscale. Invece la Flat Tax prevede una tassazione iniqua, dunque non progressiva, idonea a favorire solo i grandi redditieri e a danneggiare i lavoratori, sia in termini di aggravio fiscale diretto o indiretto a loro carico, sia in termini di tagli dei servizi pubblici essenziali; tagli che si rendono necessari per far fronte al minor gettito fiscale dello Stato.

Una manovra fiscale devastante in uno Stato in cui, ogni anno, l’evasione fiscale ammonta intorno ai 105 miliardi di euro. Purtroppo il principio costituzionale italiano, fissato nell’art. 53 – «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività» – è stato gradualmente inevaso già a partire dagli anni ‘80, dagli anni del neo-liberismo rampante.

Infatti il processo di flattizzazione delle imposte in Italia avviene già da molto tempo. Nel 1974 le aliquote erano 32 e andavano dal 10% al 72%, attualmente sono 5 e vanno da un minimo del 23% a un massimo del 43%. La massima del 43% si applica a redditi superiori ai 75 mila euro. Quindi da 75 mila euro in poi (il reddito di una famiglia benestante ma non ultra-ricca), pagano tutti la stessa aliquota, anche coloro il cui reddito si conta in milioni. Contemporaneamente, l’aliquota minima è salita dal 10% al 23%, quindi alle persone meno abbienti è stato imposto di accrescere il loro contributo alla finanza pubblica.

Questa sperequazione si aggiunge alla riduzione progressiva dei salari a favore dei profitti aziendali. Un’ecatombe per le classi lavoratrici e una crescita delle ingiustizie. I tagli alla spesa pubblica hanno accresciuto la pressione tributaria tramite un’imposizione non progressiva o indiretta. Infatti, sono accresciute le aliquote IVA che tutti pagano in egual misura, e all’interno di esse, in particolar modo quelle relative ai beni essenziali consumati prevalentemente dai lavoratori, sono state introdotte sovrattasse varie non proporzionali al reddito: come l’imposta sui rifiuti urbani, l’imposta di bollo, le tasse e le imposte ipotecarie, le tariffe dei servizi pubblici, anche di quelli una volta gratuiti, i ticket sanitari e così via.

All’iniquità accumulata negli anni, si aggiunge anche la Flat Tax?

Il divario tra ricchi e poveri si amplifica sempre più, nonostante il ministro Di Maio abbia affermato «aboliremo la povertà».

In netta contraddizione con quanto detto dai vari ministri, l’attuale governo giallo-verde sta ulteriormente agevolando le classi benestanti con l’introduzione della discussa Flat Tax.

Per aggirare l’incostituzionalità, l’imposta non sarà completamente piatta, ma vi saranno due aliquote: una del 15% e una del 20%. Enormi saranno i benefici per i ricchi. Le famiglie con reddito inferiore a 30 mila euro non avranno beneficio alcuno. Quelle con reddito compreso tra 30 mila euro e 40 mila avranno una riduzione di imposte mediamente del 1,6%. Quelle con reddito compreso fra 40 mila e 50 mila vedranno aumentare questo sconto sull’IRPEF al 4,6%. Fino a salire ai redditi superiori ai 300 mila euro annui che vedranno abbattute le loro imposte del 18,4%.

Solo i bassi redditi pagheranno questa manovra in termini di ulteriori inefficienze dei servizi pubblici e rincari delle tariffe, mentre chi ha un reddito di 300 mila euro o più potrà infischiarsene dei servizi pubblici, visto che già si rivolge ampiamente al privato.

Insomma, con la Flat Tax si fa un altro passo verso la restaurazione del capitalismo vecchia maniera, prosegue la lotta di classe di coloro che sostengono retoricamente la scomparsa delle classi, mentre opprimono le classi subalterne; prosegue l’intervento massiccio dello Stato in favore dei ricchi che, ipocritamente, chiedono meno Stato in favore del libero mercato.

Il governo giallo-verde nel tentativo di continuare a egemonizzare i lavoratori autonomi e la piccola borghesia pur d’espandere i consensi, elargisce loro mance fatte di riduzioni di imposte e condoni fiscali. In generale, tenta di cavalcare l’istinto – molto italiano – a detestare le tasse e rafforzare il discorso ideologico che per far progredire l’economia si deve alleggerire il carico fiscale e rendere più flessibile il costo del lavoro. In sintesi, s’avrà una maggiore evasione fiscale e un maggiore sfruttamento della classe lavoratrice.  

Se volessimo tradurre concretamente e correttamente il triste slogan «prima gli italiani», il risultato sarebbe «prima i ricchi».

Gianmario Sabini

Gianmario Sabini
Sono nato il 7 agosto del 1994 nelle lande desolate e umide del Vallo di Diano. Laureato in Filosofia alla Federico II di Napoli. Laureato in Scienze Filosofiche all'Alma Mater Studiorum di Bologna. Sono marxista-leninista, a volte nietzschiano-beniano, amo Egon Schiele, David Lynch, Breaking Bad, i Soprano, i King Crimson, i Pantera, gli Alice in Chains, i Tool, i Porcupine Tree, i Radiohead, i Deftones e i Kyuss. Detesto il moderatismo, il fanatismo, la catechesi del pacifismo, l'istituzionalismo, il moralismo, la spocchia dei/delle self-made man/woman, la tuttologia, l'indie italiano, Achille Lauro e Israele. Errabondo, scrivo articoli per LP e per Intersezionale, suono la batteria, bevo sovente per godere dell'oblio. Morirò.

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