In Italia l’assistenza sanitaria è pubblica dal 1978, quando il governo Andreotti istituì il Servizio Sanitario Nazionale grazie soprattutto alla prima Ministra della Salute donna: Tina Anselmi. Quanto accaduto negli ultimi anni ha però aperto delle profonde fratture in questo sistema. D’altronde, che la sanità pubblica sia in crisi, soprattutto al Sud, lo dimostrano i numeri. Infatti, secondo la Commissione Parlamentare d’Inchiesta sugli errori in campo sanitario, dal 2009 al 2012 sono state sporte 570 denunce per malasanità, di cui 117 in Sicilia, 107 in Calabria, 37 in Campania, 36 in Puglia. La Calabria e la Campania, secondo il Centro per i Diritti del Cittadino, sono le due regioni dove si muore di più per cure tardive o sbagliate, con l’81% di casi di malasanità che si concludono col decesso del paziente. Nel Meridione, il diritto alla salute è diventato un bene facoltativo: la salute e la dignità del paziente non sono l’interesse primario della sanità pubblica.
La Campania è una delle regioni che è più a rischio di tutti, per quanto riguarda il servizio sanitario pubblico. La condizione di gran parte degli ospedali campani è, secondo quanto denunciano le istituzioni, quella di un lazzaretto d’anteguerra: personale in sotto organico per via dei tagli, corridoi pieni di barelle a causa della carenza di posti letto, parenti costretti a cambiare pannoloni e biancheria intima agli anziani non autosufficienti, medici che subiscono aggressioni verbali e fisiche da parte di persone cui è stata tolto ogni briciolo di dignità. Inoltre, le liste d’attesa sono l’esempio lampante del disservizio sanitario dove il cittadino può attendere mesi prima di essere sottoposto a visite. È in questo contesto che nascono i centri diagnostici privati, cioè strutture sanitarie dove è possibile svolgere esami medici evitando i tempi delle code, purtroppo spesso biblici, degli ospedali.
Ovviamente, pagando di tasca propria.
Infatti, negli ultimi anni in Campania sono spuntati decine e decine di centri privati accreditati con le Asl e, fin quando il budget regionale lo consente, operano in regime di convenzione. Ciò significa che le prestazioni mediche sono offerte sulla base del pagamento del ticket: basta pagare la ricetta del medico e l’esame, svolto privatamente, è gratuito per il paziente perché coperto con i fondi della Regione. Una volta esauriti i fondi regionali il paziente paga per intero, senza sconti e senza esenzioni, il prezzo della prestazione. Ciò è la dimostrazione fattuale che la salute non è più un diritto fondamentale garantito (art. 32 – Costituzione) ma un bene di consumo. Dunque, il risultato è la privatizzazione della sanità.
Scrive N. Chomsky:
«Questa è la strategia standard per privatizzare: togli i fondi, ti assicuri che le cose non funzionino, la gente s’arrabbia e tu consegni al capitale privato».
In Campania esistono cittadini che spendono più per curarsi che per vivere, a discapito dell’equità sociale e del principio universalistico delle cure sanitarie. Il settore della sanità privata, secondo il rapporto dell’Istat, raggiunge quote del 35% solo in quest’area del Paese, con una spesa sanitaria per abitante che raggiunge il 10% del PIL pro-capite, contro il 7% della media nazionale. La situazione sembra essere figlia dell’abbandono in cui versano le strutture pubbliche, con personale medico, infermieri e pazienti lasciati a combattere una lotta cui nessuno di loro ha deciso in realtà di combattere.
La Campania è da decenni maglia nera per la qualità della pubblica sanità. In primis, il fenomeno della migrazione sanitaria verso le altre regioni, per via della malasanità, è un ulteriore salasso per la regione Campania poiché dev’essere garantito il rimborso al malato. Ciò è costato nel 2011 ben 400 milioni di euro alla regione.
In secundis, la Campania è la regione italiana cui sono destinati meno fondi per la sanità, semplicemente perché è la regione più giovane d’Italia in termini anagrafici. La ripartizione finanziaria in base all’età, stabilita a inizio 2000 dall’allora ministro Umberto Veronesi, non tiene conto dei fattori epidemiologici, cioè della percentuale di mortalità. Infatti, in Campania c’è un incremento di mortalità per tumore, rispettivamente a Napoli del 10% e a Caserta del 5% rispetto alla media nazionale. Nonostante l’evidenza di questi dati non c’è alcun tipo di proporzionalità nella distribuzione dei fondi per la sanità.
In terzis, attraverso le logiche emergenziali del commissariamento, ai fini del pareggio di bilancio (Fiscal Compact), si sono attuate esternalizzazioni dei servizi e di conseguenza v’è stata la precarizzazione dei lavoratori: tutto ciò non ha comportato nessun risparmio ma aggravi di spesa e un’inevitabile diminuzione del livello dei servizi. Nella sanità pubblica, la problematica maggiore è per i medici, infermieri, ostetriche, operatori socio sanitari che praticano l’intra-moenia o che lavorano per un numero di ore straordinario pur di coprire i turni, a causa del blocco delle assunzioni e dei concorsi, e ciò spesso incide negativamente sulle prestazioni professionali e assistenziali.
Campania: il business della sanità
Il sistema sanitario campano è logorato dal malaffare e dal clientelismo politico, perlopiù le truffe costano approssimativamente 10 miliardi all’anno. Gli ospedali subiscono vere e proprie lottizzazioni politiche con l’annesso corollario di nomine fiduciarie e appalti pilotati dalla classe dirigenziale affinché si radichi il metodo del voto di scambio e della speculazione finanziaria a danno del pubblico e dei pazienti. Un reclutamento di professionisti della salute fatto per conoscenze e per favoritismi, piazzati qua e là dove c’è necessità di coprire una carenza organica. Si elargisce con estrema superficialità un servizio sanitario regionale riempiendo vuoti in organico senza neppure garantire i livelli essenziali di assistenza; con ciò si assiste al mutamento di diritti in privilegi e di servizi in concessioni. Inoltre gli scandali sono stati molteplici. Appalti fraudolenti con incluse le tangenti per i direttori Asl e per i vari dirigenti regionali, turbative d’asta a favore d’aziende a gestione familiare per l’acquisto d’apparecchiature a prezzi esorbitanti, vendita sottobanco di analgesici e oppioidi sul mercato della droga. In ambito medico, il denaro e gli interessi politici a esso connessi impediscono sovente uno sguardo aperto sulla verità, quindi sulla salute, e non da ultimo sulle leggi realmente efficaci. Ne scaturisce un drammatico deficit giuridico a vantaggio di poteri collaterali illegali, quindi si ha il dominio della rendita figlia della corruzione che trova appannaggio in una burocrazia predatoria e in una sanità gestita come un’azienda.
Nell’epoca del capitalismo tutto è monetizzabile, persino la vita umana. Il fine unico è il profitto. Probabilmente ci è più facile immaginare la fine del mondo che la fine di questo sistema economico.
Gianmario Sabini