Italia Viva partiti piccoli
Matteo Renzi (fonte: The Economist)

Tra i partiti piccoli dell’attuale panorama politico italiano spicca Italia Viva. Ma non per merito. La crisi in corso nasce infatti dal disaccordo sul Recovery Fund, o più probabilmente dall’ego di Matteo Renzi e Italia Viva. L’opportunità di aprire una crisi di governo nel bel mezzo di una pandemia non sarà l’argomento trattato in queste righe. L’importanza dei partiti piccoli nell’assicurare una più equa rappresentanza degli elettori sarà invece il tema principale, insieme alla nocività, o quantomeno non-utilità, di Italia Viva.

Seppure la precedente affermazione possa apparire contradditoria, poiché Italia Viva è di fatto un partito piccolo (fuori dal Parlamento), non si deve confondere l’importanza di tutelare i partiti piccoli in un sistema multipartitico e proporzionale, con l’ennesima trovata politicistica per “riciclare” le vecchie élite e mantenere sotto scacco un intero Parlamento. Non sarà certo l’opportunismo politico egotista dell’ex “delfino” di Rignano ad aiutare il paese ad uscire dalla crisi.

L’importanza dei partiti piccoli: l’esempio dei radicali

Fin dalla sua nascita, il Partito Radicale ha potuto contare su un numero davvero esiguo di deputati e senatori. Il massimo fu raggiunto alle elezioni politiche del 1979 quando, guidati alla Camera da Giuseppe Rippa, i radicali ottennero 18 seggi. Il panorama politico dell’epoca, una sorta di bipartitismo senza alternanza, offriva poco margine di manovra ai partiti piccoli che intendevano portare sul tavolo cambiamenti importanti.

Poiché le aule del Parlamento non offrivano concretamente questa possibilità, i radicali portarono avanti le loro battaglie più importanti tramite un altro strumento, quello del referendum abrogativo, che coinvolge direttamente i cittadini ed aggira lo stallo istituzionale. Tra questi, con il ruolo fondamentale del coordinamento dei radicali, si ricordano in particolare il referendum del 1981 sulla legge 194 che legalizzava l’aborto, le battaglie per salvaguardare il diritto al divorzio nel referendum del 1974, e non ultimo il referendum sulla preferenza unica del 1991.

Italia Viva
Matteo Renzi a Milano, con il logo del suo partito Italia Viva, dicembre 2019 (fonte: ANSA/MATTEO BAZZI)

Italia Viva e la crisi di governo: i partiti piccoli e l’opportunismo politico

Ma non è tutto oro ciò che luccica. O meglio, non tutti i partiti piccoli nascono da esigenze di rappresentazione politica delle minoranze. È appunto il caso di Italia Viva, fondata da Renzi nell’autunno 2019. Gli stessi parlamentari di Italia Viva non sembrano avere dubbi sulla nascita del loro partito: esso fu infatti lanciato prima del previsto, appena formatosi il governo giallo-rosso, anche nell’ottica di impedire la nascita di un eventuale partito politico ispirato a Conte che avrebbe posto non pochi problemi al re-ingresso in politica di Matteo Renzi.

Tra i partiti piccoli, Italia Viva è oggi la casa di ex esponenti del PD, in maggioranza, ma anche fuoriusciti dai 5 Stelle, dal gruppo misto e da Forza Italia. In Parlamento Renzi può contare su 30 deputati e 18 senatori, oltre che le due ormai note ex-ministre Bonetti e Bellanova e sull’ex-sottosegretario Scalfarotto. Italia Viva non è dunque mai passata al vaglio degli elettori, ma è stata creata, ex novo, in seno al governo Conte bis. I sondaggi di questi giorni sono unanimi nello stimare il consenso del partito di Renzi tra il 2,5% ed il 3%, ovvero non in grado di superare la soglia di sbarramento. È facile quindi intuire le ragioni della ferma opposizione di Renzi ad un eventuale appuntamento elettorale, oggi come allora, come quando sembrava imminente il ritiro di Salvini dal governo nell’estate 2019.

L’attuale strategia politica del partito di Renzi sembra consistere più nel confondere che nel convincere. L’attuale fine del Conte bis nasce dal rifiuto di Renzi, nel dicembre scorso, di approvare la task force che l’ex premier voleva organizzare per gestire i fondi europei di Next Generation EU. La bozza, in seguito al disaccordo di Italia Viva, viene corretta da Conte. Ma Renzi non approva le modifiche e da qui nasce la minaccia, poi concretizzata qualche settimana fa, di ritirare le due ministre di Italia Viva dalla compagine di governo. Per guerreggiare con l’esecutivo, Renzi si concentra in seguito anche sul MES, invocandone la necessità ben conscio che il partito di maggioranza dell’attuale esecutivo, il M5S, non avrebbe mai approvato l’erogazione del fondo europeo. Delle 63 proposte di modifica di Italia Viva, diverse vengono accolte nella nuova bozza. Ciononostante Bellanova e Bonetti rassegnano le dimissioni. Non appena l’esecutivo cerca di venire incontro alle istanze di Italia Viva, Renzi cambia il tema da mettere a dibattito, ne aggiunge uno, ne sottrae un altro, modifica le richieste…in sintesi, confonde.

Fare politica senza la politica: parabola di un abile democristiano e del suo partito, Italia Viva

«Presidente, nelle vostre conclusioni, io ci leggevo la matematica, non la politica» dice Rosato, capogruppo di Italia Viva alla Camera, nel suo intervento pre-crisi lo scorso 18 gennaio. Una posizione quantomeno ipocrita.

Italia Viva
Matteo Renzi ed Ettore Rosato (fonte: il Fatto Quotidiano)

L’unica frase che Renzi ha ribadito costantemente e con forza durante questa crisi, è altrettanto eloquente: «noi non lo facciamo per le poltrone, ma per le idee». Che, a sentirla pronunciare da Berlinguer, avrebbe certo assunto un suo significato. Tuttavia Renzi (e Italia Viva ne è la prova concreta) è stato, e tuttora è, la principale incarnazione del passaggio di una certa sinistra al modello Macron, un modello di presunta efficienza di governi quasi tecnici che sbandierano ai quattro venti il superamento delle ideologie e degli schieramenti politici novecenteschi.

Viene da chiedersi che fine abbia fatto la coerenza e come Renzi possa predicare l’importanza delle idee in politica dopo aver fondato la sua carriera politica sul superamento di queste ultime, con Italia Viva che vaga in un confuso vacuum politico che la porta ad innalzarsi a generica rappresentante della classe media, degli imprenditori, del femminismo e dei più deboli – tutti insieme.

Non bisogna però stupirsi dell’operato di Italia Viva. Essa, come il suo fondatore, non è altro che il frutto dell’albero della malapolitica italiana degli ultimi (almeno) 30 anni: il trasformismo da un lato, la personalizzazione del partito dall’altro. Quest’ultima caratteristica, ereditata indubbiamente dall’ormai mitologico Silvio Berlusconi, nel caso di Italia Viva è portata all’estremo: senza Renzi Italia Viva non avrebbe né una forma né un perché. I programmi politici scompaiono, i leader restano.

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Matteo Renzi durante il discorso che apre la crisi di governo, gennaio 2021 (fonte: ft.com)

Italia Viva: quando un partito piccolo non fa bene al sistema politico?

Si può affermare che si può tracciare una netta linea di demarcazione tra i partiti piccoli che ricoprono un ruolo vitale nel meccanismo democratico ed altri che approfittano della propria posizione e stanno a galla solo in ragione del proprio sapersi ancorare indefinitamente alle istituzioni. Spesso queste due propensioni coesistono, almeno parzialmente. Ogni partito, come ogni organizzazione o associazione o entità, proverà a sopravvivere e non scomparire.

Anche i radicali, indubbiamente, cercarono di dare continuità al proprio operato rimanendo in Parlamento e cercando di farsi rieleggere. Tuttavia, quella stessa sopravvivenza, garantita dal sistema proporzionale (e solo raramente dai cambi di casacca a legislatura in corso), è necessaria per poter portare avanti le proprie battaglie all’interno dell’arena istituzionale più rilevante di questo paese. Ne è appunto prova il profondo segno nel cambiamento della società italiana che hanno portato i referendum proposti dai radicali, visibile ancora oggi, a distanza di quarant’anni.

Al contempo, un giudizio ex post sull’operato dei partiti piccoli è certamente più semplice da formulare, poiché il contributo che un partito piccolo può dare al sistema politico a volte può non essere immediatamente riconosciuto. Ai posteri l’ardua sentenza, quindi. Eppure già adesso, senza correre a conclusioni troppo affrettate, pare evidente che, sul piano di “utilità” al sistema democratico e sul piano di caratura politica, tra Matteo Renzi e Marco Pannella non corra un oceano di differenza, ma vi passi proprio un universo.

3 Commenti

  1. Bell’articolo, descrizione calzante del rottamatore di Rignano. Più difficile vedere analogie tra I. V. e il partito Radicale, che comunque aveva percentuali maggiori, se non altro per la base ideale e di valori, condivisibili o meno, che i radicali possedevano rispetto a Italia Viva.
    Allora si lottava per delle idee, dei valori su cui si basavano i partiti (salvo poi spesso disattenderli) e non solo per giochini di convenienza politica. In fondo Renzi sta continuando a portare avanti il suo progetto di distruggere la sinistra, riuscito perfettamente da quando ha potuto infiltrarsi nella fusione a freddo tra ex comunisti ed ex democristiani (Renzi viene da questi ultimi,) e realizzando in pochi anni il sogno inseguito dalla Dc per cinquant’anni. In questo non eludendo le responsabilità della stessa sinistra, che passando dall’assalto al Palazzo d’Inverno a Palazzo Chigi ha segnato, purtroppo, il proprio destino in nome del feticcio della governabilità e quindi della ricerca di voti al centro, abbandonando idee e progettualità.
    Complimenti per l’articolo

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