Che cos'è il rainbow washing e perché dovevamo aspettarcelo
Fonte: thedailybeast

Il mese di giugno appena trascorso è conosciuto anche come Pride Month (mese del Pride), durante il quale si ricordano i moti di Stonewall del 27 e 28 giugno 1969 che diedero inizio al movimento di rivendicazione LGBTQ. Il mese di giugno si tinge dei colori dell’arcobaleno, colori che rappresentano inclusività, uguaglianza, orgoglio LGBTQ. Nel corso degli anni, con l’aumento dell’interesse del pubblico alle tematiche LGBTQ, si vedono sempre di più in televisione, su internet, pubblicità che presentano prodotti gay-friendly. Purtroppo la maggior parte di queste iniziative sono semplici strategie di marketing, all’insegna del cosiddetto rainbow washing.

Il rainbow washing deriva da pink washing, che si riferisce all’uso del fiocchetto rosa simbolo della lotta contro il cancro al seno per vendere più merce, ma nello specifico viene definito come «l’atto di utilizzare i colori dell’arcobaleno per indicare il progressivo supporto per l’uguaglianza LGBTQ, acquistando credibilità da parte dei consumatori, ma con il minimo sforzo o risvolto pragmatico». Questo vuol dire che solitamente non si vedono le aziende mandare messaggi di inclusività, ma che queste ultime recuperano durante il mese del Pride ciò che non hanno fatto durante l’anno, partendo dall’ormai comune cambio di colore dei loro loghi. Insomma, ripuliscono la loro immagine con i colori dell’arcobaleno per dare l’illusione di occuparsi di tematiche sociali.

rainbow washing
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L’impatto visivo che i loghi arcobaleno hanno sul consumatore è alto, tanto da spingerlo a fare acquisti che possono sembrare pro LGBTQ ma che in realtà non lo sono. Molte delle multinazionali che attuano rainbow washing non sono mai state gay-friendly e continuano a non esserlo. Alcune aziende come Nike e Walmart annunciando un nuovo merchandising gay-friendly ma non hanno fornito aiuto alla comunità LGBTQ. Hanno piuttosto investito nelle prigioni e nel lavoro schiavile. Google, sebbene abbia sostenuto vari Pride che si sono svolti in America, più o meno in silenzio ha donato ben 178.000 dollari a politici anti-LGBTQ.

Non da meno sono stati Amazon e Microsoft donarono 15.000 dollari al rappresentante del Texas Brian Babin, il quale definì l’idea politica dei bagni neutrali dell’allora presidente in carica Barack Obama come “fuorvianti”. UPS, società americana per il trasporto e spedizioni internazionali, ha donato 2.366.122 dollari a 159 politici anti-LGBTQ dal 2017 al 2018. Inoltre, molti di questi prodotti vengono creati in paesi dove appartenere alla comunità LGBTQ è illegale. Per esempio, la manodopera di alcuni prodotti per il Pride Month di Levi’s provengono dall’India, dove fino al 2018 era addirittura illegale essere omosessuali. Anche le collezioni di H&M vengono create in Bangladesh dove gli attivisti queer vengono presi di mira per la loro sessualità e dove non è loro riconosciuto nessun diritto. 

Altro tratto caratteristico del rainbow washing è quello di portare sulle pagine social di multinazionali e grandi società esponenti della comunità LGBTQ, con il fine di sponsorizzare i loro prodotti per mostrare quanto il loro brand sia inclusivo.

Per contrastare il rainbow washing è nato il movimento #WhoMadeMyPridemerch (chi ha creato la mia merce per il Pride) ad opera di Izzy McLeod che, attraverso l’omonimo profilo Instagram, denuncia i brand (Adidas, Primark, SavagexFenty e altri) che fanno uso di rainbow washing in modo da far aprire gli occhi ai consumatori e sperare in un cambio di rotta da parte di questi brand.

Il rainbow washing è l’effetto di una società che sfrutta qualsiasi cosa pur di fare soldi. Il target principale sono i giovani poiché le aziende a muovere i primi passi nel rainbow washing sono state quelle che vendono articoli per ragazzi, successivamente anche le aziende con un target adulto hanno visto nella bandiera arcobaleno un simbolo che potesse portare denaro, e hanno quindi deciso di intraprendere questa strada.

Hanno compreso che le persone sono mosse dall’altruismo, non sapendo che in realtà tutto questo serve a nascondere l’indifferenza delle grandi aziende verso le tematiche di genere e che riguardano le persone queer. Quando le aziende inizieranno realmente a voler dare una mano alle comunità LGBTQ, lottando e donando a loro invece che a ricchi politici conservatori, allora si potrà avanzare insieme. Perché il Pride Month non è un momento su cui lucrare, serve per mostrare che siamo fieri di essere ciò che siamo, che tutti hanno il diritto di avere gli stessi diritti. Indossare la maglia con l’arcobaleno per un mese non serve se poi discriminiamo per il resto dell’anno.

Gaia Russo

Eterna bambina con la sindrome di Peter Pan. Amante dei viaggi, della natura, della lettura, della musica, dell'arte, delle serie tv e del cinema. Mi piace scoprire cose nuove, mi piace parlare con gli altri per sapere le loro storie ed opinioni, mi piace osservare e pensare. Studio lingue e letterature inglese e cinese all'università di Napoli "L'Orientale".

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