L’Europa è una zona di libertà LGBTIQ: ma l’Italia?
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Lo scorso 11 marzo è giunta una buona notizia dal Parlamento Europeo: l’Europa si dichiara una zona di libertà LGBTQI. Da questo momento in poi, dunque, non si dovranno più temere azioni e repressione omofobe, in quanto i membri del gruppo LGBTQI potranno essere liberi di mostrare pubblicamente il proprio orientamento sessuale? Non esattamente. La decisione è stata presa infatti in seguito a numerosi atti di omofobia istituzionale in diversi stati europei, in particolare Polonia e Ungheria, ma non è affatto sostenuta unanimemente, anche in Italia.

Tra giugno e luglio 2019 in 20 città polacche ci furono manifestazioni in difesa dei diritti LGBTQI, successivamente alla dichiarazione di alcuni comuni e assemblee comunali come «liberi dall’ideologia LGBT» (l’istituzione della zona di libertà LGBTQI costituisce una risposta proprio a questo tipo di iniziative). Durante il gay-pride di Bialystok, componenti dell’ultradestra nazional-sovranista attaccarono i partecipanti al corteo, lanciando pietre e sacchetti di plastica con urina e sterco, e gli agenti della polizia impreparati ad una manifestazione di odio così violenta.

In Ungheria, invece, sesso e genere sono considerate la stessa cosa dal Parlamento, quindi, il 15 dicembre 2020, ha vietato il cambio di sesso. Lo scorso maggio è stato vietato il riconoscimento legato all’identità di genere delle persone transgender, quindi coloro i quali avevano già concluso il cambio di sesso oppure erano in procinto di farlo, non verranno mai riconosciuti con il sesso in cui si identificano ma solo con quello di nascita. Ancora, le persone gay e lesbiche non possono né adottare né donare sangue se non è passato almeno un anno dall’ultimo rapporto sessuale.

L’odio verso le persone LGBTIQ nel cuore dell’Europa ha trovato lo spazio per esprimersi anche durante le votazioni per la zona di libertà LGBTIQ nel Parlamento Europeo: 492 voti a favore e 141 contro e 46 astenuti, dove i Paesi che hanno espresso più pareri contrari sono stati la Polonia e l’Italia. In particolare, dei 141 voi a sfavore, 31 sono italiani. Gli eurodeputati di Lega e Fratelli d’Italia hanno votato contro, mentre Pd, Movimento 5 stelle e Italia Viva a favore.

La posizione presa dai partiti italiani in Europa per la zona di libertà LGBTQI non sorprende più di tanto. «Spiace che, come purtroppo già avvenuto in passato, Bruxelles cerchi di utilizzare un tema nobile come quello dei diritti come strumento per colpire gli avversari politici dell’attuale maggioranza in Ue: questo è un modus operandi che non possiamo condividere» nota fatta da tre eurodeputate leghiste Annalisa Tardino, Isabella Tovaglieri e Simona Baldassarre contro il riferimento all’articolo 7 nella dichiarazione di legge, utilizzata, secondo loro, «in maniera strumentale per attaccare il popolo polacco». Accusano, inoltre, il Parlamento Europeo di aver creato così delle “corsie preferenziali” per i migranti LGBT, quando in realtà nel decreto legge si fa riferimento al «diritto garantito di asilo e adeguata protezione dei richiedenti appartenenti a gruppi vulnerabili, tra cui le persone LGBTQI» poiché in alcuni Paesi rischiano la pena di morte. Si è cercato di appellarsi all’inappellabile, pur di mettere in cattiva luce una risoluzione che non può far altro che garantire libertà alle persone LGBT, libertà a cui avrebbero diritto dalla nascita.

La realtà italiana è ben lontana dalle decisioni dell’Europa, lungi dall’essere una zona di libertà LGBTQI: solo pochi giorni fa è stata resa nota la notizia di aggressione a due ragazzi omosessuali nella metro di Roma. I due si stavano scambiando dei semplici baci, quando un uomo sulla banchina opposta ha superato i binari per raggiungerli e intimargli «ma non vi vergognate?» seguito poi da colpi inferti ad uno delle due vittime. Non sono mancati sui social le parole di indignazione dei politici italiani, tra cui Giorgia Meloni, la quale ha dichiarato che «queste immagini sono indegne per un paese civile», esprimendo anche solidarietà verso i due ragazzi. La stessa Giorgia Meloni che si è sempre schierata contro la legge Zan perché “introduce il reato di opinione”, quando la discriminazione non è un’opinione.

La notizia di questa aggressione non è la prima in Italia e di certo non sarà l’ultima. L’Italia, da questo punto di vista, non è un paese civile perché non rispetta le libertà altrui, anzi si cerca sempre di reprimere quello che viene recepito come “diverso”, in favore di questa “normalità” imposta da canoni retrogradi e deleteri per un paese che dovrebbe progredire invece di regredire.

Gaia Russo

Gaia Russo
Eterna bambina con la sindrome di Peter Pan. Amante dei viaggi, della natura, della lettura, della musica, dell'arte, delle serie tv e del cinema. Mi piace scoprire cose nuove, mi piace parlare con gli altri per sapere le loro storie ed opinioni, mi piace osservare e pensare. Studio lingue e letterature inglese e cinese all'università di Napoli "L'Orientale".

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