Greta Beccaglia
Fonte immagine: adnkronos.com

Un segno rosso sul viso per aderire alle iniziative promosse in occasione della giornata contro la violenza maschile sulle donne e uno schiaffo sul culo per ricordare, qualora ce ne fosse bisogno, i principi del sistema patriarcale. Il tutto ad appena 24 ore di distanza dal venticinque novembre. Ad aver subito la molestia, in diretta tv, è stata la giornalista Greta Beccaglia.

Inviata da Toscana Tv allo stadio Castellani di Empoli per raccontare gli umori post partita, Beccaglia si ritrova protagonista dell’ennesima molestia consumata a danno di una donna in ambiente calcistico. Ancora vividi risuonano i cori sessisti che centinaia di tifosi, davanti ad altre migliaia di persone, hanno intonato contro una ragazza che stava tosando il campo da gioco prima della partita di Serie A Sampdoria-Inter. E ancora suscitano un eccesso di bile le scene che hanno fatto seguito alla vittoria della Nazionale nella semifinale degli Europei contro la Spagna, quando una ragazza rimasta in topless per una manciata di secondi viene palpeggiata da decine di uomini.

Uomini che si sentono in diritto di toccare senza permesso. Di invadere uno spazio che non è il loro. Di violare un corpo in nome di un presunto spirito goliardico. Ed è proprio la goliardia, assurta a mo’ di giustificazione di quella che invece è una molestia a tutti gli effetti, ad accomunare l’episodio di Greta Beccaglia ad altri molto, troppo simili. La violenza di genere però – occorre precisarlo – non è un problema settoriale, ma sistemico. Eppure, non esaurendosi solo in ambito calcistico, qui riesce a manifestarsi con una disinvoltura disarmante.

Riuniti insieme, infatti, i tifosi spesso finiscono con l’autoalimentare la loro mascolinità performativa, cioè l’insieme di quelle attitudini socialmente costruite il cui scopo non è che una mera dimostrazione di virilità. Una dimostrazione che, nella maggior parte dei casi, si manifesta in un gesto di violenza proprio come quello esercitato nei confronti della giornalista Greta Beccaglia.

Aggredita verbalmente e fisicamente, Greta Beccaglia è stata anche lasciata sola a gestire una situazione di pericolo. Infatti, il suo collega in studio – Giorgio Micheletti – dopo averle suggerito di non prendersela, invita a sospendere la diretta e, come se non bastasse, sminuisce l’intera vicenda sostenendo che, d’altronde, si cresce anche attraverso queste esperienze. Se non fosse per la prevedibilità della risposta, quasi verrebbe da chiedersi quante volte Micheletti è stato palpeggiato da perfetti sconosciuti prima di fare carriera, oppure quante volte il suo corpo è stato reificato e, suo malgrado, sessualizzato. La risposta, ovviamente, è nessuna. D’altra parte, la molestia come esperienza di formazione la si riserva solo alle donne. Le stesse alle quali si augura lo stupro come strumento rieducativo.

Perché è esattamente questo ciò che fa il patriarcato: usa la violenza e la prevaricazione per educare e, all’occorrenza, rieducare le donne alla sopportazione. Così facendo, di generazione in generazione, si assicura di tramandare quella passività che gli è funzionale per riuscire a mantenere il sistema immutato.

Se per fare carriera bisogna sopportare in silenzio e farsi andar bene anche una molestia sessuale allora nessuna potrà mai dirsi realmente libera o sicura nel denunciare. Questa volta, però, le cose sono andate diversamente. Greta Beccaglia, infatti, ha utilizzato i social per raccontare pubblicamente l’accaduto e adesso il suo molestatore, individuato dalle forze dell’ordine, è indagato per molestie e violenza sessuale.   

Ma se l’atteggiamento del tifoso – malgrado le scuse e lo status di pater familias, che automaticamente lo trasformano da molestatore a “brava persona” – verrà perseguito per vie legali, rischiano invece di restare impunite le parole di Micheletti. Parole con cui, più o meno consapevolmente, il giornalista ha minimizzato l’accaduto, silenziato la collega Greta Beccaglia, e contribuito a normalizzare l’ennesimo episodio di violenza di genere. E non riconoscere l’importanza del linguaggio impiegato è una forma di connivenza nei confronti di chi quella violenza l’ha praticata oltre che, naturalmente, un privilegio dalla cui fruizione le donne restano escluse.

Virgilia De Cicco 

Virgilia De Cicco
Ecofemminista. Autocritica, tanto. Autoironica, di più. Mi piace leggere, ma non ho un genere preferito. Spazio dall'etichetta dello Svelto a Murakami, passando per S.J. Gould. Mi sto appassionando all'ecologia politica e, a quanto pare, alla scrittura. Non ho un buon senso dell'orientamento, ma mi piace pensare che "se impari la strada a memoria di certo non trovi granché. Se invece smarrisci la rotta il mondo è lì tutto per te".

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