Goliarda Sapienza
Goliarda Sapienza

Un’autobiografia frantumata

Goliarda Sapienza, grande artista, scrittrice e attrice, ha vissuto il mondo della seconda metà del ‘900 da donna affamata di indipendenza, impegnata in una corsa sfrenata verso l’emancipazione emotiva, intellettuale e sociale.
Goliarda utilizza la scrittura come un metodo di indagine: la parola è chiarificatrice e contribuisce al recupero dei suoi ricordi, alla loro elaborazione e allo svelamento dei caratteri nascosti dietro alle maschere che la circondano. Scrive di sé selezionando e rintagliando gli episodi per lei più formativi, creando una raccolta di cinque momenti della propria vicenda interiore, politica e letteraria. Reinventa il genere allontanandosi dall’autobiografia (intesa come un racconto introspettivo del proprio passato partendo dal presente) e, come evidente in Lettera aperta, punto di inizio e narrazione della sua infanzia e giovinezza, frantuma il tempo del racconto lasciandosi ispirare dal Tristam Shandy di Laurence Sterne. Il presente si sovrappone con il passato, i traumi più atroci fanno sentire i loro gelidi artigli durante le notti e i sogni più tormentati, i personaggi sbucano dalle pieghe della memoria e lo scorrere degli eventi non rispetta alcun ordine cronologico ma è soggetto a continui flashback.
In “Il filo del mezzogiorno”, Goliarda Sapienza ricuce insieme il suo passato con l’aiuto di uno psicologo, che le fa da interlocutore. I capitoli stessi sono concatenati tra loro: privi di titolo, hanno come incipit le ultime parole del precedente, anticipati da tre punti sospensivi. Quello dell’autrice è un flusso di pensieri, sconnesso e ordinato dal suo medico, figura ambigua e solo apparentemente professionale, alla stregua del famoso dottor S. di Italo Svevo.

La responsabilità delle scrittrici donne

Goliarda è sopravvissuta a due tentativi di suicidio (o forse a uno solo, o forse a nessuno perché forse non ha mai davvero voluto morire), è il mezzogiorno della sua vita e il suo medico prende voce spingendola, tramite il raccontare e l’interpretare i suoi sogni a comprendere gli equilibri relazionali che la vedono protagonista e lo fa passando continuamente dalla dimensione onirica a quella reale e concreta.

«Lei, come tutti i malati non vuole guarire e vuole proteggere la sua malattia che ormai, nella lunga convivenza è divenuta in lei, nelle sue emozioni, si è confusa con la vita stessa [..] lei si è identificata con la malattia»

In cura per la depressione, Goliarda ha come modello femminile quello di sua madre che a differenza delle altre donne leggeva e la motivava a fare altrettanto, nonostante e a causa gli uomini che le erano e le sarebbero stati accanto. Il rapporto con la madre è quello che ha più spazio durante il suo periodo di cura e, raccontandoselo, si rende conto di come, per tutta la sua infanzia, abbia solo desiderato di accattivarsi il suo affetto. Figura austera e autoritaria, non la faceva mai sentire amata e l’aveva inconsciamente spinta a mascherare il suo amore in timore. Catania, aspra, accogliente, scomoda e generosa, sua terra natìa, si sovrappone all’immagine del caldo ventre materno dal quale Goliarda si è dovuta allontanare troppo presto.

Spinta da una propria passione e dall’urgenza di emancipazione devoluta da sua madre, quando iniziò a scrivere sentiva sulle spalle il peso di tutte le donne che le erano «inchiodate intorno, sulle sedie dell’anticamera» derelitte, vittime del patriarcato che nella Catania degli anni 40 opprimeva e regolava tutta la società. Questo peso le fa nascere un profondo senso di responsabilità poiché una donna che scrive non può farlo come gli uomini, non può tradire le sue sorelle. A complicare il suo lavoro è però il fatto che lei stessa non riesce ad incasellarsi perfettamente all’interno di uno stereotipo di genere. Goliarda Sapienza sin da bambina scopre di provare l’amore romantico sia per le donne che per gli uomini, rifiuta di comportarsi come una signorina dedicandosi alla boxe con uno dei suoi fratelli e disquisendo a tu per tu con il suo insegnante Isaya. I suoi gusti letterari e cinematografici sono inoltre eclettici: non vuole tarparsi le ali limitandosi alla stesura di romanzi femministi e sente di essere mossa dalla spavalda spinta dell’ispirazione maschile (nel romanzo postumo “Io, Jean Gabin si racconterà da bambina, quando si identificava totalmente nell’attore, icona anarchica del cinema francese)
Tutto diventa politico in un mondo che non prevede l’uguaglianza di genere. L’autrice parla di Titina, la prima donna che ha mai conosciuto al di fuori del suo nucleo famigliare e la descrive come una mascolina perché intelligente e intraprendente, in tailleur nero, scarpe basse e senza trucco. Chissà come sapeva anche essere femminile, ma sia gli uomini che le femministe la volevano come un maschio per non farle mai perdere di credibilità. Titina ha le mani da ragazzetto, sempre agitate come le ali di un uccello pronto a volare e a nutrirsi, ha la pelle bianchissima e malinconica, la bocca rossa come un fiore e il suo essere bianca, nera e rossa la rende una bandiera, pronta a sventolare per imporre la sua voce, la sua essenza e la ideologia.

Maschilismo in terapia

Dalla terapia Goliarda Sapienza riscopre gli episodi traumatici che ha vissuto da bambina e i suoi carnefici sono sempre stati uomini, a lei vicinissimi, come lo stesso padre. Si definisce come un burattino di legno, col cuore a ingranaggi ma fermo e senza lancette: il caos del suo tempo interiore è identificato come una matassa di lana bianca, che si confonde con capelli canuti che a breve le copriranno il capo, quella matassa cresce incontrollata, fino a soffocarla e la schiaccia impedendole di esprimere se stessa e di capirsi.
Come anticipato, il medico di Goliarda mette da parte tutta la sua professionalità anteponendo i suoi pregiudizi maschilisti. I pensieri della sua paziente non sempre vengono presi sul serio o semplicemente il suo punto di vista viene spesso ridimensionato perché non può essere all’altezza di quello di un uomo: in un mondo di nevrotici i problemi delle donne non possono essere chissà quanto reali e, soprattutto, la terapia si sposta immediatamente su un linguaggio romantico e non professionale.
Goliarda Sapienza attua quello che in psicologia prende il nome di transfert (il paziente sposta sul terapeuta i propri conflitti intrasoggettivi che, a loro volta, sono residui delle relazioni vissute nell’infanzia) e, viste le sue difficoltà relazionali con l’altro sesso, crede di essersene innamorata.

«Sì, so che si sta innamorando di me, ma perché si spaventa tanto? [..] lei è una donna ..signora anche se l’hanno costretta ad agire come un uomo è una donna.. non crede?»

Ricco delle sue attenzioni, decide di non indirizzarla presso un altro terapeuta, sebbene la paziente ne manifestava il bisogno e le sue parole nei confronti di Citto, unico uomo con cui Goliarda ha potuto costruire una relazione sana, sono atte a ridimensionarlo. Una volta raggiunto il suo equilibrio, l’autrice smise di vederlo e, dopo anni, scoprì che lo psicologo smise di praticare perché, a sua detta, non credeva nella sua professione: l’unico rapporto che desiderava costruire con lei era ambiguo e manipolatorio, dall’alto della sua posizione di dominio e di potere.

Alessia Sicuro

Alessia Sicuro
Classe '95, ha conseguito una laurea magistrale in filologia moderna presso l'Università di Napoli Federico II. Dal 2022 è una docente di lettere e con costanza cerca di trasmettere ai suoi alunni l'amore per la conoscenza e la bellezza che solo un animo curioso può riuscire a carpire. Contestualmente, la scrittura si rivela una costante che riesce a far tenere insieme tutti i pezzi di una vita in formazione.

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