Ritratto di Giulia Cecchettin, femminicidio
Ritratto di Giulia Cecchettin a cura di Gianluca Costantini

C’è forse una lettura parziale e semplicistica che la nostra comunità sta facendo in queste settimane in seguito all’assassinio di Giulia Cecchettin, giovane donna di 22 anni, la quale si sarebbe dovuta laureare quel fatidico giovedì 16 novembre. La facilità con cui la società ha provato a darsi una spiegazione è ardua da condividere, seppure la si comprenda come necessità di mettere subito ordine a un evento che ha sconvolto il Paese e le nostre singole vite.

Giulia Cecchettin poteva essere chiunque, anche una figlia, nipote, sorella, cugina o amica; Giulia poteva essere la ragazza della porta accanto, del piano di sopra, la ragazza che la notte suonava meravigliosamente il pianoforte, la ragazza quale è ed è stata. Ma attenzione a dare risposte, soprattutto quelle semplicistiche tipiche di una società che non è pronta a svolgere un esame di realtà ma che cerca subito di categorizzare, velocizzare l’elaborazione del lutto facendosi forza attraverso una sorta di inconscio collettivo junghiano. Ci sono dei tempi che andrebbero rispettati, per ciascuno, anche nel processo di analisi a cui non siamo più abituati perché costa impegno, sacrificio, dedizione e studio. Interrogarsi sì, ma con sospetto, con margini di dubbio, mettendo da parte risposte preconfezionate distanti dalle analisi di realtà e personologiche delle parti coinvolte. 

Ecco, il problema del femminicidio esiste, esiste davvero, non ci troviamo dinanzi a un delirio comunitario femminista; il punto è credere che un fenomeno così crescente possa essere spiegato in una visione monofattoriale, dunque chiusa, ristretta, che non tenga conto di una serie di variabili epocali, contestuali/situazionali ma anche dello stesso fatto o accadimento. Ci hanno abituati a pensarla come vogliono i media ed è questa la strada più facile che percorriamo quando ha origine un problema o c’è da fronteggiarlo. La violenza di genere prevede che ci siano naturalmente delle parti, nonché uno squilibrio di poteri: c’è in qualche modo una forma di “legittimazione” reciproca, una componente attiva e una componente passiva, seppure le dinamiche e gli stessi ruoli potrebbero modificarsi in una fase successiva. Dal momento in cui parliamo di “parti” esiste necessariamente una complessità individuale che non andrebbe spiegata solo come il mancato superamento del complesso edipico, oppure come la presenza di personalità narcisistiche o dipendenti; un fenomeno che coinvolge le persone è necessariamente un fenomeno dalle tante sfumature, che ha bisogno per essere compreso e prevenuto di un approccio multidimensionale, nonché di un lavoro integrato dei saperi, nell’umiltà di restare nei propri ruoli e conoscenze. Questo per ricordare che forse la violenza di genere, la violenza – in genere – non è solo materia della polizia, dei ministri o degli psichiatri, c’è invece bisogno di partecipazione affinché si inneschi un processo di consapevolezza

Sarebbe utile per comprendere al meglio un fenomeno come il femminicidio distinguerlo invece dall’uccisione di una donna per mano di chiunque, come nel caso di una rapina, un borseggio, etc.; gli esempi potrebbero essere svariati, ed è importante sottolineare la differenza: nel femminicidio, con l’uccisione della donna, si rimarca il suo essere donna e dunque sottomessa: in questo caso la “sua” morte è solo la punta dell’iceberg di una società che in maniera dominante vede la donna subalterna all’uomo, priva di ogni capacità di autodeterminarsi. È questo chiaramente il caso che ha coinvolto Giulia Cecchettin. Comprendere questa differenza può aiutare la comunità a conoscere la portata del femminicidio e la sua pervasività, ma anche le politiche di prevenzione da attuare. Compiere una distinzione del genere costa impegno, ma potrebbe risultare utile a individuare una serie di variabili costanti rappresentative di un possibile femminicidio. Basti pensare che l’uccisione della donna è solo la fine di un processo già iniziato, con degli elementi spesso manifesti, evidenti, gli stessi che potrebbero portare a una maggiore prevenzione e attenzione da parte dell’intera comunità.

Infine, come ben sappiamo, i modelli culturali di una società possono essere sostituiti, il processo sostitutivo può portare a delle modifiche o comunque a dei cambiamenti a cui spesso hanno chiesto di adattarci, seppure con modalità subliminali e tutt’ora discutibili. Questo significa, però, che non necessariamente i nuovi valori verranno proposti in un’ottica evolutiva: può accadere che dei valori presenti nei nuovi modelli culturali siano invece regressivi. Saperlo ci pone in una posizione di riduzione del danno, ignorarlo non farà altro che peggiorare le cose. Basti pensare a una vecchia pratica che vige tutt’ora, ovvero il rivolgersi al maschio che piange: “smettila di piangere, piangono solo le femminucce, tu sei forte, sei un maschio”. Ecco, questo è un retaggio che esiste e che purtroppo alimenta la visione della donna, ma soprattutto del pianto – che in realtà è una manifestazione fisiologica più che normale – come un fattore di debolezza e dunque un fattore di natura esclusivamente femminile. In questo modo si pianta il seme dello stigma, dello stereotipo fin dai primi vagiti nell’inconscio e poi nel subconscio dei figli maschi, soprattutto a non accettare che nell’uomo, a livello antropologico, coesistono le due componenti maschili e femminili; è importante che ciascun bambino/a riconosca le parti, le faccia in qualche modo confrontare e convivere, non vi è alcuna necessità che queste parti vadano in conflitto in una prospettiva di prevaricazione.

La morte di Giulia Cecchettin non sarà l’ultima, nonostante sia desiderio comune – o quasi – che non vi sia un’altra Giulia uccisa perché donna, autonoma, indipendente. Sarebbe invece possibile ridurre drasticamente il fenomeno se solo ci fosse da parte dell’intera comunità la volontà di capirne di più, con senso di responsabilità e genuina partecipazione. E questo anche e soprattutto da parte delle istituzioni. 

Bruna Di Dio 

(In evidenza: l’illustrazione dedicata a Giulia Cecchettin da Gianluca Costantini, in occasione della Giornata Internazione contro la violenza sulle donne. Tutti i diritti spettano esclusivamente all’autore.)

Bruna Di Dio
Intraprendente, ostinata, curiosa professionale e fin troppo sensibile e attenta ad ogni particolare, motivo per cui cade spesso in paranoia. Raramente il suo terzo occhio commette errori. In continua crescita e trasformazione attraverso gli altri, ma con pochi ed essenziali punti fermi.

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