Ecofascismo, cos'è e perché non può essere considerato ambientalismo
Fonte: Illustration by Delcan & Company + Julia Grayson via newrepublic.com

L’Ecofascismo tenta di farsi strada nei cuori e nella mente dei movimenti ecologisti, per arrivare ad inglobare l’ambientalismo. Lo fa silenziosamente eppure fragorosamente, come la crescita rigogliosa degli alberi della metafora di Lao Tzu.

Esso si può delineare come una nuova forma di totalitarismo, pervicace e sincretico, che coniuga capitalismo, etnonazionalismo e ambiente. Si tratta di una deriva autoritaria che scaturisce dall’incertezza economica e sociale della crisi climatica, si combina alla propensione politica verso il sovranismo e l’anti-progressismo, e dissemina coercizione, distruzione ed egoismo.

Un solipsismo placebo, tanto fascinoso quanto pericoloso, non risponde con efficacia a nessuna delle questioni epocali che le problematiche ambientali ed ecologiche pongono.

Alla radice dell’Ecofascismo

Innanzitutto non si tratta di una trovata recente: l’ecofascismo conserva radici ideologiche antiche e robuste, che affondano nel suolo, oggi di rinnovata fertilità, della questione dell’identità in relazione alla natura e allo status che essa ha perduto nella vita dell’uomo.

Si può risalire fino alla comunione tra popolo e ambiente di matrice romantica, o alle teorie malthusiane di controllo demografico, fino alle derivazioni del darwinismo in ambito eugenetico applicate dai governi europei ed americani nella seconda metà del XIX secolo, ma quando si parla di ecofascismo, soprattutto, non si può prescindere dai contributi filosofici che hanno sostenuto direttamente o indirettamente i grandi totalitaristi fascisti del secolo scorso.

Si parla di Ernst Heinrich Haeckel, padre del monismo olistico, che impone un ordine di selezione basato sulle perpetue leggi della natura (non a caso coniatore stesso del lemma “ecologia”), e propugnatore del “darwinismo applicato” (applicato e teorizzato in ambito sociale da Herbert Spencer). Ma anche dell’insieme di interpretazioni, considerazioni e riflessioni sollevate dala questione della tecnica” di Martin Heidegger, la quale paventa l’avvento di una sopraffazione tecnocratica dell’essere e auspica un ritorno all’etica originaria, e da altri “fraintendimenti”.

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Gli alberi che formano una svastica in Germania, parte della propaganda naturalista del nazismo. Fonte: Adam Tanner/UPPA/Zuma Press via Newscom

Infine alle applicazioni geo-politiche di quest’insieme di stimoli filosofici, che conducono direttamente all’ecofascismo “pragmatico”: dalla concettualizzazione del colonialismo francese di de La Blache alla definizione del “lebensraum” di Ratzel (lo “spazio vitale” delle popolazioni germaniche nell’est europeo) ripreso dal nazismo.

Proprio il nazionalsocialismo compone buona parte del proprio bagaglio ideologico integrando l’integralismo ecologista con il nazionalismo e l’antisemitismo, sigillandoli nel rifiuto dei principi del materialismo.

L’attenzione e la sensibilità verso la natura che personalmente lo stesso Adolf Hitler non ha mai mancato di sfoggiare, sono la prova dell’importanza politica e comunicativa di queste radici, esemplificata anche nell’ambito dell’azione di governo del Terzo Reich. La difesa del retaggio era anche la difesa della terra e della natura (“Blut und Boden“).

La riscossa ecofascista in tempo di crisi climatica

L’ecofascismo è dunque di matrice antica, ma comunque inedito: il “brand” dell’integralismo naturalista a tinte marcatamente socio-politiche è stato doviziosamente recuperato, aggiornato e attualizzato da varie emanazioni della Destra e dai governi autoritari, in quanto funzionale a fare da collante politico-sociale e da prezioso ariete ideologico. Un vero e proprio cavallo di Troia, che ambisce a varcare la cinta muraria dell’ambientalismo, collocato politicamente soprattutto a Sinistra.

Infatti, la consistente adesione ai movimenti ecologisti e l’approfondimento della sensibilità ambientale presso l’opinione pubblica occidentale e mondiale degli ultimi anni, e la possibilità di richiamo al tradizionalismo anti-progressista che contiene, ha spinto gli strateghi conservatori della profilazione politica, a servirsi anche del nuovo del topic “green” per parlare ad una grossa fetta dell’elettorato, spaventata dalla crisi climatica e/o nostalgica di condizioni di vita perdute e percepite come più autentiche.

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Una partecipatissima manifestazione del movimento Extinction Rebellion. Fonte: extinctionrebellion.it

Si tratta di una prassi in fieri, poco percepita, ma già presente presso la base dei simpatizzanti e già sfruttata dai vertici politici di varia estrazione. Un’esempio particolarmente pressante è quello della destra suprematista americana e anglosassone: quest’ultima, mentre nega il cambiamento climatico, è riuscita a sovrapporre degrado ambientale e fenomeni migratori, ed a contrapporre in modo binario l’ordine naturale alla degenerazione della società contemporanea, specie attraverso i circoli online dell’alt-right frequentati soprattutto da giovanissimi.

Il radicalismo di queste posizioni, e la loro pervicacia, è sfociato in due attentati omicidi di matrice terroristica nel 2019: quello di El Paso (Stati Uniti) contro i latini e quello di Christchurch (Nuova Zelanda) a danno della comunità musulmana, entrambi ispirati dalle teorie dell’ecofascismo malthusiano ed etno-nazionalista (come dichiarato nei propri manifesti ideologici dagli stessi giovani attentatori).

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Un ritratto dell’ecofascismo. Fonte: patriotpost.us

Ma si muovono in questa direzione anche i leader autocratici ed autoritari ai confini dell’Occidente ed al di fuori di esso, che identificano l’ambiente come agone della lotta politica per l’egemonia, spesso sulla pelle delle minoranze etniche, delle comunità più fragili, o dei migranti.

Sono le svolte etno-ambientaliste, come quella “duginiana” della nuova costituzione voluta da Vladimir Putin (che vieta l’alienazione della terra mentre riconosce il popolo russo come solo fondatore dello stato), oppure le innumerevoli guerre delle risorse, come quelle dell’acqua e delle materie prime, che si combattono sulla frontiera indo-pakistana e indo-bangladese, oppure nella provincia del Katanga nel Congo ex-Zaire.

L’ambientalismo non è sciovinismo, ma rivoluzione

La giornalista ed intellettuale Naomi Klein identifica questi fenomeni come manifestazioni di una futura barbarie climatica: l’affermarsi di totalitarismi nazionalisti, patriarcali e naturalisti, che stilano classifiche di valore della vita umana su basi etniche per contravvenire ai disastri ambientali, potrebbe costituire la più estrema conseguenza dell’affermazione delle idee politiche e filosofiche sopracitate.

Se l’egemonia culturale delle destre scioviniste e reazionarie incalza verso la (ri)appropriazione ideologica dell’ambientalismo per fagocitare anche il boccone forse più ghiotto del dibattito pubblico contemporaneo, deve essere chiaro che l’ambientalismo, come movimento culturale e politico con obiettivi di lungo periodo e non negoziabili, non potrà mai corrispondere all’ecofascismo.

Questo perché ne tradisce lapalissianamente le aspirazioni e gli afflati valoriali: l’ambiente, da bene comune da dividere equamente secondo lo spirito di solidarietà umana e da improntare alla sostenibilità, diviene una sorta di sacrario mistico dell’ethos, usato per rinverdire (è proprio il caso di dirlo) le più violente narrazioni nazionaliste, funzionali agli obiettivi geo-politici.

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The Handmaid’s Tale, romanzo di Margaret Atwood e poi serie TV, tratteggia brillantemente una distopia politica dai tratti ecofascisti. Fonte: hotcorn.com

Ma anche perché non ne lambisce i nodi problematici: il modello di sfruttamento economico delle risorse attuale, infatti, non viene messo in discussione, in nome della tutela degli affari di quella classe dirigente ed imprenditoriale che è la prima responsabile dei catastrofici danni ambientali ai quali assistiamo. Paradossalmente scettico circa l’incidenza stessa dei cambiamenti climatici, l’ecofascismo non ne riconosce o ne affronta le cause ma ne strumentalizza gli effetti (la questione delle migrazioni climatiche ne è l’esempio più lampante).

L’ambientalismo è consapevolezza, partecipazione democratica collettiva. È rivoluzione ecosocialista, ossia una profonda rielaborazione della convivenza sociale e ambientale, non sciovinismo e conservazione dello stato di natura, che manipolano la realtà, pongono gli esseri umani gli uni contro gli altri e non aiutano in nessun modo il nostro pianeta. Un malinteso che nasce da un fraintendimento di base, eppure possibile e probabile, perché soluzione più immediata ed egoistica alla crisi che attraversiamo.

Come avviene nella storia di ogni movimento politico di massa, anche l’ambientalismo deve combattere una battaglia insidiosa, oltre a quella epocale per il pianeta: quella della perversioni ideologiche dell’ecofascismo.

Luigi Iannone

Luigi Iannone
Classe '93, salernitano, cittadino del mondo. Laureato in "Scienze Politiche e Relazioni Internazionali" e "Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica". Ateo, idealista e comunista convinto, da quando riesca a ricordare. Appassionato di politica e attualità, culture straniere, gastronomia, cinema, videogames, serie TV e musica. Curioso fino al midollo e quindi, naturalmente, tuttologo prestato alla scrittura.

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