mara carfagna
Fonte immagine: iltempo.it

In uno scenario nostalgico e circense, in cui a farla da padrone sono gli equilibrismi di facciata a tutela di una stanza dei bottoni tutta al maschile, il ritorno all’esecutivo della berlusconiana Carfagna non è la notizia peggiore degli ultimi giorni. Già Ministro delle Pari Opportunità dal 2008 al 2011, poi Vice Presidente della Camera nel 2018, firmataria di leggi importanti contro il femminicidio e la violenza di genere, donna, salernitana: Mara Carfagna è il nuovo Ministro per il Sud e la Coesione territoriale dell’attesissimo Governo Draghi.

Ma essere del Sud basta per esserne ministro?

Vittoria mutilata

Il Women’s Act, l’introduzione del reato di stalking, la legge “Codice Rosso” che introduce in Italia il reato di matrimonio forzato e l’istituzione di un fondo per le famiglie affidatarie di orfani di femminicidio, la collaborazione con la Senatrice Valeria Valente del PD per l’istituzione di una Commissione parlamentare sul femminicidio. E ancora, la campagna di comunicazione #nonènormalechesianormale condotta in collaborazione con la ministra Elena Bonetti e il Ministero delle Pari Opportunità e il sostegno alla legge contro l’omotransfobia – ad ideale redenzione di espressioni penose della deputata forzista in passato – e l’Associazione Voce Libera. Mara Carfagna sembra abbia fatto delle pari opportunità e del contrasto ad ogni forma di disuguaglianza e violenza la sua missione, nonostante la sua appartenenza ad un partito guidato da chi ha sempre contribuito a diffondere una politica machista, volgare e irrispettosa nei confronti delle donne.

Nel governo Draghi, però, la 45enne salernitana dovrà derogare all’impegno sul piano dell’empowerment femminile e alla proposta di nuove misure per liberare la donna dal giogo di tutte le violenze e gli obblighi attribuitele da Dio, Patria e Famiglia. Dovrà occuparsi di Sud e coesione territoriale, raccogliendo l’eredità del Piano Sud 2030 lasciatole dall’ex Ministro Provenzano, non riconfermato dal nuovo esecutivo.

Non conta dunque l’esperienza pregressa, né i risultati raggiunti e tantomeno i progetti già posti in essere: da Provenzano alla Carfagna, l’attribuzione dei ruoli del neonato governo segue traiettorie apparentemente incomprensibili.

Il gioco delle parti

Certo è che rimane un interrogativo: perché a Mara Carfagna sia stato affidato il Ministero, senza portafoglio, del Sud a dispetto di una storia politica verticalizzata su altri fronti?

Sarà mica che il Governo, formato per la maggior parte da ministri lombardi, crede che il luogo di nascita sia condizione sufficiente e necessaria per occupare una determinata posizione ministeriale? O forse, in un drastico cambio di prospettiva, la chiave di lettura corretta è porre l’accento proprio sulla storia politica di Mara Carfagna: una donna a cui assegnare forzatamente un Ministero per la sua appartenenza partitica. Vale la pena ricordarlo, la deputata di Forza Italia è stata negli ultimi mesi un argine contro gli sproloqui insensati e pericolosi del sovranismo e le politiche inutilmente assistenziali del populismo, e forse proprio per questo motivo è stata “premiata”.

Oppure – cosa che potrebbero affermare i malpensanti e mai chi scrive – queste congetture sono da considerarsi roba di poco conto in quanto l’assegnazione dei Ministeri, specie quelli senza portafoglio, potrebbe aver dovuto seguire logiche differenti rispetto all’attribuzione per merito e competenze. Piuttosto pare si sia trattato di una partita al testosterone giocata attraverso una manifestazione di forza nel campo nelle trattative e contrattazione, dalla quale è emerso che, fuori da ogni dubbio, la destra ha doti “mascoline” più ingombranti della sinistra, mentre i 5 stelle restano agli angoli del ring.

Considerando che la preoccupazione al dilagare di una certa politica è appannaggio esclusivo dei più romantici, l’opzione “tavolo da gioco” (sebbene, come detto, appartenga ai malpensanti) potrebbe rivelarsi la più fedele, ma anche la più preoccupante. Questo è vero tanto più che nel Governo dei Ministri Lombardi agli Affari Regionali sia capitata Mariastella Gelmini e il MISE sia nelle mani della compagine leghista, nella figura di Giancarlo Giorgetti. Roba che l’invasione delle cavallette sarebbe stata guardata con maggiore sollievo.

L’unico auspicio è che Mara Carfagna, in forza del suo ruolo in Forza Italia e della sua decennale esperienza parlamentare, abbia margine di manovra per arginare il pericoloso chiacchiericcio di una certa Lega e per scongiurare eventuali redistribuzioni dei fondi del Recovery Plan a favore di una sola parte geografica del paese e, ancora, che le sia concesso avere voce in capitolo in un governo in cui essere donna e meridionale non sembra essere così facile.

Non ci resta che…la Carfagna

Insomma, pur essendo ben lontani dalla determinazione caparbia di Elly Schlein o dalla risolutezza immaginifica della Ocasio-Cortez dovremo abituarci a guardare alla Carfagna come a una sorta di baluardo contro l’orda un tempo secessionista, un tempo antieuropeista, un tempo tutto il contrario di tutto.

E per quanto frustrante possa essere riporre le speranze in un esponente di Forza Italia, è bene ripetersi quanto Mara Carfagna sia stata prolifica nell’affrontare i temi della violenza di genere e dell’empowerment femminile.

Senza dubbio, guardando le notizie degli ultimi giorni, sarebbe cosa buona e giusta se sui giornali o nelle tv la si smettesse di apostrofarla prima come soubrette e poi come politica. Oppure, al massimo, si potrebbe iniziare ad assumere lo stesso identico atteggiamento nei confronti di Grillo, capo-comico a tutti gli effetti di un movimento aterosclerotico, o di Salvini, ricordandogli i cori contro il meridione risalenti a non più di dieci anni fa. Perché l’esercizio della memoria a lungo termine non può riguardare solo il passato personale delle donne e non avventurarsi mai nelle palesi contraddizioni degli uomini.

Nel frattempo, a voler tirare le somme della situazione politica italiana, non ci resta che piangere. Non ci resta (quasi) che Mara Carfagna.

Edda Guerra

Edda Guerra
Classe 1993, sinestetica alla continua ricerca di Bellezza. Determinata e curiosa femminista, con una perversa adorazione per Oriana Fallaci e Ivan Zaytsev, credo fermamente negli esseri umani. Solitamente sono felice quando sono vicino al mare, quando ho ragione o quando mi parlano di politica, teatro e cinema.

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