Walter Sabatini
Walter Sabatini durante la conferenza stampa di presentazione alla Salernitana.

Ci sono personalità che hanno segnato indelebilmente la scena calcistica italiana, stravolgendo completamente i canoni secondi i quali venivano concepite alcune specifiche mansioni: in questa ristretta cerchia di elementi rientra Walter Sabatini, croce e delizia delle società per le quali ha prestato servizio come calciatore e come dirigente. Passionale, istrionico, eclettico, smisuratamente vero e sincero: Sabatini è certamente il contrario di una persona facile da gestire, ma allo stesso tempo è in grado di conferire ai contesti ai quali si approccia quella giusta dose di aspettative ed entusiasmo che poi inevitabilmente generano risultati.

Quando Sabatini è stato presentato alla Salernitana, qualcuno ha giudicato – in maniera neanche troppo velata – la sua scelta come un prepotente downgrade nella carriera dell’ex Roma: la verità è che Walter non poteva capitare in nessun altro contesto che non fosse Salerno, intorpidita, nonostante la promozione, da dieci anni di gestione Lotito (Mezzaroma), manco a dirlo vecchia conoscenza del fu Wolf of Trigoria. Una scintilla passionale, un matrimonio inevitabile suggellato da un presidente con una lungimiranza fuori scala: la speranza, quindi, è che il destino non guasti ciò che sembra essere montato ad arte per portare la favola granata ad una clamorosa, ancorché degna, conclusione.

Walter Sabatini, storia di successi

Ma perché Sabatini è l’uomo giusto nel momento più adatto? In primo luogo perché, dopo alcune turbolenze vissute tra Pallotta (Roma), Suning (Inter), Ferrero (Sampdoria) e Saputo (Bologna), l’attuale direttore sportivo della Salernitana aveva necessità di trovare un contrappeso alla sua irrequietezza professionale, e in questo senso Iervolino sta dimostrando di essere il perfetto domatore del fuoco sacro che arde nel cuore di Sabatini e che gli ha sempre permesso di svolgere il suo lavoro nel migliore dei modi. Secondariamente, la Salernitana aveva disperato bisogno di un professionista con una consolidata esperienza sui grandi palcoscenici e che, inevitabilmente, disponeva di un pacchetto di contatti spendibili per poter costruire un instant team competitivo: in questo modo sono arrivati quegli elementi che fino a questo momento si stanno dimostrando imprescindibili nel progetto della rimonta miracolosa, e quindi Verdi, Fazio (gigantesco, dopo un inizio al di sotto delle aspettative), Radovanovic, Sepe.

Sabatini e i giovani

Poi ci sono l’intuizione, la lungimiranza e anche quella nota di follia che hanno reso possibile la conclusione di operazioni di mercato che hanno portato in Serie A talenti (semi)sconosciuti che ne hanno segnato la storia recente e che hanno fatto le fortune di molte squadre. In particolare, nella sua esperienza alla Lazio, vissuta in due riprese, ha prima lanciato Nesta e Di Vaio (1992-1994) e poi ha portato nella Capitale elementi come Kolarov e Lichtsteiner (2004-2008), che hanno poi avuto delle carriere discretamente vincenti. Nel mezzo, intanto, l’esperienza a Perugia dove ha svezzato uno dei giocatori più significativi della storia del calcio italiano, Gennaro Gattuso, che – destino vuole – insieme a Di Vaio è stato uno dei pilastri dell’ultima Salernitana in Serie A prima di quella attuale. È al Palermo di Zamparini, poi, che ha consolidato ulteriormente la sua reputazione di direttore sportivo con un occhio particolarmente attento ai giovani crack: ai rosanero, infatti, consegna il trittico Ilicic-Pastore-Glik, che insieme a Miccoli e Cavani (passato al Napoli nel 2010) hanno formato quel Palermo capace di raggiungere l’Europa per due stagioni consecutive (2009-2010 e 2010-2011).

I risultati conseguiti con i siciliani hanno spinto, nel 2011, la nuova proprietà americana della Roma a puntare su quello che sarebbe stato poi denominato The Wolf of Trigoria, reduce da un anno di stop per motivi personali. Qui l’exploit, dove Sabatini ha scolpito il suo nome nella pietra, consacrandosi come miglior d.s. in Italia insieme a Beppe Marotta. Dall’altra parte del Tevere, infatti, ha portato nomi ancora attualmente pesanti in ambito internazionale, come Marquinhos, Salah, Alisson, Pjanic, Dzeko e Nainggolan. E poi, ancora, Benatia, Manolas, Lamela e Iturbe (che venne strappato alla concorrenza della Juventus dal Verona nel 2014 quando era ritenuto un talento assoluto, salvo poi deludere clamorosamente le aspettative). La Roma plasmata sotto la sua guida è stata l’unica squadra, insieme al Napoli guidato da Sarri, a contendere seriamente il titolo alla Juventus nei dieci anni di egemonia bianconera ed è stata quella sulla quale si è costruita la squadra che, nel 2018, dopo l’addio del d.s., ha raggiunto le semifinali di Champions League contro il Liverpool.

Sabatini e Salerno: il filo rosso con la tifoseria

Questa stessa attitudine è stata conservata anche a Salerno, dove Sabatini ha portato elementi ignoti che stanno scrivendo la storia di una insperata salvezza: Ederson, Bohinen e Mazzocchi. Per il primo già si parla di un prepotente interessamento da parte del PSG, che se si dovesse concretizzare porterebbe a Iervolino una plusvalenza record in tempi altrettanto incredibili. Se si dovesse ragionare solo in termini economici, quindi, già solo questo basterebbe a certificare il successo parziale del primo progetto granata dell’era post-Lotito. Ma c’è il campo, giudice ultimo e imparziale di un percorso che, a prescindere dall’esito, ha ridato slancio e vitalità ad una comunità di tifosi che vive il calcio con una passione viscerale, furibonda. Esattamente come Sabatini, che ha trovato nella piazza salernitana uno specchio in cui riflettere il proprio trasporto emotivo, le proprie speranze e i propri timori. La verità è che, viste le premesse, non sarà l’esito del discorso salvezza a determinare il successo o il fallimento dei primi mesi di gestione sportiva dell’ex Roma, anche se per uno come Sabatini ragionare di qualcosa che sia diverso dal mero risultato è buffa, per cui il lavoro fatto fino ad ora non è abbastanza. Il d.s. granata ha assoluto bisogno di raggiungere l’obiettivo prefissato – che lui aveva stimato al 7% (cifra divenuta icona pop cittadina) – per continuare ad alimentare la sua anima di una nuova linfa. Non a caso, è stato recentemente molto chiaro: «Il mio futuro a Salerno dipende dal mio stato d’animo. Retrocedere sarebbe un evento nefasto per me».

Vincenzo Marotta

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