Un altro anno nel segno della Mercedes, un altro mondiale nel nome di un assoluto patrimonio del motorsport mondiale, che ha vissuto e finora dominato gli anni dell’era hybrid in Formula Uno. Ad Austin, Lewis Hamilton si è laureato campione del mondo per la sesta volta davanti a Ferrari e Red Bull, e quindi ancor più di diritto un protagonista della storia centenaria di questo sport.

Come di routine, anche il mondiale 2019 si chiuderà ad Abu Dhabi, alle porte del mese di dicembre. E fu proprio a Yas Marina, tre anni fa, che Nico Rosberg di fatto riuscì a interrompere un filotto di vittorie che per Lewis Hamilton prosegue dal 2014. Anche questa volta sarebbe men che meno blasfemo pensare di contestare la stagione appena disputata dal pilota inglese che, nonostante le fiammate che hanno a tratti rinsavito la Ferrari o gli exploit Red Bull targati Max Verstappen, ha messo a bottino altre 10 vittorie e spesso completato i successi del team piazzandosi secondo dietro al compagno Bottas.

Lewis Hamilton ha trionfato e matematicamente portato a casa il sesto titolo mondiale alla fine del gran premio degli Stati Uniti. Per lui ad oggi sono 83 le gare vinte e 87 le pole position conquistate in carriera.

Sono timidi e fugaci i segnali di vulnerabilità che, ad ogni modo, le Frecce d’Argento hanno lasciato per strada alla concorrenza. Non perfetta in qualifica o su assetti scarichi (ad esempio a Monza), sulla W10 non si sprecano comunque i commenti positivi in quanto ad affidabilità e performance.

Insomma, alla fine del sesto anno che passa in vetta alle classifiche della F1, in Mercedes si vive ancora dentro una “macchina” perfetta, solida e composta da uomini che sanno fare la differenza (primo su tutti il signore che si è messo a un Mondiale da Michael Schumacher).

Spesso tendiamo a dimenticare, poi, che fino a qualche gara fa il pretendente al titolo sarebbe stato un silenzioso Valtteri Bottas, che di gare ne ha vinte. Un signor “secondo” che sembra entrato in perfetta sintonia con le esigenze della squadra, tanto che ha più volte apparecchiato a tavola per il compagno di box (questa volta molto meno che nel 2018).

Il mondiale soap che predilige gli inciuci alle gare

Tuttavia, se nel finlandese la Mercedes avrà trovato pan per focaccia, altrove la gestione dei piloti passa per situazioni un po’ più burrascose. Ad esempio c’è Red Bull che, per sua struttura e politica, non ha esitato minimamente a bocciare Pierre Gasly in corso d’opera (trasferendolo in Toro Rosso), rischiando di portare un altro rookie (Alexander Albon) nelle stesse difficoltà del francese.

Va detto che i risvolti sono stati positivi dall’una e dall’altra parte, anche se a conti fatti (complici, sicuramente, le Ferrari, Hamilton e un filotto di tracciati su cui RB ha potuto dire la sua) finora il podio lo ha assaggiato solo Gasly, a Interlagos. Quando si sta dietro e si insegue per anni il rischio di giocarsi male una carta è elevatissimo, ed è per questo che puntare su un solo cavallo (che di nome fa Max) potrà essere deleterio per il futuro. Non è un caso che Daniel Ricciardo abbia deciso di rilanciarsi con Renault, ma il posto al fianco di Verstappen si fa ogni giorno più scomodo.

Il contatto che è costato il ritiro delle due Ferrari a Interlagos. Sebastian Vettel reagisce al sorpasso del compagno subito in curva 1, attaccando Leclerc nella zona del secondo DRS. Ma la distanza tra le due vetture è troppo poca per uscirne indenni.

Che dire a questo punto della Ferrari, protagonista e reginetta del mondiale anche più degli stessi vincenti in tuta argento, grazie alle vicissitudini che si sono create intorno al box e al rapporto in pista tra Vettel e Leclerc. Una telenovela, questa, che, con i dovuti rigonfiamenti che abbiamo contribuito a creare, potremmo dire che ci ha accompagnato dall’inizio alla fine del mondiale, peraltro contribuendo a spaccare a metà la tifoseria.

Solo ultimamente, infatti, in Brasile, i due si sono toccati e danneggiati a vicenda nella corsa che li avrebbe portati al podio, provocando il ritiro di entrambe le vetture. Un episodio, quest’ultimo, che è stato senz’altro ingigantito dalle conseguenze che ha avuto, dato che oggigiorno anche un minimo contatto sarebbe in grado di mettere ko una monoposto. Tant’è che è proprio sulla dinamica dell’incidente che Ferrari e ferraristi farebbero meglio a non soffermarsi.

Quel che realmente preoccupa e rischia di venir meno a valle di questa storia è invece il potenziale che entrambi i piloti potrebbero sprecare. Da una parte Charles Leclerc, che ha subito mostrato la stoffa del veterano con il primo, sfiorato, successo in Bahrain (mentre Vettel piroettava su un attacco di Hamilton), e dall’altra proprio il tedesco, che ha accusato anzitempo questa “nuova” pressione dopo che sul groppone pesavano già alcuni recenti episodi (2018).

Il pugno duro della Ferrari che in realtà è parso una carezza

I risultati personali, in fin dei conti, non sono mancati anche nella prima parte della stagione e, anzi, un paio di occasioni non hanno reso giustizia ai piloti: il Canada, dopo Sakhir, è l’esempio più calzante (video in basso). Dopo un miglioramento della vettura venuto su a fatica, sono invece venute fuori le indecisioni e la poca reattività del muretto, oltre che gli errori personali (e qui sarebbe troppo facile mirare a Vettel, dimenticando qualche sbandamento anche di Leclerc).

Tutti ingredienti che, nel giusto mix, hanno contribuito a creare una piccola sovratensione tra i due piloti, che spesso si sono trovati nella situazione di non recepire dal team quali fossero le priorità del momento. Nonostante tutto sono arrivate anche delle vittorie, in particolare con Leclerc, che ha iniziato a rendersi molto presente nel team e fra i tifosi (anche grazie alle brillanti qualifiche e a una specie di garra), tanto da condizionare il team quasi in suo favore.

Sembra quasi che a fasi alterne potremmo stabilire da che parte pendesse la bilancia in casa Ferrari, quasi come se di volta in volta ricorresse il bisogno di ammorbidirsi prima uno e poi l’altro. Insomma, usando termini forti, bambini viziati cresciuti da una madre troppo accondiscendente.

A mettere troppa carne a cuocere, del resto, c’è il rischio che ci si bruci. Lo sa bene Mattia Binotto, che dovrà guardarsi bene dal continuare a guidare il team senza un direttore tecnico e, soprattutto, lavorare sull’atmosfera del box con un approccio solido fin dall’inizio. Un pugno duro che, ahinoi, quest’anno è parso più una carezza quando a inizio stagione dovevano stabilirsi realmente i ruoli nella scuderia.

Il 2020 sarà l’ultimo anno prima dell’inizio di una nuova (preannunciata) piccola era per la Formula Uno, per cui saranno effettivamente pochi gli stravolgimenti che vedremo sulle vetture, così come gli avvicendamenti dei piloti. Ebbene, che sarà certamente un anno di transizione per il futuro del marchio, lo stesso non si potrà dire a Maranello, con Vettel che presumibilmente si affaccerà all’ultimo anno in rosso e Leclerc che, da un lato sarà forte dell’anno appena trascorso e del ruolo conquistatosi nel box, ma dall’altro sarà chiamato alla dura sfida di riconfermarsi.

Nel comprendere il momento e tenersi stretto un 4 volte campione del mondo al pari di un potenziale tale, il lavoro più complicato dovrà invece farlo la Ferrari. Nei box e in pista, in fabbrica con la nuova vettura, ma soprattutto parlando chiaramente ai suoi principali dipendenti.

Nicola Puca

Fonte immagine in evidenza: formula1.ferrari.com

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