Libero Pensiero Emergenza climatica

Appena una manciata di giorni fa, circa 70 attivisti di Extinction Rebellion sono stati arrestati in seguito a una protesta innanzi alla sede del New York Times. Il loro intento era quello di richiamare la stampa alle proprie responsabilità nel narrare e raccontare la crisi climatica in atto. Forse hanno ragione, mi sono detto, ma in cuor mio lo sapevo già. Mi hanno colpito in particolare le parole pronunciate da Eve Mosher, una delle manifestanti, alla CNN: “Dovrebbero trattare l’emergenza climatica come se fosse la Seconda Guerra Mondiale, ma non lo fanno”.

Ho riflettuto molto su questa frase, quasi a cercare un appiglio di fallacia logica, ma non ho potuto fare altro che riconoscerne l’assoluta veridicità. Il messaggio lanciato da Extinction Rebellion è un pugno che dovrebbe colpire alla bocca dello stomaco tutti gli operatori del settore. Perché è vero: non siamo stati ancora in grado di trattare l’emergenza climatica per quello che è, ovvero la più grande, pericolosa e immediata crisi nella storia della civiltà umana. Sono poche le testate che hanno compiuto una scelta di campo netta, definitiva e soddisfacente in tal senso. Penso al Guardian, che oltre a seguire con costanza e dovizia di particolari il tema ambientale ha adottato un lessico ad hoc per la climate crisis, e in Italia a Linkiesta, che ha aperto una sezione apposita per il giornalismo “verde” dopo aver dedicato tutti i venerdì fino alle elezioni europee all’ambiente.

Ma ad essere sincero, credo che non sia abbastanza, e che l’esempio di Greta Thunberg non sia stato compreso appieno; i media, in particolare, hanno preferito sfruttarne l’impatto emotivo per renderla un catalizzatore di empatia, svuotando di significato i suoi continui e ripetuti appelli, che di significato invece ne hanno a iosa. Greta la ragazza prodigio, Greta e la sindrome di Asperger, Greta e le treccine, Greta va dal Papa, Greta candidata al Nobel per la Pace, Greta insultata da Feltri: quasi mai, sui giornali, Greta è invece la persona che sbugiarda le decennali menzogne della classe politica e proclama apertamente la necessità di superare il sistema capitalistico come unica soluzione all’emergenza climatica.

Allo stesso modo, le notizie green diventano un filone da sfruttare per accaparrarsi le simpatie del pubblico, più che per educarlo e sensibilizzarlo. C’è l’orso polare che vaga affamato per la città, il koala funzionalmente estinto, il ghiacciaio che si spezza immergendosi nell’Artico con tonfo spettacolare e drammatico, il chicco di grandine grosso come un arancio, la temperatura che raggiunge nuovi record storici. L’emergenza climatica sostituisce i titoli acchiappaclick alla stregua di una qualunque notizia usa-e-getta, mentre invece dovrebbe essere sbattuta tutti i giorni su tutte le prime pagine di tutti i quotidiani. A caratteri cubitali, quelli che si usano per le dichiarazioni di guerra. Perché come in una guerra, come nella più grande delle guerre, ci sono a rischio le nostre vite: qui e ora, non in un luogo imprecisato di un imprecisato futuro. La crisi è già in atto e non potrà che peggiorare, se continueremo a trattarla come un aneddoto da condividere su Facebook per sembrare persone sensibili.

Non possiamo più fingere che non ci riguardi. Non possiamo ignorare che noi, privilegiati osservatori del mondo occidentale, siamo fra i principali artefici del disastro con i nostri insostenibili stili di vita, mentre coloro che ne sono meno responsabili ne pagano le più nefaste conseguenze. Non possiamo invocare l’accoglienza e nascondere ipocritamente che fra le cause primarie delle migrazioni di massa vi è proprio l’emergenza climatica, che devasta e inaridisce e rende porzioni sempre più vaste del pianeta inabitabili. Nessun bombardamento provocherà mai tanti profughi quanti ne crea il riscaldamento globale, e in futuro non basterà più aprire i porti o le frontiere. Non possiamo più tacere, soprattutto non possiamo più nasconderci dietro le treccine di Greta.

Per tale motivo, Libero Pensiero oggi dichiara la sua emergenza climatica. Non abbiamo l’influenza o le risorse del New York Times, ma questa non è una scusa. Da questo momento, oltre a fare il possibile per raccontare il climate change in ogni suo aspetto, presteremo maggiore attenzione nel definire contorni e proporzioni alla vicenda, trattandola esattamente per quello che è, ovvero la crisi più grave mai affrontata dall’umanità. Senza scadere nel catastrofismo o nel sensazionalismo: non ce n’è bisogno. Faremo la nostra parte, augurandoci di poter diventare utili alleati, nel nostro piccolo e con l’umiltà che ci spetta, di coloro che hanno un futuro da difendere; a scrivere il presente penseremo noi.

Emanuele Tanzilli
Direttore editoriale

Scrivo per dimenticare.

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