Indonesia proteste di massa
La protesta dei manichini degli attivisti di Greenpeace. Fonte: liputan6.com / ph: Johan Tallo

Indonesia: la nuova legge che regola il mercato del lavoro, denominata Omnibus Law per la sua volontà di ristrutturare in modo omnicomprensivo la materia in questione, suscita un’onda anomala di oceaniche proteste di cui non si intravede la fine, sostenute da sindacati e lavoratori ma anche dai pericolosi ambienti retrogradi ed estremisti che si fanno strada nella società della nazione-arcipelago. Tutto fin troppo familiare, se si sostituiscono le coordinate geografiche.

Indonesia: le proteste tra disuguaglianze e sviluppo

Tutto comincia lo scorso 5 ottobre, quando il governo del presidente dell’Indonesia, “l’Obama di Giava” Joko Widodo (noto anche come Jokowi), porta all’attenzione del parlamento del paese un progetto di legge che si propone di riformare integralmente il mercato del lavoro. La corposa Omnibus Law, costituita da ben 905 pagine che prevedono revisioni e stralci per 79 leggi esistenti in svariati ambiti, dal regime di tassazione per le imprese alla burocrazia del mercato del lavoro, è stata proposta e promossa come cardine dell’azione dell’esecutivo per promuovere l’espansione dell’economia, indebolita dalle conseguenze della pandemia da Covid-19, e creare posti di lavoro stimolando gli investimenti.

L’obiettivo geo-strategico è fare propri quei segmenti della catena di valore industriale che stanno spostando i propri asset dalla Cina, per ragioni sia politiche che di trasformazione economica, attraendo il capitale estero con ogni facilitazione e convenienza possibile. Tutto questo, a spese della sicurezza e dei diritti dei lavoratori d’Indonesia, già precari e sottopagati anche nel contesto del sud-est asiatico: quella che è più che altro una de-regolamentazione su vasta scala in ossequio ai totem del pensiero economico neoliberista colpirà soprattutto le ferie, la liquidazione, l’orario di lavoro e i salari, e consentirà indennità di licenziamento irrisorie e contratti a tempo limitatissimo. Inoltre, il pacchetto di nuove regole indebolisce ulteriormente la legislazione circa la protezione ambientale.

Quando l’approvazione delle assemblee legislative, avvenuta con il favore di tutti i partiti che fanno capo alla maggioranza di governo, ha convertito in legge la proposta sulla Omnibus Law, le piazze sono esplose in tutta l’Indonesia, mobilitate da unioni sindacali e associazioni di categoria. Le proteste vanno avanti ininterrottamente dal 6 ottobre, nella capitale Giacarta, a Bandung, Medan e in altre grandi città, e seppur con alterna intensità hanno finito per assumere proporzioni massive. Gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine sono spesso degenerate in violenze, con feriti da ambo le parti, fermi e ben 6.000 arresti. Per dare una misura dell’intensità delle dimostrazioni: tra lacrimogeni, cannoni ad acqua e repressione poliziesca, i manifestanti si sono fatti strada fino al palazzo presidenziale, raggiungendone la porta di ingresso con fumogeni e pneumatici incendiati.

Indonesia
Joko Widodo, presidente dell’Indonesia. Fonte: straitstimes.com

L’opposizione alla legge del Partito Democratico e del Partito Islamista della Giustizia Prospera ha fatto sì che alla proteste si saldassero politicamente elementi nazionalisti e islamisti, che da tempo fanno pressione sulle istituzioni del paese per sdoganare i tratti integralisti e sciovinisti presenti nella società indonesiana. Le manifestazioni del 13 ottobre hanno visto la partecipazione a fianco dei lavoratori di numerosi gruppi di studenti e di organizzazioni conservatrici islamiste: l’associazione tradizionalista Nahdlatul Ulama, che consta di ben 30 milioni di membri e opera anche come opera caritatevole, ha sostenuto pubblicamente le proteste. Il rischio è che il dissenso popolare trovi sponde anche nelle formazioni paramilitari che operano in Indonesia, come l’influente ed efferata Pemuda Pancasila (raccontata in tutta la sua brutalità nel docufilm “The Act Of Killing” di Joshua Oppenheimer).

Il governo indonesiano, tramite il ministro della Sicurezza Mohammad Mahfud, ha dichiarato che le proteste contro la Omnibus Law non saranno più tollerate, e ha evocato una sterile repressione militare. La risposta politica alle ragioni di un malcontento così esteso è stata quantomeno semplicistica: il presidente Jokowi e l’esecutivo hanno stigmatizzato indiscriminatamente tutti i manifestanti, tacciandoli di disinformazione o di essere complici di un complotto ordito da forze straniere. Le richieste pressanti di giustizia sociale vengono così liquidate e lasciate all’ultra-destra: un copione fin troppo noto, anche in Occidente.

La guerra dei mondi contro la globalizzazione

Gigante “fantasma”, rispettivamente per il suo crescente peso economica e per la sua ancora scarsa influenza negli affari internazionali, l’Indonesia è un paese abitato da 270 milioni di persone, in maggioranza con meno di trent’anni, attraversato da contrasti stridenti, sospesi tra sviluppo e povertà. Circa il 10% della popolazione vive ancora al di sotto della soglia di povertà, e la classe “media” lavoratrice mantiene standard salariale e di protezione sociale particolarmente bassi, mentre la corruzione e le multinazionali assorbono gran parte della ricchezza. La pandemia ha colpito le categorie più fragili, come è avvenuto ovunque.

L’arcipelago indonesiano è inoltre la casa di circa 300 gruppi etnici, in stragrande maggioranza musulmana, ma con nutrite minoranze induiste, buddhiste, cristiane e di religione animista cinese. I principi filosofici del pancasila, sui quali l’Indonesia è stata edificata dal padre della nazione Sukarno, disegnano un delicato equilibrio tra democrazia pluralistica e secolare e centralismo religioso e nazionalista. La bilancia ha finito per propendere verso il secondo fin troppo spesso durante la sua storia: il dissenso e il disagio socio-economico è stato represso nel sangue durante la dittatura militare di Suharto (1965-1998), costata la vita a un milione di persone, e tristemente nota per le atroci stragi di massa dei comunisti indonesiani.

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Un manifestante delle proteste issa la bandiera indonesiana. Fonte: nytimes.com

La crescita economica impetuosa seguita alla globalizzazione ha acuito disuguaglianze che lo sviluppo del paese ha solo nascosto in piena vista. Nonostante anni di repressione, proseguite anche con il ritorno della democrazia rappresentativa, come certificato dalle persistenti violazioni dei diritti umani registrate da Amnesty, l’ascesa popolare delle unità sindacali e delle organizzazioni dei lavoratori indonesiani è stata costante negli ultimi anni, e considerando i volumi delle ultime proteste pare inarrestabile. Ma la riemersione del movimento operaio avviene in un contesto nel quale non esistono forze politiche che ne rappresentano le aspirazioni, ma di molte che desiderano sfruttarne il malcontento per fare egemonia.

La reazione di rigetto contro l’Omnibus Law e contro la globalizzazione neoliberale vibra con risonanza in Indonesia, e anche nella maggior parte di ogni altro contesto socio-economico, ivi compreso quello europeo e italiano, ma sembra fungere da volata alle peggiori destre reazionarie dei sovranismi. Una “guerra dei mondi“, ossia un conflitto senza quartiere tra qualcosa che è familiare e qualcosa che è alieno, per prendere in prestito un’espressione efficacemente adoperata da Orson Welles a Steven Spielberg in altri contesti. Un conflitto di proporzioni planetarie, combattuta da numerosi “mondi”, o civiltà, o nazioni, che si pongono come alternativa al “mondo unitario” di una globalizzazione irreparabilmente diseguale e socialmente involutiva. I pronostici sull’esito di questa guerra sono desolanti: non potranno esserci vincitori.

Luigi Iannone

Luigi Iannone
Classe '93, salernitano, cittadino del mondo. Laureato in "Scienze Politiche e Relazioni Internazionali" e "Comunicazione Pubblica, Sociale e Politica". Ateo, idealista e comunista convinto, da quando riesca a ricordare. Appassionato di politica e attualità, culture straniere, gastronomia, cinema, videogames, serie TV e musica. Curioso fino al midollo e quindi, naturalmente, tuttologo prestato alla scrittura.

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