Papa Francesco, l'Unione Europea e un'eredità scomoda
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La morte di Papa Francesco segna una cesura epocale non solo per la Chiesa cattolica, ma anche per il sistema geopolitico contemporaneo. In un mondo attraversato da nuove tensioni, crisi identitarie e instabilità globali, la voce del Pontefice argentino aveva offerto una narrazione alternativa: quella della misericordia come strumento politico, della giustizia sociale come bussola diplomatica, della pace come progetto strategico.

Per l’Unione Europea – organismo politico ancora impegnato nella definizione della propria identità internazionale – l’assenza di Francesco rappresenta una sfida urgente. Il Pontefice aveva interpretato un ruolo di supplenza morale: richiamando Bruxelles ai propri valori fondativi, spingendola a guardare oltre i meri equilibri di bilancio, e sollecitandola a una politica estera più umana, più proiettata verso il Sud globale.

Il suo approccio, definito “geopolitica della misericordia”, non si limitava alla dimensione spirituale, ma rappresentava una proposta alternativa di gestione delle relazioni internazionali: capace di parlare a cittadini e governi, a periferie e potenze, a società civili e Stati. Ora, senza quella pressione morale continua, l’Europa rischia di cedere definitivamente alla logica della realpolitik, perdendo quell’anima che Francesco aveva instancabilmente invitato a ritrovare.

Con la scomparsa di Francesco, il rischio per l’Europa è di vedere spegnersi una delle poche voci capaci di coniugare etica e geopolitica, valori e strategia. Il suo operato aveva contribuito a bilanciare gli eccessi di pragmatismo, offrendo una prospettiva alternativa in tempi di crescente realismo brutale. Oggi l’Unione Europea si trova davanti ad una sfida: preservare questa scomoda ma necessaria eredità.

Papa Francesco: un ponte tra spiritualità e geopolitica

Papa Francesco ha reso la diplomazia vaticana uno strumento non solo di presenza, ma di influenza attiva, cercando di ricollegare il Vaticano ai conflitti e alle tensioni mondiali, soprattutto dove l’Unione Europea risultava assente o marginale. A partire dal famoso discorso al Parlamento Europeo nel 2014, in cui denunciava un’Europa “vecchia, stanca e sempre più sterile”, Francesco ha impostato una linea di confronto netto: recuperare le radici spirituali dell’Europa o rischiare l’irrilevanza globale.

La geopolitica di Francesco non è mai stata neutrale. Dal sostegno esplicito all’accordo sul clima di Parigi, alla posizione critica sull’espansione della NATO alle porte della Russia, dal dialogo con l’Islam sunnita (memorabile l’incontro ad Abu Dhabi con il Grande Imam di al-Azhar) alla prudente apertura verso la Cina (nonostante il controverso accordo sulla nomina dei vescovi), Francesco ha spinto il Vaticano ad agire come “potenza morale” in un mondo multipolare. Lungi dall’essere un’azione disinteressata, questa postura ha inteso ridefinire il concetto stesso di diplomazia: non più solo relazioni tra Stati, ma ricostruzione di reti culturali e spirituali capaci di influenzare il sistema internazionale.

Questa linea ha avuto un impatto ambivalente sull’Unione Europea. Se da un lato l’UE ha trovato in Francesco un alleato sui grandi temi globali – cambiamento climatico, migrazioni, difesa dei diritti umani – dall’altro ha percepito una velata accusa: l’Europa tecnocratica rischiava di perdere la sua “anima”. Francesco non ha mai nascosto il suo disincanto verso un’Europa che, a suo giudizio, sembrava più preoccupata di gestire bilanci che di proteggere valori. Non è un caso che le sue visite ufficiali a Bruxelles siano state rare, e i suoi appelli alle istituzioni europee si siano sempre rivolti più alle coscienze dei cittadini che ai tecnocrati.

Con la fine del suo pontificato e l’avvicinarsi dell’elezione di un nuovo pontefice — il Conclave si aprirà il prossimo 7 maggio — l’Unione Europea si trova a dover fronteggiare un vuoto morale e narrativo che rischia di pesare sulle future dinamiche geopolitiche.

Non potrà più contare, almeno per ora, sul supporto implicito di un Vaticano proattivo sui grandi temi globali. Per Bruxelles si aprono, dunque, almeno tre sfide fondamentali:

  • Costruire una propria diplomazia dei valori, capace di parlare non solo alle cancellerie, ma anche ai popoli del mondo.
  • Riempire il vuoto simbolico lasciato dal Vaticano, trovando un equilibrio tra realpolitik e difesa dei diritti umani.
  • Ridefinire il rapporto con la Chiesa cattolica, il cui nuovo leader potrebbe imprimere un cambio di rotta sulla linea diplomatica vaticana, con esiti ancora imprevedibili.

Molti osservatori internazionali ipotizzano l’elezione di un Papa proveniente da regioni extra-europee, in particolare dall’Asia o dall’Africa, segnando uno spostamento simbolico e strategico del baricentro spirituale globale. Ma questa eventualità, se si concretizzasse, acuirebbe ulteriormente il senso di marginalità di un’Europa già segnata da tensioni interne e da una crisi di visione internazionale.

L’Unione Europea di fronte al vuoto politico e spirituale

La morte di Papa Francesco non lascia soltanto un vuoto simbolico. L’Unione Europea si trova a confrontarsi con una delle eredità più impegnative del pontificato: quella di una politica estera fortemente improntata su valori etici e morali, non sconosciuti alle istituzioni europee ma ormai da tempo assenti nella sua agenda. Un approccio, il suo, che ha riformulato il concetto stesso di influenza internazionale, trasformando il Vaticano in un attore globale capace di competere non con la forza, ma con la costruzione di immaginari e la mobilitazione di valori universali.

Papa Francesco ha scelto deliberatamente di abbandonare la diplomazia tradizionale fatta di comunicati e di note ufficiali per adottare una strategia fondata sulla narrazione simbolica, sull’empatia globale e sulla capacità di intercettare le tensioni morali del nostro tempo. Il suo insegnamento è stato chiaro: il potere senza consenso emotivo è sterile; la geopolitica senza un fondamento etico è destinata a implodere.

Questo messaggio risuona oggi come un monito per l’Unione Europea. Nei suoi anni di pontificato, Papa Francesco ha più volte sottolineato le carenze del progetto europeo: un’Europa incapace di parlare ai suoi cittadini, chiusa in una tecnocrazia priva di anima, incapace di incidere nei grandi processi globali se non come regolatore passivo. E lo ha fatto senza mai nascondere il rischio concreto: che l’Unione Europea si trasformasse da faro di civiltà a spazio burocratico, incapace di farsi ascoltare nelle periferie del mondo e persino al suo interno.

Con la scomparsa di Francesco, Bruxelles perde una figura che agiva indirettamente da coscienza critica: una voce che ricordava agli europei la loro stessa missione fondativa, basata sulla dignità umana, la pace e la solidarietà internazionale. E ora si apre una fase nuova, più pericolosa: l’Europa dovrà scegliere se raccogliere il testimone oppure abbandonarlo definitivamente.

La prima grande sfida riguarda il consenso emotivo. Papa Francesco aveva capito che il consenso politico, oggi, si costruisce non solo con il benessere economico ma soprattutto con la capacità di dare senso all’azione pubblica. L’Unione Europea, frammentata tra rigore fiscale e calcoli geopolitici, non ha saputo creare un racconto condiviso capace di mobilitare emotivamente i suoi cittadini. Se vuole evitare la marginalizzazione, Bruxelles dovrà imparare a parlare non solo alle istituzioni, ma alle persone. Dovrà costruire una narrazione europea forte, empatica, capace di rispondere all’ansia collettiva di un mondo in frantumi.

In secondo luogo, l’assenza di Papa Francesco rischia di spingere l’Unione Europea ancora più in balìa delle logiche di forza che caratterizzano il nuovo disordine globale. Con la competizione USA-Cina che si intensifica, l’Europa è chiamata a decidere: limitarsi a essere il vaso di coccio tra i due giganti oppure tentare di proporsi come un terzo polo morale e culturale.

La geopolitica della misericordia offriva un modello alternativo: un modo di fare politica estera fondato sulla dignità umana e sull’inclusione. Se Bruxelles saprà assumerlo, potrà riscoprire una forma di influenza che non passa necessariamente per il potere militare, ma per la capacità di essere un riferimento etico globale. Sarà una sfida ardua: richiederà coerenza tra valori proclamati e pratiche concrete, visione strategica, e soprattutto coraggio politico. Ma è una sfida che l’Unione Europea non può permettersi di ignorare.

La scomparsa di Papa Francesco accentua un paradosso: mai come oggi c’è bisogno di una politica internazionale capace di parlare di pace, dignità e giustizia globale, ma mai come oggi queste parole rischiano di suonare vuote senza chi le incarna con credibilità. L’Unione Europea può decidere di riprendere quel filo, ma dovrà reinventarsi profondamente: non più solo come un mercato o un blocco commerciale, ma come un’idea forte di convivenza globale.

In questo quadro, anche il Vaticano post-Francesco giocherà un ruolo decisivo. Se il nuovo Papa continuerà la linea dell’impegno globale, potrà offrire all’Europa un alleato morale formidabile. Se invece il pontificato dovesse scegliere una via più pastorale e interna, Bruxelles sarà chiamata a camminare da sola sul terreno scivoloso della diplomazia valoriale.

La posta in gioco è altissima. La geopolitica contemporanea premia chi sa combinare hard power e soft power. Gli Stati Uniti, la Cina, perfino la Russia investono massicciamente nella costruzione di immaginari strategici. L’Europa non può più permettersi di limitarsi a gestire il quotidiano. Deve tornare a ispirare.

Papa Francesco, in fondo, ha offerto all’Unione Europea una grande lezione: il potere più duraturo non si impone, si propone. E il futuro del progetto europeo dipenderà dalla capacità di raccogliere questa lezione e trasformarla in azione politica concreta.

Se l’Unione Europea saprà ereditare il suo messaggio, potrà ancora essere protagonista del XXI secolo. Se invece si limiterà a custodire il proprio status quo, rischierà di essere travolta dalla nuova stagione dei grandi imperi. Il tempo delle scelte è già iniziato.

Donatello D’Andrea

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