C’è un qualcosa di evocativo, magico nella musica tradizionale bretone proposta da Patrick Molard: è eclettica, al punto di trovare luoghi di mediazione con tradizioni e stili differenti, attraversa i confini delle regioni, non è più mera espressione di culture chiuse, localistiche. Una sorta di catarsi potente che ammalia e che è capace di trascinare, di far viaggiare, pur restando fermi.
Al di là di ogni pura considerazione tecnica, c’è da dire che la proposta musicale dell’artista bretone, lontana dalle facili mode, nasce dal dialogo dal confronto tra svariati patrimoni intellettuali: ha il potere di creare connessioni profonde tra identità, cultura e territori. Patrick Molard, eclettico musicista, in grado di suonare alla perfezione diversi strumenti a fiato tra cui il flauto, la cornamusa e la bombarda, presenta brani tradizionali e composizioni proprie, provenienti da quel grande calderone che accomuna i popoli e le terre di Scozia, Bretagna e Irlanda.
Tra un virtuosismo e l’altro, il poliedrico artista, originario di Saint-Malo, è in grado, di prendere in mano le redini di ogni suo spettacolo, di emozionare e far ballare. Grazie a Walter Buscaglia, amico e organizzatore, con il Circolo 25 Aprile, di diversi eventi che l’hanno visto protagonista, siamo riusciti a fare qualche domanda a Patrick Molard.
Buongiorno signor Molard, è un piacere averla con noi. Da quanto tempo suona la sua musica e per quale motivo ha iniziato?
«Buongiorno a voi, ci tengo, innanzitutto, a ringraziarvi per lo spazio concessomi. Ho cominciato a quattordici anni, sono quasi sessant’anni che suono. Per quanto mi riguarda, ho sempre suonato questo tipo di musica; non è una moda, ma è parte integrante del Patrick Molard, bambino, adolescente e adulto.»
Proporre musiche provenienti da tre tradizioni musicali diverse, presuppone, oltre che grande preparazione, grande interesse verso altre culture. Cosa suscita in Patrick Molard attrazione verso la musica di altri posti?
«Non vedo le tre culture da cui traggo ispirazione differenti tra loro, soprattutto dal punto di vista stilistico. Per esempio, la cornamusa è presente nella tradizione bretone, scozzese e irlandese. Poi, ci sono tipi di cornamuse anche in Italia, Spagna e in altre regioni d’Europa. Quella scozzese, che è la medesima che si suona in Irlanda e Bretagna, è quella che ha legato, amalgamato un po’ il tutto.»
Signor Molard, nel suo paese d’origine, vanta collaborazioni aperte con altri artisti. Esiste uno scambio di idee, una produzione che vada oltre la stima reciproca?
«Collaborazioni ne realizzo, ne porto avanti moltissime, non solo con artisti che sono miei connazionali. Ho suonato anche con musicisti italiani, tedeschi, galiziani; insomma con tanta gente. La musica tradizionale, a mio parere, ha la funzione di unire popoli e culture.»
Nonostante lei sia un artista di calibro internazionale, che il mondo lo gira veramente, non disdegna di suonare in spazi angusti e chiusi. Non risulta essere contraddittorio?
«Per me questi i piccoli locali sono importanti tanto quanto le grandi piazze; restituiscono la dimensione reale, intima della musica che il Patrick Molard musicista vuole comporre. Suono anche per cause politiche, se vi interessa; tra tutte, quella che ricordo con maggior piacere, è una manifestazione, tenutasi in occasione dell’Aste Nagusia, che aveva come fine la richiesta di liberazione di alcuni detenuti baschi. Il popolo bretone è molto legato a quello basco, molti di noi sono finiti in cella per aver ospitato attivisti politici provenienti da quei territori.»
Patrick Molard è compositore di una miriade di album. Ha trovato supporto nelle case discografiche presenti in terra bretone o ha dovuto appoggiarsi ad etichette internazionali? Ritiene che esse sono più o meno attente alle esigenze degli artisti più giovani?
«Per nostra fortuna, esistono. Sono, sostanzialmente, due. Loro realizzano e promuovono i nostri dischi, ma anche quelli di giovani musicisti in erba. C’è molta attenzione alle giovani generazioni, in Bretagna le riteniamo di vitale importanza, ai fini del tramandamento delle nostre tradizioni locali. Io stesso, ho un figlio che da adolescente ha iniziato a comporre musica propria con il suo complesso; una di queste etichette discografiche, di cui non faccio il nome, ha aiutato molto il giovane di casa Molard nella sua crescita e maturazione artistica.»
Nel nostro paese è sempre più raro vedere giovani che si avvicinano alla musica e agli strumenti tradizionali. Negli ultimi anni ci sono stati esperimenti interessanti nel miscelare suoni tradizionali e ritmi decisamente rock; è stato, tuttavia, un fenomeno circoscritto solo a qualche bella esperienza. In Bretagna e, in generale in Francia com’è la situazione?
«In Bretagna la passione per la musica tradizionale è molto forte, anche tra i giovanissimi. Ci sono scuole che promuovono corsi di musica tradizionale bretone, in quanto parte integrante del patrimonio culturale francese. Conosco, personalmente, un liceo che al suo interno possiede ben cinque gruppi di musica; a Brest fanno anche corsi di danza e lingua bretone. In Bretagna si sta verificando un ritorno incredibile a quelle che sono le nostre radici; per quanto riguarda, invece, il resto della Francia non so dirvi molto, non ne sono a conoscenza.»
Vincenzo Nicoletti